Brutte notizie per chi possiede criptovalute: se non vengono dichiarate si rischiano multe salate e persino il carcere
Le criptovalute hanno rappresentato un’enorme novità economica nell’ultimo decennio, tra alti e bassi. Si sono poste, inizialmente, come un nuovo tipo di investimento e, di fatto, i primi che ci hanno creduto hanno aumentato esponenzialmente i loro profitti con una somma minima di partenza.
Ora, però, la situazione è ben diversa. Negli ultimi due anni il valore delle crypto è sempre più in calo. Ovviamente, l’idea di investimento è sempre più scemata e, oggi, salvo il classico spot pop-up in internet che promette di diventare milionari, in pochi credono ancora nella loro convenienza.
Quindi ora a cosa servono?
La funzione delle criptovalute è inevitabilmente cambiata. Adesso vengono utilizzate prevalentemente o come azioni, quindi per “puntare” piccole somme sperando in un’improvvisa impennata del valore, o come deposito. Naturalmente, chi trasforma grosse somme di denaro in crypto, generalmente lo fa perché tali somme non andrebbero depositate in banca.
Pensiamo, ad esempio, a possedere 100 mila euro che non dovremmo possedere (magari ricavati da una frode fiscale o peggio): non potendoli dichiarare, piuttosto che nasconderli in contanti sotto al materasso, è molto più facile tramutarli in criptovalute, pur perdendo un minimo della somma.
Inoltre, anche senza prendere in considerazione illeciti, le crypto fino a poco tempo fa non venivano riconosciute dal nostro ordinamento. Pertanto, non venivano nemmeno tassate consentendo, di fatto, di evadere le tasse a chiunque convertisse i risparmi posseduti. Questa procedura ha allertato il Fisco italiano, sempre pronto a scovare i nuovi modi per frodare l’erario.
Provvedimenti seri
Nel corso del 2023, la normativa fiscale relativa alle criptovalute è stata modificata nuovamente. Nonostante la loro posizione complessa sul mercato finanziario, le criptovalute possono essere considerate parte del reddito complessivo di una persona e, di conseguenza, soggette al pagamento delle relative tasse statali, come qualsiasi altra forma di ricchezza.
Con l’approvazione della Legge di Bilancio 2023, l’Italia ha introdotto una regolamentazione decisa riguardante questi particolari asset finanziari. Allineandosi all’Unione Europea in merito alla normativa sulle criptovalute, il governo italiano ha stabilito che le criptovalute devono essere dichiarate nella dichiarazione dei redditi utilizzando il modello Persone Fisiche, che ora presenta due sezioni specificamente dedicate a tali asset.
Nel Quadro RT, è necessario dichiarare i redditi derivanti dalle criptovalute, che si sommano ad altri redditi provenienti da strumenti finanziari come azioni e obbligazioni. Nel Quadro RW, invece, è obbligatorio indicare il valore delle criptovalute ai fini del monitoraggio fiscale.
Quanto e cosa dichiarare?
In base a quanto stabilito dalla Legge di Bilancio, sulle criptovalute e asset simili si deve pagare un’imposta di bollo pari allo 0,2% del valore complessivo dei redditi derivanti da tali fonti. La prima scadenza per il pagamento di queste imposte è prevista per giugno 2024. Le criptovalute e gli asset non dichiarati all’Agenzia delle Entrate sono soggetti a sanzioni molto gravi. La corretta dichiarazione delle criptovalute nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi è un obbligo fiscale fondamentale.
Cosa rischia chi non lo fa
Secondo la normativa vigente, le sanzioni per l’omissione della dichiarazione dei redditi derivanti dalle criptovalute e dagli asset possono variare dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, che vanno aggiunti alla somma dovuta che deve comunque essere pagata. La percentuale di sanzione applicata dipende dalla gravità della violazione.
Le sanzioni per la mancata dichiarazione delle criptovalute e degli asset aumentano nel caso in cui tali asset siano detenuti all’estero, in paesi che rientrano nella lista nera italiana. In tal caso, la sanzione raddoppia e può variare dal 6% al 30% dei redditi complessivi derivanti dalle criptovalute. Nel caso in cui il reddito derivante dalle criptovalute e dagli asset detenuti in uno dei paesi della lista nera superi i 50.000 euro, potrebbe esserci persino un’aggravante che comporta la reclusione in carcere.