In un’epoca in cui la privacy sembra essere al centro delle discussioni tecnologiche, emerge una realtà scomoda ma non del tutto sorprendente.
Il nostro smartphone ci ascolta anche quando non lo stiamo utilizzando attivamente. Questa rivelazione solleva questioni importanti riguardo la sicurezza dei nostri dati personali e la nostra privacy.
Queste informazioni evidenziano l’esigenza per gli utenti di prendere un ruolo attivo nella gestione della propria sicurezza digitale attraverso azioni consapevoli volte a limitare l’accessibilità dei propri dati personali agli occhi indiscreti del mondo tecnologico.
La sorveglianza silenziosa
La maggior parte degli smartphone dotati di sistema operativo Android, grazie ad alcune autorizzazioni abilitate di default da Google, ha la capacità di “ascoltare” le conversazioni ambientali. Questo fenomeno si basa su funzionalità integrate che, sebbene possano avere applicazioni legittime come l’attivazione vocale dell’assistente digitale, aprono anche le porte a potenziali abusi relativi alla raccolta dei dati personali degli utenti.
Fortunatamente, esiste un modo per bloccare questa invasiva funzionalità. La procedura è relativamente semplice e accessibile a tutti gli utenti. Iniziando dall’applicazione Google sul proprio dispositivo, è necessario accedere alla sezione del profilo situata in alto a destra dello schermo e selezionare l’opzione “Account Google“. Da qui, navigando verso “Dati e privacy“, si trova la sezione “Attività web e app“. All’interno di questa area è possibile disattivare l’opzione denominata “Includi attività vocale e audio” selezionando “Interrompi salvataggio“. Confermando questa scelta, si impedisce a Google di continuare ad ascoltare e salvare le conversazioni ambientali.
Un altro aspetto cruciale per proteggere la propria privacy riguarda le autorizzazioni concesse alle applicazioni installate sullo smartphone. È fondamentale essere critici riguardo alle richieste di accesso al microfono da parte delle app, soprattutto quando le loro funzionalità principali non sembrano giustificare tale necessità. Ad esempio, non vi è alcuna ragione logica per cui un’applicazione dedicata alla matematica debba richiedere l’accesso al microfono se non per motivi legati alla raccolta dati a fini pubblicitari.
Queste pratiche sollevano interrogativi significativi sulla reale portata del diritto alla privacy nell’era digitale. Sebbene sia ampiamente proclamato come fondamentale, i fatti suggeriscono che il rispetto effettivo di questo diritto sia ancora molto limitato. La facilità con cui possono essere raccolti ed elaborati i dati personali degli utenti senza il loro consenso esplicito o persino senza la loro conoscenza pone seri dubbi sull’impegno delle aziende tecnologiche nella protezione della privacy individuale.