Una delle motivazioni più importanti dietro al successo dell’universo dello streaming di contenuti video era senza dubbio da ricercarsi ella totale assenza delle pubblicità, le stesse che infestavano il mondo della televisione. Purtroppo anche i colossi dello streaming stanno cambiando idea al riguardo.
Gli statunitensi abbonati a Prime Video saranno infelici di sapere che, a partire dal 29 Gennaio, dovranno iniziare a sopportare le pubblicità anche sui film e gli spettacoli televisivi legati all’universo di Prime Video. Queste sono le informazioni che lasciano trasparire un email inviata agli abbonati al servizio durante il corso di queste vacanze natalizie, con l’introduzione di un nuovo abbonamento che per tre dollari al mese in più permetterà agli utenti di potersi godere i contenuti senza interruzioni di sorta.
“A partire dal 29 Gennaio, film e spettacoli presenti all’interno di Prime Video includeranno pubblicità di vario genere; in questa maniera Amazon continuerà a poter investire in contenuti interessanti migliorando la qualità delle produzioni durante il corso dei prossimi anni”
Le motivazioni, in sostanza, sono sempre quelle: le pubblicità servono per permettere all’azienda che eroga i servizi di continuare a realizzare contenuti esclusivi “di qualità” ma è davvero svilente sapere che, alla fine, i modelli di business ad “abbonamento” che finora ha guidato la “rivoluzione” a poco sono serviti.
Prime Video si arrende alle pubblicità
Amazon’s Prime Video to start showing ads starting Jan. 29 https://t.co/o1iLsCdH27 — MarketWatch (@MarketWatch) 27 dicembre 2023
Inutile girarci attorno: in America tutti e cinque i più grandi servizi di streaming a disposizione dell’utenza prevedono il pagamento di un abbonamento e la fruizione dei contenuti con delle pubblicità. Max e Paramount+ hanno introdotto le pubblicità all’interno dei loro abbonamenti durante il corso del 2021 e Netflix e Disney+, i più grandi e importanti nomi del settore hanno fatto lo stesso durante il corso del 2022.
Prime Video di Amazon era l’ultimo baluardo a non aver introdotto le pubblicità all’interno del suo modello di sostentamento ma il divertimento sembra essere finito anche qui. Quello che sembra essere chiaro è che il mondo dello streaming non è diventato altro che una versione più curata di certe televisioni via cavo, con dei modelli di abbonamento che nel corso del tempo non hanno fatto altro che dimostrarsi incapaci di accontentare i portafogli degli spettatori ma, sopratutto, la fame di denaro delle aziende.
Nell’universo dei modelli di abbonamenti i clienti sono rappresentati dagli spettatori dei servizi di streaming e attraverso i soldi che loro danno permettono all’azienda di costruire i contenuti premium; nei modelli con ricavi pubblicitari, invece, gli spettatori non sono altro che il prodotto che l’azienda che realizza i contenuti vende agli inserzionisti; con i soldi di questi ultimi poi vengono realizzati i prodotti che aiutano la piattaforma a ottenere nuovi clienti e a far continuare questo ciclo vizioso fatto di pubblicità.
Problemi di crescita ed ecosistemi
L’unica vera differenza tra la televisione via cavo classica e i servizi di streaming è la forma di curatela; nella prima i palinsesti non sono curati in maniera algoritmica, nella seconda si invece, sfruttando le preferenze dell’utente a proprio vantaggio. Di certo quello che sappiamo per certo è che il passaggio dei modelli ad abbonamento verso i classici sistemi di sostentamento pubblicitari implica che i primi non riescono ad essere redditizi su larga scala e che lo sono soltanto quando c’è una costante crescita molto ingente dal punto di vista numerico.
L’unico esempio “virtuoso” in tal senso è ancora oggi rappresentato da Apple, con la sua Apple TV che rimane ancora prima di pubblicità. Le motivazioni dietro questo genere di differenza sono semplici da comprendere però visto che Apple non ha bisogno di essere redditizia poiché è uno dei tanti elementi accessori all’intero ecosistema di prodotti Apple. Un discorso simile, chiaramente, si può fare anche per il colossi di Bezos con la sostanziale differenza che, a conti fatti, il colosso dell’e-commerce ha scelto un altra strada da percorrere.
Ah, nessuna informazione specifica è stata rivelata per quanto riguarda il business model proprio dell’Italia ma inutile farsi false speranze; durante il corso dei prossimi mesi, plausibilmente, scopriremo le pubblicità approderanno tanto in Europa quanto nel nostro “bel paese”