I satelliti sono la chiave, un team di ricerca tedesco è al lavoro sulla tecnologia rivoluzionaria.
Se siete abbastanza appassionati di meccanica quantistica da avere anche solo un’infarinatura generale sulla materia, saprete che è grazie alle sue leggi che funzionano i navigatori satellitari. Detto altrimenti, una scienza appartenente oscura e astrusa per i non addetti ai lavori ha ricadute assolutamente concrete nella vita di tutti i giorni, e in questo specifico caso ha cambiato per sempre il nostro modo di orientarci e quando siamo a bordo di un veicolo a motore (ma molto spesso vi ricorriamo anche quando camminiamo!).
Un’altra frontiera in cui le conquiste teoriche delle leggi formulate da Planck, Einstein e altri potranno essere presto applicate alle moderne tecnologie prende il nome di crittografia quantistica, e si declina nell’adozione di sistemi satellitari per codificare le informazioni con un grado di impermeabilità mai visto prima, rivoluzionando per sempre l’ambito della sicurezza informatica. Ci sta lavorando un gruppo di ricerca tedesco e la messa in pratica potrebbe essere più vicina di quanto vi possiate aspettare.
Tobias Vogl, professore di ingegneria dei sistemi di comunicazione quantistica presso l’Università Tecnica di Monaco in Germania, è tra i principali artefici di uno studio avveniristico che propone di utilizzare singoli fotoni di luce come “mezzo di trasporto” per consentire comunicazioni crittografate impenetrabili a lunga distanza tramite piattaforme satellitari. Ciò è possibile trasmettendo la chiave di codifica crittografata tra due soggetti – il mittente e il destinatario dell’informazione – attraverso gli stati quantistici di singoli fotoni di luce, potenzialmente impermeabili a tentativi di lettura esterni. Spiega infatti Vogl sulle pagine di Advanced Science News:
Le leggi della meccanica quantistica fanno sì che sia impossibile [per un soggetto esterno malintenzionato, ndr] copiare questo singolo fotone, ed è altrettanto impossibile leggere tali informazioni senza modificare irrimediabilmente lo stato del fotone stesso, il che renderebbe subito evidente qualsiasi tentativo di intercettazione.
Il team non si sta limitando alla teoria, bensì si sta attivando per la parte pratica del progetto: si tratta di una missione spaziale denominata QUICK3 (QUANTUM photonIsChe Komponenten für sichere Kommunikation mit Kleinsatelliten) che ha proprio lo scopo di mettere a punto l’hardware necessario per la creazione di una piattaforma di comunicazione quantistica crittografata basata sui sistemi satellitari. Insomma non si tratta semplicemente di un lavoro teorico destinato a rimanere lettera su morta su qualche prestigiosa pubblicazione accademica, ma si sta traducendo in esperimenti concreti che potrebbero, nel giro di pochi anni, avviare massicciamente un impiego di queste avveniristiche tecnologie di telecomunicazione dando avvio a una vera rivoluzione.
Affinché la trasmissione crittografata sia efficace, è necessario che i fotoni che trasportano l’informazione siano inviati uno alla volta dal mittente al destinatario. Ovviamente, è più facile a dirsi che a farsi, altrimenti il problema non si porrebbe neanche. Il punto è che è estremamente complicato far sì che una fonte di luce emetta singoli fotoni di luce, essendo la luce un fascio radioattivo continuo. Per riuscire nell’impresa si stanno mettendo a punto tecnologie avveniristiche. La chiave, spiega Vogl, sta nei materiali scelti in partenza per la produzione dei dispositivi stessi, in particolare nelle proprietà del nitruro di boro, le cui particolarità della struttura atomica consente di “sfrangiare” i fasci di luce separando i singoli fotoni.
Il lancio della missione spaziale QUICK3 è più vicino di quanto si immagini: sarebbe dovuto avvenire addirittura quest’anno, anche se una serie di difficoltà ne hanno posticipato l’avvio al 2025. Ovviamente ciò non significa che il sistema, qualora desse i risultati previsti, sarebbe già pronto per la produzione di massa e la commercializzazione. Infatti per ora si tratta di un prototipo con delle semplificazioni strutturali, non ultimo il fatto che il sensore atto a rilevare l’emissione del singolo fotone sarà anch’esso in orbita anziché sulla superficie terrestre, come dovrebbe poi accadere nella realtà… A meno che non vogliamo metterci a comunicare con gli extraterrestri!
This post was published on 10 Aprile 2024 14:30
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