Eric Lundgren, 33 anni, dovrà passarne almeno uno dietro le sbarre.
Una condanna leggera, considerando i 54 anni che rischiava all’inizio di questa storia, ma pur sempre una condanna che, oggettivamente, non sarebbe stata neppure presa in considerazione in altre situazioni. Procediamo per gradi, iniziando proprio da lui.
Da qualche anno a questa parte il signor Lundgren si è scelto un campo specifico per svolgere la sua attività (che, sia chiaro, non è quella del truffatore, ma quella dell’imprenditore). Tale settore è quello del riciclaggio del materiale informatico.
Come molte cose su cui tendiamo a non informarci, l’e-waste è un problema che in Italia non ha ancora un nome specifico… non catchy quanto “e-waste”, se non altro. Ci limiteremo quindi a chiamare “scarti elettronici” quell’enorme cimitero di dispositivi obsoleti che la frenetica rapidità dello sviluppo informatico ha prodotto negli ultimi vent’anni. Questo cimitero è in espansione costante ed esponenziale e costituisce per i Paesi che hanno la sfortuna di ospitare sconfinate discariche a cielo aperto di nostri vecchi apparecchi anche una pericolosa fonte d’inquinamento (dell’aria, del suolo, dell’acqua, con dirette ed immediate conseguenze sulla salute umana).
Dopo aver vissuto in Cina per studiare il flusso di scarti elettronici Eric Lundgren ha fondato la prima azienda di electronic hybrid recycling negli Stati Uniti, la IT Assets Partners. Il signor Lundgren ha fatto recentemente parlare di sé il 1 Aprile, quando ha costruito un’automobile elettrica utilizzando solo componenti riciclate e la scocca di una BMW 528i del 1997. È costata 14 mila dollari e 35 giorni di lavoro e l’ha battezzata Phoenix, in nome di tutti quegli apparecchi buttati che sarebbero stati destinati ad essere smantellati e fusi se egli non li avesse fatti rinascere dalle loro ceneri nel motore dell’auto. Non è questo, ovviamente, il motivo per cui la Phoenix ha fatto parlare di sé, quanto il fatto che è riuscita a battere il record di percorrenza della Tesla Model S, detentrice del titolo, facendo 1600 km con una sola carica.
Il signor Lundgren non voleva prepararsi un futuro nell’industria delle automobili, solo dimostrare una tesi: la stragrande maggioranza dei prodotti elettronici che buttiamo può essere riutilizzata. Non c’è un motivo utile e razionale dietro lo scioglierli e fonderli assieme, o abbandonarli in una discarica. Al confronto le potenzialità dell’hybrid recycle sembrano essere davvero enormi.
I problemi sono iniziati quando il signor Lundgren si è deciso a voler dimostrare un’altro punto: se i consumatori medi e gli analfabeti informatici avessero a disposizione dei dischi di ripristino la maggior parte dei computer “rotti” non finirebbe nella pattumiera. E la vita media di ogni computer aumenterebbe parecchio.
Egli ha affermato di aver compreso che la maggior parte delle persone perde (o direttamente butta) il disco di ripristino cui ha diritto acquistando un computer con una licenza Windows e che non sanno di poter scaricare gratuitamente il software di ripristino dal sito della DELL e/o che non si sentono sufficientemente competenti da crearsi tale disco in autonomia. Il risultato è che queste persone vengono truffate da eventuali tecnici, che i tecnici onesti perdono il loro tempo a svolgere operazioni per cui difficilmente possono farsi seriamente pagare e che molte, troppe persone si limitano a buttare i propri dispositivi quando “non si accendono più” o “si spengono da soli”.
Per dimostrare tale tesi Lundgren era pronto a vendere 25000 dischi di ripristino a 25 centesimi di dollaro l’uno ai negozi di informatica. Stando a quanto sostiene il signor Lundgren questi dischi non sarebbero dovuti essere destinati alla vendita, ma alla cessione gratuita da parte dei negozi di elettronica e di riparazione a tutti quei clienti i cui problemi si sarebbero potuti risolvere con un banale backup.
Tutto procede molto lentamente, fino a quando un broker della Florida con cui Lundgren era in contatto per gestire questa operazione si offre di acquistare tutti i dischi a 3400 dollari per, a suo dire, un “programma governativo”.
