Il gigante della mela morsicata, l’azienda più iconica della storia della tecnologia, i paladini della rivoluzione smartphone. Già con un trio di epiteti simili sapete benissimo che stiamo parlando di Apple, azienda attualmente guidata da Tim Cook e precedentemente trainata dalla figura messianica di Steve Jobs.
Ultimamente Apple non se la sta passando benissimo a causa di una lunga serie di problematiche tra smartphone non eccezionali, problemi legali e altre menate di questo tipo. A peggiorare la situazione, di molto, stavolta ci ha pensato direttamente la corte suprema americana con una decisione estremamente importante.
L’organo giuridico americano ha di fatto legittimato la possibilità per gli utenti di eseguire Class Action, azioni legali collettive nella quale si possono aggregare i proprietari dei melafonini, nei confronti di Apple stessa per posizione dominante.Nessun giudizio di colpevolezza è stato per ora espresso, ma già la possibilità per gli utenti di muovere simili azioni legali nei confronti di un colosso è un buon passo avanti.
La difesa degli avvocati di Cupertino, questa volta, non ha retto nonostante le curiose strategie adottate.
Perchè Apple adesso può essere bersaglio di class actions?
La class action di cui andiamo a parlare oggi accusa Apple di aver messo in piedi, grazie al suo store proprietario, un vero e proprio monopolio delle applicazioni. Non esistono modi leciti per acquistare un applicazione che non passino per lo store di Apple, motivo per cui non è possibile parlare di concorrenza su tale piattaforma.
Data questa sua posizione di vantaggio nel mercato, Apple per l’accusa gonfia le commissioni che percepisce: in modo non dissimile da Steam, il colosso di Cupertino si riporta a casa il trenta percento delle commissioni su ogni transazione e nel caso di abbonamenti, partendo dal secondo anno, questa percentuale scende al quindici percento.
Questo comportamento della compagnia finirebbe per influenzare i prezzi delle applicazioni che gli utenti comprano: essi si gonfierebbero e porterebbero un guadagno esagerato alla compagnia madre.
Per tentare di smontare la Class Action Apple ha messo in piedi una difesa certosina, cercando in un caso americano del 1977 un problema analogo.
Tale caso, avente per protagonista un azienda produttrice di mattoni, ha avuto un’importanza enorme nella storia delle cause antitrust americane.
La Illinois Brick Company era una compagnia produttrice di mattoni che faceva il prezzo e vendeva i propri prodotti ad una serie di aziende che ottenevano appalti pubblici. All’epoca lo stato dell’Illinois fece causa a tale aziende perché si lamentava dei prezzi imposti; questi prezzi si scaricavano su praticamente tutta la filiera dei lavori e andavano a pesare sulle casse pubbliche alla fine.
All’epoca la corte Suprema bloccò l’azione dell’ antitrust perché, a suo dire, solo un acquirente diretto avrebbe potuto avanzare una proposta del genere.
Apple si è paragonata all’Illinois Brick Company, cercando di definire gli acquirenti delle app come distanti da loro a causa degli sviluppatori di app, quelli che risultano i venditori diretti.
Tale versione degli eventi non è piaciuta alla corte suprema che non ha accettato la difesa; una simile linea di pensiero per Apple fungerebbe da terribile precedente per tutti i rivenditori monopolistici che potrebbero semplicemente strutturare la transazione al fine di eludere con certezza praticamente matematica le richieste da parte dei consumatori.
La corte suprema, in sostanza, ha evitato che in futuro le aziende possano fuggire da accuse del genere a causa della presenza di intermediari tra loro ed il pubblico.
Ora che succede ad Apple?
Il percorso che al momento si apre in quel di Apple è piuttosto lungo e irto di pericoli.
Anche partisse domani una class action di massa è difficile che essa possa chiudersi prima di un paio d’anni e la sconfitta di Apple è tutto fuorché scontata.
In caso di vittoria da parte del pubblico le multe avrebbero cifre estremamente importanti, vista la massa di gente che potrebbe far ricorso a tale pratica legale e a queste si dovrebbe sommare un terribile contraccolpo mediatico.
In borsa Apple, nella seduta successiva al giudizio della corte suprema, ha perduto qualcosa come il 5%, il tutto perché sono state ritenute legittime eventuali class action per monopolio; immaginate che risultati potrebbe avere in borsa se alla fine dovesse pure risultare colpevole.
I soldi in ballo sono moltissimi anche perché, in questo caso, a venir colpito dalla class action sarebbe il secondo settore più remunerativo dell’azienda: i servizi. Questi, nel corso degli ultimi anni della compagnia, sono stati la forza trainante dopo i risultati non proprio felicissimi degli ultimi modelli di iPhone. Nonostante lo streaming di Apple Music e tutti i servizi legati alla salute stiano pian piano portando a casa dei risultati, le tariffe dell’App Store restano il punto di forza assoluto della compagnia.
E pensare che Tim Cook, rispondendo alle accuse mosse da Spotify qualche tempo fa, aveva gettato una linea difensiva in cui definiva Apple come lontana da una posizione dominante. L’azienda, secondo i dati dichiarati dal suo CEO, aveva dalla sua il 15% del mercato degli smartphone ed aveva tutto il diritto di inserire ciò che voleva all’interno del suo ecosistema.
“Se possiedi il negozio all’angolo hai il diritto di decidere cosa va nel tuo negozio, l’app store è di proprietà di Apple e Apple decisa cosa e come vendere in tale luogo”.