La Modalità Incognito, per molti, è sempre sembrata l’opzione migliore per evitare di essere riconosciuti da siti e tenere pulita la cronologia, credendo che la propria navigazione sarebbe sempre stata “privata”, anche dagli occhi della stessa Google. Purtroppo non è così, lo sappiamo grazie ad una class action.
Google sta aggiornando l’iconico messaggio che compare all’attivazione della Modalità Incognito, per chiarire definitivamente il fatto che sì, Google e siti di terze parti possono comunque raccogliere i vostri dati mentre usate la modalità “semi-privata”.
Il cambiamento arriva dopo una class action che accusava Google di violazione della privacy e di non essere chiara sulla possibilità che Google potrebbe continuare a raccogliere dati anche con l’uso della modalità Incognito. Se i cambiamenti sono stati già apportati nelle versioni di sviluppo, come Google Canary, la modalità Incognito della build stabile di Chrome riporta ancora il vecchio messaggio: “Stai navigando in Incognito. Ora puoi navigare in privato. Le altre persone che usano questo dispositivo non vedranno le tue attività, ma i download, i preferiti e gli elementi dell’elenco di lettura verranno salvati.”, tra i cambiamenti, sembra che la versione Canary non riporti più “puoi navigare in privato”, ma “più privatamente”.
Entrambe le versioni di Google continuano poi sottolineando che l’attività di ricerca potrebbe comunque essere visibile a “siti web visitati”, “al tuo datore di lavoro o alla tua scuola” e “al tuo provider di servizi Internet”; solo la versione Canary include però la clausola che la modalità Incognito “non cambierà come i dati vengono raccolti dai siti che visiti e dai servizi che usi, incluso Google.”
Sembra che questo cambiamento alla schermata iniziale della modalità Incognito sia legata proprio ad un processo iniziato a Giugno 2020, chiuso poi a fine dell’anno scorso con degli accordi presi tra Google ed i querelanti. Nel mentre, a Marzo 2023, arrivava anche una denuncia di infrazione del Quarto Emendamento, l’articolo della costituzione americana che assicura la privacy dei cittadini, la quale affermava che “La politica di Privacy di Google, i ‘Controlli’ della Privacy e la ‘Schermata Incognito’ affermano falsamente che l’utente potesse prevenire la raccolta di dati da parte di Google utilizzando la ‘modalità di ricerca privata’”; secondo i querelanti infatti “le parole ‘Sei in Incognito’ e ‘Ora puoi navigare in privato’ significassero che si poteva ricercare privatamente, senza che Google continuasse a tracciare e raccogliere dati; Google avrebbe potuto dichiarare apertamente che avrebbe tracciato i dati degli utenti nelle loro ricerche private, ma non l’ha fatto; includendo rappresentazioni atte ad assicurare agli utenti della possibilità di navigare privatamente con alcune eccezioni, tra cui non figurava la raccolta di dati da parte di Google”.
Google ovviamente non ha mancato di difendersi, argomentando che i querelanti “avevano acconsentito alla raccolta e all’uso dei dati in questione da parte di Google (indipendentemente se stessero usando la modalità Incognito di Google o altre modalità di ricerca private di altri browser).”, affermando inoltre che le politiche di privacy a cui l’utente acconsente quando crea un account “affermano che Google riceve le informazioni in questione dai servizi installati o da siti di terze parti.” Secondo Google infatti, gli utenti avrebbero “acconsentito implicitamente alla ricezione dei dati da parte di google perché erano consapevoli del fatto che Google ricevesse tali dati.” affermando infine che sia compito dell’utente informarsi, tramite gli strumenti di sviluppo di Chrome o “simili feature di altri browser” su quali enti di terze parti stanno raccogliendo i suoi dati.
This post was published on 18 Gennaio 2024 8:30
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