Il programma governativo in questione altro non è che l’arresto di Eric Lundgren.
L’imprenditore non poteva immaginare, infatti, che uno dei carichi dei suoi dischi era stato intercettato alla dogana nel 2012 attirando l’interesse dell’FBI e facendo partire un’investigazione. Come nelle migliori spy-story, Robert Wolff (il broker) si offrirà di collaborare con l’autorità, proponendo al signor Lundgren di acquistare tutti i dischi. Affinché ci fosse un crimine, infatti, era necessario che i dischi venissero venduti e che non restassero a prendere polvere in un magazzino come era capitato negli ultimi anni.
Appena Eric Lundgren vende viene accusato assieme a Robert Wolff di associazione a delinquere, traffico di materiale contraffatto e violazione del copyright. Il broker, patteggiando, se la cava con sei mesi di domiciliari. Mentre il signor Lundgren si dichiara colpevole di un crimine di cui un giudice, in un tribunale senza giuria, dovrà stabilire l’entità.
Daniel T.K. Hurley, un giudice di 75 anni, si ritrova quindi nella spiacevole situazione di dover capire cosa sia un disco di ripristino.
L’avvocato di Microsoft scriverà al giudice che “la vendita di sistemi operativi contraffatti ostacolerà la possibilità di Microsoft di guadagnare sui sistemi operativi ufficiali” e allegherà una stima in cui il reale valore di tali dischi sarebbe di 299 dollari l’uno. Se questa stima non fosse stata rivalutata in fase d’appello, Eric Lundgren avrebbe trascorso cinquantasei anni in prigione.
Dopo aver compreso che i dischi non contenevano sistemi operativi “pirata”, ma solo un software per la formattazione e il ripristino in grado di funzionare solo su computer già in possesso di licenza Microsoft, l’azienda stessa ha dovuto riconoscere che il valore di tale dischi era di soli 25 dollari al pezzo, basandosi sul prezzo dei dischi di ripristino che la Microsoft incorpora nel valore dei computer con cui li vende. Questo è, secondo Eric Lundgren, il suo avvocato e perfino uno degli esperti chiamati a testimoniare dal governo degli Stati Uniti: Glenn Weadok, un errore. Essendo privi di certificato di autenticità (oltre che di licenza pirata, come già detto) i dischi venduti dal signor Lundgren dovrebbero valere tanto quanto il software di ripristino gratuito che si può scaricare in qualunque momento dal sito della DELL come immagine iso: zero dollari l’uno. È attorno a questa disputa che prende forma l’intera vicenda.
Eric Lundgren si dichiarerà infatti colpevole fin da subito di aver venduto materiale “contraffatto” (pur se a qualcuno che considerava un collega e pur se, fidandoci di quanto egli ha dichiarato, nel suo piano originale tutti i dischi sarebbero stati venduti a molto meno di 3400 dollari, ma solo alla cifra sufficiente a rientrare della spesa effettiva dell’acquisto di un cd vuoto). Colpevole di tutto, in realtà, perfino dell’associazione a delinquere con qualcuno che l’ha incastrato e della violazione del copyright. Ma punterà i piedi fino alla fine sostenendo che non solo il suo “crimine” non ha danneggiato minimamente la Microsoft o coloro che ci lavorano, ma anche arrivando a sostenere che, in realtà, allungare la vita di un computer va a vantaggio della Microsoft e a svantaggio di chi, come lui, ricicla computer rotti.
Nonostante i dischi di ripristino di Eric Lundgren non funzionassero su computer privi di licenza Windwos, nonostante non installassero un sistema operativo contraffatto o pirata, ma fossero solo una versione differente di un software già gratuito presente nel sito della DELL, nonostante le parole dell’esperto Glenn Weadok che affermerà che il prezzo di un disco di ripristino che non comprende licenza né codice di autenticità è “vicino a zero dollari”, il prezzo dei singoli dischi del signor Lundgren (e di conseguenza il presunto danno fatto dall’imprenditore alla Microsoft) viene fissato a 25 dollari. Egli dovrà trascorrere 15 mesi in prigione e pagare una multa di 50 mila dollari.
