C’è una deriva dei remake che sta travolgendo il mondo videoludico, discutiamone insieme e scopriamo perché la carbonara con le farfalle non è il massimo.
Proprio qualche giorno fa ho finito Until Dawn remake. Ho posato il controller, mi sono stiracchiato la spalla sinistra, che si indolenzisce sempre, e mi sono detto “Carbonara. Con spaghetti, anzi, con i rigatoni. Ci vuole!”
Così sono andato in cucina, ho aperto il mobile per prendere i rigatoni ma non ero pronto a ciò che mi aspettava oltre quel portello di legno: farfalle. Solo farfalle. Piccole, grandi, rigate. Sembrava la collezione di un entomologo del carboidrato. C’erano farfalle stipate ovunque (e un fondino di mezze penne lisce aperto che abbiamo un po’ tutti nell’angolo della credenza). Delusione. La stessa di quando annunciano un remake invece che un gioco nuovo. Quella delusione che nella vita è sempre in agguato e sobilla domande scomode tipo: ha senso continuare a giocare giochi che abbiamo già giocato? Ha senso continuare a puntare sulle stesse IP? Ha senso farsi la carbonara con le farfalle?
Dare una risposta a queste domande non è semplice. O meglio: potremmo lasciar rispondere lo stomaco, scrivere qualche frase al veleno sotto il trailer del remake appena annunciato e poi andare a mangiare la prima cosa che troviamo, mi piace pensare però che nel 2024 siamo più di questo (anche se in alcuni ambiti non si direbbe) e pensiamo prima di dare fiato alla bocca, o aria allo stomaco.
Prendiamo quindi Until Dawn Remake, versione aggiornata dell’insuperato successo di Supermassive Games. A conti fatti un remake abbastanza pigro dell’originale, che offre una veste grafica migliorata e dettagliata grazie alla potenza di quasi 10 anni di evoluzione tecnologica. “Tutto qui?” – chiede la delusione ponendo un’altra domanda scomoda – no, ci sono anche nuovi collezionabili, una telecamera non più totalmente fissa e alcune nuove scene (tra cui un nuovo finale) che rendono il gioco più completo, “nuovo” direbbe qualcuno.
“Ah! E questo dovrebbe bastare a farci spendere 70 euro per un gioco che abbiamo già giocato?”
Altra domanda scomoda, ma allo stesso tempo sacrosanta. Dunque, mettiamo di andare a cena al ristorante e di prendere antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, caffè, ammazzacaffè e bibite. Totale del conto 70 euro. Mettiamo poi di tornare in quel ristorante alcuni anni dopo e riprendere le stesse cose. Magari hanno nuove ricette, magari hanno “aggiornato” qualche piatto di quelli che avevamo preso, fatto sta è che il conto è sempre di 70 euro. Che facciamo ci mettiamo a sbraitare “Eh ma io questo l’ho GIÀMMANGIATO…” – come diceva la capatonda piú famosa del web – “…non posso ripagarlo lo stesso prezzo!” Sarebbe assurdo. Probabilmente ci incatenerebbero in cucina a lavare piatti fino a Capodanno.
So benissimo che sono due mondi completamente diversi ma ogni giorno accettiamo di pagare lo stesso prezzo per le stesse cose un po’ in ogni ambito. Quando compriamo lo stesso profumo. Quando compriamo gli stessi pantaloni. Quando compriamo gli stessi maledetti pacchi di farfalle. E non ci viene mai pensato di lamentarci. Perché con i videogiochi si?
Dall’altra parte è vero: negli ultimi anni le aziende hanno davvero esagerato, proponendoci remake dei remake e di giochi usciti anche solo pochi anni fa. Una situazione che ci ha fatto storcere così tanto il naso da assomigliare a Federico da Montefeltro.
È anche vero però che in questa epoca del benessere, in cui abbiamo molto, investire sul nuovo è diventato un rischio. Cosí siamo entrati in questo gigantesco periodo di conservazione dove sono in pochissimi quelli che investono sul nuovo.
A tal proposito, solo nel 2024 sono usciti giochi con una qualità pari a Shadow of the Erdtree: UFO 50, Crow Country, Funeralopolis, Lorn’s Lure, Yellow Taxi Goes Vroom, Caravan Sandwich, Animal Well e tanti altri che la maggior parte di noi giocatori non ha nemmeno sentito nominare perché intenta ad urlare contro il remake del momento.
Io non sono contro i remake o le remaster, anche perché senza di questi la maggior parte dei cartoni animati Disney sarebbe uscita mezzo secolo fa e non ne avremmo mai più sentito parlare. Allo stesso modo, in ambito videoludico non avremmo potuto avere il remake di RE4, quello di Ratchet & Clank, quello di Dead Space e molti altri titoli che ci hanno fatto riscoprire un passato che difficilmente avremmo giocato (se non all’epoca).
Però ci vuole una consapevolezza di base da parte delle aziende, che devono capire quando fare i remake (e in che modo farli). Altrimenti il prodotto finale è un gioco destinato solo a chi non l’ha giocato al tempo. Un prodotto per nuovi giocatori che costa (giustamente) come se fosse nuovo, ma che aggiunge davvero poco a chi quel gioco l’ha già giocato e rigiocato in passato e ora se lo ritrova con un upgrade grafico, e poco altro, sovraprezzato. Until Dawn purtroppo, per chi l’ha già giocato (e io l’ho anche recensito), rientra in questo secondo caso. Non parliamo quindi di remake, ma di una versione remaster con qualche piccolissima aggiunta lato gameplay.
Giocarci è bello, ma se lo avete già fatto è come mangiare la carbonara con le farfalle. È buona, vi piace, ma sentite che c’è qualcosa che non va e che poteva essere molto meglio. A proposito: alla fine ho mangiato un’insalatina!
This post was published on 21 Ottobre 2024 23:00
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