Il 2024 parte con una notizia piuttosto importante per il mondo delle pubblicità online: Google ha dato inizio alla sua sperimentazione per lo stop ai cookie di terze parti attraverso l’utilizzo di tracking protection, una nuova funzionalità del suo browser.
4 Gennaio: questa la data zero per una nuova funzionalità che corre il rischio di avere un effetto terremotante su certe frange della pubblicità online. Protagonisti di questo sisma informatico sono l’iniziativa Privacy Sandbox e la sua funzione più nota, Tracking Protection.
Da qualche giorno a questa parte, infatti, una piccola parte degli utenti che utilizzano Google Chrome (selezionati casualmente, Google ci tiene a specificare) avrà di default impostato il blocco dei cookie di terze parti; in caso di sito web non funzionante in assenza di Cookie il browser permetterà di disabilitare in maniera temporanea la funzionalità.
Vediamo però le cose con ordine.
Tutto parte nel 2019 con Privacy Sandbox: un iniziativa guidata da Google che si è data un obbiettivo ben preciso: superare le preoccupazioni in materia di tutela dei dati personali durante il processo di navigazione.
Questo sarà fatto attraverso l’obsolescenza di quelle che sono le attuali tecniche di tracciamento, ovvero quell’insieme di strumenti digitali utilizzati informatica per comporre un identikit delle preferenze di ogni singolo utente sulla base dei comportamenti dello stesso durante la navigazione.
Niente cookies di terze parti, quindi, ma nemmeno tecniche di tracciamento più raffinate e nascoste come il fingerprinting.
L’introduzione effettiva della tracking protection e l’inizio della limitazione del tracking cross site è quindi il primo grande passo per questo genere di iniziativa; Google sta collaborando con altri grandi nomi dell’informatica odierna per cercare di identificare nuovi standard con il quale costruire il web del futuro, una rete che permetta di garantire la riservatezza delle informazioni legate agli utenti senza però far collassare su sé stesso il mercato pubblicitario attraverso la proposta di annunci comunque rilevanti.
Secondo Google la modalità migliore per risolvere questo genere di problema è una: aggregare le informazioni relative a gruppi di persone invece di tracciare il singolo utente, mostrando gli annunci agli utenti che appartengono a determinati gruppi accomunati dalla presenza degli stessi interessi.
All’atto pratico questo sistema è niente poco di meno che una particolare raffinazione di alcune API già esistenti che servono già a definire categorie di interessi per poi indirizzare gli annunci
Con l’inizio della sperimentazione di Google per il blocco dei cookies di terze parti, il colosso di Mountain View ha deciso di impedire all’1% dei suoi utenti Chrome (circa 30 milioni di utenti) di venir monitorati dai cookie che quotidianamente si ottengono navigando in rete.
Un messaggio che titola “naviga con più privacy” all’apertura di Chrome segnalerà la partecipazione all’esperimento di Google, con l’utenza che avrà la possibilità soltanto temporanea di disattivare l’opzione e solo per siti specifici attarverso l ‘interfaccia della piattaforma.
Una novità per Chrome, indubbio, ma anche una che arriva in ritardo rispetto il resto della concorrenza. Già da diversi anni browser come Safari (di Apple) o Firefox (di Mozilla) implementano strumenti simili per la gestione dei cookie di terze parti; chiaramente Chrome è il browser più utilizzato in circolazione e può effettivamente fare la differenza per i tracciamenti che vengono effettuati quotidianamente, specie dal punto di vista economico.
Per l’utilizzatore di Google Chrome, infatti, non cambia granché ma lo stesso non si può dire per tutto quanto il gigantesco settore della pubblicità online, che dal notevole valore di 600 miliardi di dollari già espone le sue perplessità verso questo genere di mosse.
Secondo diverse aziende di settore il problema principale è legato a Google che non ha fatto abbastanza per preparare il mercato alla rivoluzione che verrà portata dalla sparizione dei cookie di terze parti.
Tra gli elementi critici, a detta di Anthony Katsur (CEO di IAB Tech Lab), c’è quello del tempismo: la scelta di Google di lanciare questa funzionalità durante uno dei periodi dell’anno in cui il settore genera la maggior parte degli introiti è una pessima decisione.
Opinioni simili sono state rese pubbliche anche da elementi come Phil Duffield, il vice presidente di una delle più grandi piattaforme per la vendita di spazi pubblicitari online (The Trade Desk) che dice che la protezione della privacy online dei consumatori non deve per forza passare dal rendere la vita più difficile agli inserzionisti.
In ogni caso, ci permettiamo di sbilanciarci, nel sottolinea una cosa: le aziende pubblicitarie sanno dal 2019 in che direzione muoversi per controbilanciare questi cambiamenti nel settore ed è dal 2021 che Google ha palesato la sua intenzione di condannare all’oblio una volta per tutte i cookie; il momento del cambiamento, come anche sottolineato dall’adozione di sistemi più privacy friendly da parte degli altri grandi player del settore, è inevitabilmente arrivato ed è inutile piangere sul latte versato, specie all’interno di un mercato pubblicitario dagli atteggiamenti monopolistici proprio a causa dell’onnipresenza di Google Ads.
This post was published on 8 Gennaio 2024 8:30
Per la prima volta nella storia di Fortnite, Epic Games ho in programma un aumento…
Il sistema di geolocalizzazione migliorerà sempre di più e questo sarà possibile grazie a Pokémon…
Il Black Friday può essere sfruttato a pieno dagli amanti della lettura ed è la…
Il Grande Fratello non ha personato il comportamenti degli inquilini della casa che si sono…
La saga di Final Fantasy è pronta a tornare sul mercato mobile, questa volta con…
Elden Ring potrebbe ben presto diventare un titolo di Sony: l'azienda molto vicina all'acquisto del…