Il giudice Hurley crea così un precedente non da poco, rendendo illegale la vendita di un qualsiasi disco di ripristino e, di conseguenza, minando le fondamenta del mercato dei computer ricondizionati. Egli dirà al signor Lundgren che: “è stata una sentenza difficile” poiché “ho creduto a tutto quello che mi hai detto. Sei una persona degna di merito” (utilizzerà il termine “remarkable”).
Eric Lundgren si limiterà ad affermare che “nessuno nella corte ha capito cos’è un disco di ripristino” e lo scorso lunedì ha chiarito:
Andrò in prigione e l’ho accettato. Mi sta bene. Quello che non mi sta bene è che la gente non capisca il motivo per cui sono finito. Spero che la mia storia possa gettare una luce sull’epidemia di scarti elettronici che c’è negli Stati Uniti e sull’enorme spreco che rappresenti. Che punto dobbiamo raggiungere perché la gente si alzi in piedi e dica qualcosa? Io non ho detto qualcosa. L’ho fatto e basta.
Eric Lundgren ha inoltre recentemente affermato che l’accusa gli aveva intimato di non rivolgersi ai media e di non fare della sua storia un caso di dominio pubblico. Stando a quanto egli racconta, infatti, se avesse fatto così avrebbe avuto “un paio di settimane per mettere in ordine i suoi affari finanziari” e proteggere al meglio la sua compagnia e chi ci lavora, altrimenti “sarebbero venuti a prenderlo”. Sappiamo che scelta ha fatto, ovviamente, o la sua storia non sarebbe arrivata fin qui.
Microsoft non è restata in silenzio, ovviamente, non dopo l’affermazione di Lundgren di lunedì scorso, a cui si è sentita di dover rispondere tramite la testata The Verge:
Microsoft ha lavorato con riciclatori responsabili di materiali elettronici ed infromatici ed ha riciclato più di undici milioni di e-waste dal 2006 ad oggi. Diversamente dalla maggior parte dei riciclatori di tali materiali, tuttavia, il signor Lundgren ha tentato di contraffare software, spacciarli per legittimi e venderli ad altri distributori. La contraffazione di tali software avrebbe esposto consumatori che avrebbero acquistato tali PC ricondizionati a malware e altre forme di cybercrimine, che avrebbero messo la loro sicurezza a rischio e, inoltre, danneggiato il mercato dei prodotti riciclati.
La Microsoft ha pubblicato anche un esteso post sul suo blog, redatto dal Vicepresidente alla Comunicazione Frank X. Shaw nel quale sottolinea alcuni punti. Primo tra tutti il fatto che non è stata la Microsoft a portare l’attività del signor Lundgren all’attenzione dell’FBI, ma la dogana degli Stati Uniti. Si spiega anche che Eric Lundgren aveva costruito una complessa rete di contraffazione in Cina, che era stato avvisato dell’illegalità delle sue azioni e che si è rifiutato di interromperle risparmiandosi di finire in tribunale e che, dalle e-mail che l’FBI aveva intercettato, emergesse la sua volontà di far apparire il software più simile possibile all’originale.
In ultima analisi, tuttavia, le colpe del signor Lundgren non sarebbero state sufficienti a mandarlo in prigione per un anno e tre mesi se il giudice avesse realmente compreso il valore economico di quei dischi. Qualsiasi perdita la Microsoft afferma che avrebbe potuto subire (se i dischi fossero stati venduti realmente, anziché essere venduti per incastrare l’eco-imprenditore) sarebbe minima per non dire inesistente ed impossibile da calcolare con reale precisione. Allo stesso modo la somiglianza del software di Eric Lundgren con l’originale e le sue e-mail non dimostrano in alcun modo che egli avesse tentato di falsificare eventuali certificati d’autenticità, per cui sarebbe comunque azzardato parlare di contraffazione. Il governo l’avrebbe accusato e trascinato in tribunale se si fosse trattato di un possibile caso di plagio? Certo che no. Tutto questo è avvenuto perché l’FBI e il governo hanno supposto la presenza di un danno economico che, conti alla mano, non si è verificato.
This post was published on 8 Maggio 2018 18:00
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