I nuovi mezzi di comunicazione come social media e servizi di messaggistica istantanea, rappresentano per molti versi, delle semplificazioni incredibili nella vita di tutti i giorni. Comunicare è diventata una pratica veloce, economica e che riesce a mettere in contatto realtà provenienti da tutte le parti del mondo, al solo prezzo di una smartphone e di una connessione ad internet. Ma quanto è giusto riporre totale fiducia in servizi come Messenger, Telegram o WhatsApp?
WhatsApp e la privacy
WhatsApp, sin dalla sua creazione avvenuta nel 2009 per mano di due ex dipendenti di Yahoo, è uno dei servizi di messaggistica istantanea che più viene utilizzato al mondo. Si parla di circa 2 miliardi di utilizzatori singoli ogni mese, una cifra incredibile e che pochi altri servizi possono vantare.
WhatsApp è stato acquisito nel 2014 dal gruppo imprenditoriale Meta (di cui fanno parte altri servizi come Facebook e Instagram) e, anche grazie a questo, ha iniziato ad evolversi così da diventare molto più che una semplice applicazione per inviare messaggi di testo. L’evoluzione è stata graduale ma, ormai, si fa quasi fatica a ricordare com’era WhatsApp senza tutte le funzioni che lo caratterizzano.
Basti pensare alle note vocali, con cui è possibile comunicare nel caso fossimo impossibilitati a scrivere; la possibilità d’inviare foto e video e di poterlo fare, tra l’altro, anche mantenendo la qualità dell’immagini alta, pari all’originale, grazie a uno degli ultimi aggiornamenti di cui vi abbiamo parlato qui.
A ciò si aggiungono le chiamate vocali e le videochiamate, funzioni che hanno conosciuto il loro apice d’utilizzo nei periodi più critici della pandemia globale di Corona Virus che ha costretto in casa la maggior parte della popolazione. E proprio grazie a questa, si è arrivati a dei miglioramenti come ad esempio la possibilità di effettuare siamo chiamate vocali che videochiamate con 32 persone in contemporanea, rendendole ottimi strumenti sia per svago che per lavoro.
Ma non è tutto rose e fiori. Il colosso della messaggistica istantanea infatti, si è ritrovato al centro di una spinosa questione che riguarda il trattamento dei dati. Nonostante dai più, WhatsApp venga considerato molto sicuro, anche grazie a meccanismi come la crittografia end-to-end (di cui vi spieghiamo il funzionamento in questo articolo), alcuni non la pensano così.
WhatsApp multata
L’amara questione per WhatsApp, nasce il 25 maggio del 2018. In quella data infatti, entrava in vigore il nuovo GDPR, un regolamento europeo che riguarda la gestione dei dati degli utenti ma, stranamente, WhatsApp, aveva aggiornato già in precedenza i propri termini di servizio. A seguito del reclamo di un soggetto tedesco, iniziano le indagini.
A detta del denunciate infatti, WhatsApp chiedeva agli utenti che avrebbero voluto continuare ad avere accesso al servizio anche dopo l’introduzione del GDPR, di cliccare su “Accetta e Continua” per accettare i nuovi termini. Altrimenti, sarebbe stato impossibile utilizzare l’applicazione.
WhatsApp pensava infatti che, il semplice accettare quei termini, desse vita ad un vero e proprio contratto tra azienda e utente e che, di conseguenza, l’utilizzo di dati per miglioramento del prodotto e dei servizi ad esso collegati, fosse naturalmente incluso nell’accordo. A detta del denunciate però, WhatsApp voleva utilizzare quel consenso come base legale a cui appigliarsi per il trattamento dei dati degli utenti.
In altre parole, WhatsApp poneva gli utenti nella condizione di dover necessariamente accettare i Termini di servizio, pena l’inaccessibilità ai servizi. Di fatto, stava obbligando gli utenti a sottoscrivere un contratto che desse accesso al trattamento dei loro dati personali.
L’indagine è stata portata avanti dalla Commissione per la protezione dei dati irlandese, la DPC (Data Protection Commission) e si è conclusa con l’erogazione di una multa di ben 5,5 milioni di euro, per “violazione del GDPR”. Oltre al fattore pecuniario, la società è stata anche obbligata a portare il trattamento dei dati in un, cosiddetto, territorio di conformità con la norma europea, entro e non oltre 6 mesi.
Ciò che il DPC ha riscontrato è stata una mancanza di trasparenza sul trattamento dei dati. Tuttavia, già in precedenza lo stesso DPC aveva inferto a WhatsApp multe per simili motivi di trasparenza, per un ammontare di circa 225 milioni di euro e non aveva quindi proposto ulteriori sanzioni. Ma il caso è stato preso in carico anche dallo European Data Protection Board (EPDB), equipollente del DPC ma a livello europeo.
Il 5 dicembre 2022, l’EPDB accoglie formalmente le posizioni del DPC, riguardante l’inserimento di una sola ulteriore violazione e il 12 gennaio, il DPC accoglie la decisione vincolante proposta dall’EPDB per cui WhatsApp non ha diritto di far valere la base legale del contratto, per miglioramenti e sicurezza del servizio.
Pertanto, vista l’ulteriore infrazione, il DPC ha agito erogando la sanzione da 5,5 milioni di euro. I vertici di WhatsApp si sono però detti intenzionati a fare ricorso, dichiarando “Crediamo fermamente che il modo in cui il servizio opera, sia tecnicamente e legalmente conforme”.