Sembra proprio che l’ondata di scandali che ha travolto l’azienda di Mark Zuckemberg ultimamente non sia destinata a diminuire in alcun modo. Due giorni fa Facebook ha dichiarato che 14 milioni di post privati sono stati resi pubblici per colpa di un bug interno al social network.
Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica ecco l’ennesima gatta da pelare per il colosso dei social network; l’ennesimo scricchiolio di una struttura mastodontica che, però, non sembra davvero destinata a crollare in tempi brevi.
Scopriamo insieme cosa è successo stavolta all’interno dell’ecosistema di Facebook.
Il bug incriminato ha riguardato il tool che Facebook integra per permettere ai suoi utenti di scegliere a chi far vedere i propri contenuti. Questo tool, nella sua impostazione predefinita, mantiene la scelta fatta dall’utente l’ultima volta che ha postato qualcosa. Il bug, che è rimasto attivo dal 18 di Maggio al 27 dello stesso mese, cambiava tale impostazione e rendeva qualsiasi tipo di post pubblico in modo automatico, senza chiedere nulla all’utente.
Questo problema ha interessato, nel corso di quei nove giorni, i post di quattordici milioni di utenti del social network.
Facebook ha dichiarato di aver risolto il problema nel corso della prima settimana di Giugno e di star informando uno ad uno gli utenti colpiti da tale bug con delle notifiche e delle comunicazioni ad-hoc.
Nel risolvere tale bug l’azienda ha anche modificato le impostazioni di visualizzazione dei post colpiti dal bug, facendoli ritornare tutti quanti nell’anonimato.
L’ammissione di responsabilità istantanea da parte di Facebook non è altro che un riflesso della nuova linea che l’azienda di San Francisco sta seguendo dopo l’enorme scandalo di Cambridge Analytica; quest’ultimo caso ha infatti cambiato radicalmente l’immagine dell’azienda agli occhi dei consumatori e degli investitori stessi, alterando gli umori di chi in Facebook vedeva uno strumento super-partes.
Differentemente dall’ultimo scandalo, il bug che ha afflitto questa volta Facebook, ha leakkato una differente tipologia di dati, meno importante di quelli utilizzati per scopi politici con Cambridge Analytica. Al momento si pensa che non sia possibile per nessuno utilizzare tali post per targhettizzare in modo corretto delle pubblicità come è invece successo per il precedente scandalo di Facebook.
Ovviamente tutte le scuse del mondo non bastano per insabbiare e risolvere definitivamente un problema; nel corso degli ultimi tempi stiamo notando sempre di più come le infrastrutture che regolano il nostro modo di vivere (perché è quello che fanno i social network o i marketplace) stiano sempre più mostrando il fianco a problemi di tipo informatico.
Sebbene l’ultimo caso eclatante (quello di Steam) fosse molto più pericoloso legalmente parlando a causa della tipologia di attacco possibile e alla tipologia di dati a cui si potevano risalire, il bug di Facebook avrebbe potuto creare molti danni su piccola scala, provocando licenziamenti o problemi di tipo relazionale.
Sembra comunque che i problemi non finiscano qui: nel corso dei passati giorni Facebook è finito, di nuovo, al centro del ciclone per una diffusione impropria dei dati, stavolta condivisi senza il consenso degli utenti alle più grandi aziende tecnologiche del mondo come Amazon, Apple, Blackberry o Samsung; questo è stato poi seguito da un inchiesta del New York Times dove viene descritto un accordo per la condivisione di tali dati con quattro grandi società cinesi, tra cui il colosso Huawei.
Sembra proprio che Facebook abbia ancora da far parlare di se all’interno di tribunali e corti supreme, restate su Player.it per restare aggiornati e sapere sempre per quale altro motivo Mark Zuckenberg rischia di finire all’inferno dei CEO.
This post was published on 8 Giugno 2018 17:19
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