Uno studio rivela che l’iniezione di una particolare proteina può migliorare le funzioni cognitive delle scimmie anziane.
I risultati, pubblicati il 3 luglio da Nature Aging, potrebbero rivoluzionare i trattamenti per le malattie neurodegenerative.
Un’iniezione di proteina per combattere l’invecchiamento: è davvero possibile?
L’invecchiamento è una strada a senso unico, in cui l’usura della vita deteriora inevitabilmente la memoria e la cognizione, e con l’età che avanza è sempre più difficile recuperare queste funzioni. Un limite che costantemente i ricercatori di tutto il mondo tentanto di superare, o quanto meno raggirare, spesso senza alcun risultato. Nonostante tutto, a cambiare le carte in tavola potrebbero essere i risultati di un’esperimento pubblicati proprio in questi giorni!
Una nuova terapia, messa in piedi dai ricercatori di Yale e dell’Università della California e testata su delle scimmie anziane, suggerisce che questa tendenza potrebbe essere contrastata con un’iniezione di una proteina naturale chiamata klotho. È la prima volta che il ripristino dei livelli di klotho viene dimostrato e migliora effettivamente la cognizione di un primate: un passo importante nel lungo cammino verso la possibilità di vedere se il klotho potrebbe aiutare gli esseri umani che hanno a che fare con il morbo di Alzheimer e altre condizioni legate all’invecchiamento.
Il protagonista della ricerca: il klotho
Il klotho è una proteina naturale prodotta dai reni che prende il nome dalla dea greca Clotho, una delle Parche che tesse il filo vita, e diminuisce nel nostro corpo con l’avanzare dell’età. Oltre a controllare la sensibilità all’insulina delle nostre cellule, la proteina sembra coinvolta nel processo di invecchiamento. La proteina è stata scoperta per la prima volta nel 1997 dal patologo Makoto Kuro-o dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze di Tokyo.
Kuro-o ha dimostrato che i topi privi di klotho soffrivano di quella che ha definito una “sindrome che assomiglia all’invecchiamento umano”. Il patologo giapponese ha poi scoperto che i topi che producevano più klotho vivevano dal 20 al 30% in più rispetto a quelli con livelli normali. Inoltre, alcune ricerche successive sui topi hanno dimostrato che le iniezioni di klotho possono allungare la vita di questi piccoli animali e aumentare la loro plasticità sinaptica, ovvero la capacità del sistema nervoso di apprendere e fare esperienza, modificando l’intensità delle relazioni interneuronali, permettendo di instaurarne di nuove e di eliminarne altre.
Lo studio ha testato le capacità cognitive di 18 macachi rhesus anziani di circa 22 anni, che equivalgono più o meno a 65 anni umani, prima e dopo una singola iniezione di klotho, aumentando la proteina fino ai livelli presenti normalmente al momento della nascita. Per provarne l’efficacia, i ricercatori hanno utilizzato un esperimento comportamentale per testare la memoria spaziale: le scimmie dovevano ricordare la posizione di un bocconcino commestibile, posto in uno dei vari contenitori sparsi e nascosti dai ricercatori.
“Il declino cognitivo dovuto all’invecchiamento è uno dei nostri problemi biomedici più urgenti, in assenza di farmaci veramente efficaci”, afferma Dena Dubal, professore di neurologia alla UCSF e autore senior dello studio pubblicato da Nature Aging. Dopo aver scoperto, casualmente in un lavoro precedente, che il klotho aumenta la cognizione nei topi, dice, “è diventato importante testarlo in un cervello simile al nostro”.
I grandi risultati dell’esperimento sui primati
Nel complesso, gli animali hanno fatto scelte corrette più spesso di quanto non facessero prima di ricevere l’iniezione. Il team ha testato le scimmie con due versioni della prova: una più facile, in cui c’erano meno scomparti tra cui scegliere, e una più difficile, dove il numero dei contenitori era decisamente maggiore. Conclusi i test i ricercatori hanno appurato che il klotho ha migliorato le loro prestazioni: nella versione più facile della prova c’è stato un progresso del 6%, mentre la versione più difficile ha registrato miglioramenti che raggiungono persino il 20% di miglioramento.
“Dati gli stretti parallelismi genetici e fisiologici tra i primati e gli esseri umani, questo potrebbe suggerire potenziali applicazioni per il trattamento dei disturbi cognitivi umani“, afferma Marc Busche, neurologo del gruppo UK Dementia Research Institute dell’University College di Londra.
I ricercatori hanno fatto svolgere alle scimmie il compito più volte nel corso di due settimane e hanno visto che, anche se il klotho viene scomposto dall’organismo entro un paio di giorni dall’iniezione, l’effetto di miglioramento cognitivo è durato per tutto il lasso di tempo: “Il fatto che possa essere somministrato una volta e durare per due settimane sembra ottimo, anche se a questo punto non sappiamo se la somministrazione ripetuta funzionerebbe di nuovo”, afferma Eric Verdin, direttore generale del Buck Institute for Research on Aging: pur essendo un esperto del settore, precisiamo che Verdin non ha partecipato alla ricerca.
In effetti, quando il team di Dubal ha somministrato alle scimmie dosi di 10, 20 e 30 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo, i benefici si sono fermati alla dose da 10 microgrammi: ciò solleva un’importante dubbio nei ricercatori, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di poter un giorno testare l’efficacia delle iniezioni di klotho direttamente sull’uomo.