Qualcuno potrebbe pensare che fermare il crimine “a tutti i costi” sia una buona cosa, anche a discapito della libertà personale. Ci dà da pensare, ancora una volta, la polizia americana, che ha trovato un nuovo modo per profilare i “sospettati”, utilizzandone il DNA.
Era il 2017 quando, seguendo un caso di omicidio vecchio di 30 anni, la polizia della città di Berkeley, in California, decise di mandare i dati genetici raccolti sulla scena del crimine ad un’azienda; tale Parabon NanoLabs, fondata nel 2008 ed esperta di servizi genealogici per la polizia. L’obiettivo era, attraverso la “rivoluzionaria” tecnologia di machine learning “Snapshot Phenotype Report”, ricreare l’apparenza del presunto omicida, non tanto come una “foto”, ma piuttosto come una specie di modello 3D.
La scelta controversa non fu però tanto la possibilità di ricreare il volto di un possibile assassino, ma piuttosto pubblicare il volto così generato, cercando riscontri da parte della popolazione civile. Se pensate che questa sia un’enorme infrazione delle libertà personali, non siete assolutamente in errore, ma c’è di peggio: nel 2020 uno degli investigatori decise di utilizzare un programma di riconoscimento facciale, nel tentativo di lasciar fare alle macchine quel che non era riuscita a fare la polizia.
“Utilizzando il DNA trovato sulla scena del crimine, Parabon Labs ha ricostruito la struttura facciale di un possibile sospettato”, affermava il detective nella richiesta formale inviata al polo investigativo della California del Nord, “Ho una foto del possibile sospettato, e vorrei utilizzare il riconoscimento facciale per identificare il sospetto.”
Perché ne stiamo parlando solo adesso però? Perché effettivamente questa “notizia” non fu in alcun modo divulgata al pubblico, prima che il collettivo hacker Distributed Denial of Secrets hackerasse i database della polizia e ne pubblicasse i contenuti; per fortuna questa sembra essere la prima volta che la polizia prova a ricreare una faccia dal suo DNA; probabilmente non sarà l’ultima volta.
Secondo un detective anonimo, intervistato sull’argomento, sembra che questa tecnologia sia l’occasione che in molti cercavano, il non-plus-ultra degli strumenti investigativi: “Si tratta di casi ormai vecchi di decine di anni. So che le facce generate da Parabon non sono perfette, ma perché non possiamo utilizzare tutti gli strumenti disponibili per catturare un assassino?”
Jennifer Lynch, legale per l’associazione no-profit per le libertà civili Electronic Frontier Foundation, afferma: “Si tratta praticamente di pseudoscienza; non ci sono reali prove che Parabon riesca a produrre accuratamente un volto. È qualcosa di veramente pericoloso, perché c’è il rischio che innocenti vengano accusati di crimini che non hanno commesso.” Secondo la legale infatti, il rischio di un falso positivo nel riconoscimento facciale in casi come questi è troppo alto.
La pratica del “Phenotyping”, ovvero l’utilizzare dati genetici per cercare di ricostruire l’apparenza di un sospettato, è in genere l’ultima risorsa dei dipartimenti di polizia americani, autorizzato solo nel caso in cui tutte le altre tecniche investigative sono fallite, e l’utilizzo in combinazione del Phenotyping e del riconoscimento facciale sembra, secondo gli esperti, un vuoto legislativo molto pericoloso, vista anche la necessità dei vari dipartimenti di polizia di rivolgersi ad aziende private per generare le immagini in questione.
This post was published on 23 Gennaio 2024 8:00
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