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Speciali

L’ombra lunga del Dark Fantasy tra Banishers e The Witcher

La Storia è sempre stata una sorta di risorsa perfetta per la costruzione di storie fantasy, specie se in formato videogioco: grazie ai loro tratti misteriosi al loro essere ricchi di eventi spesso bizzarri, periodi come il medioevo hanno dato molta linfa vitale a tutti quei developers in cerca ispirazioni per le loro epopee.

Ma, accanto al fantasy classico in stile The Elder Scrolls o Dragon Age, in grado di fotografare l’immaginario medievaleggiante in tutta la sua magnificenza, un’altra “voga” ha attraversato il videogioco fantastico degli ultimi anni, e non solo quello ambientato nei Secoli Bui: quello del dark fantasy a sfondo storico, un genere in grado di prendere alcune delle epoche più cupe della Storia e farne materia per grandi avventure, ma ambientate in mondi spietati e senza speranza, e che presenta tra le sue fila anche giochi recentissimi come Banishers, The Thaumaturge o l’atteso Dragon’s Dogma II.

Preparate spada, moschetto e la vostra migliore cavalcatura: partiamo per un viaggio alla scoperta di questo genere affascinante ed estremamente popolare.

Nonostante sia un fantasy a tutti gli effetti, The Witcher 3 riesce a fotografare un mondo “fantastorico” in modo perfetto

Banishers: Ghosts of New Eden: orrori coloniali e soprannaturali

Di cosa parliamo se parliamo di historical dark fantasy?

Anzitutto, è bene dire che si tratta di una definizione dell’autore di quest’articolo, utilizzata per descrivere tutte quelle opere-videoludiche e non solo-che mescolano racconto d’avventura soprannaturale e atmosfere “creepy” avendo come sfondo non un’ambientazione fantastica con connotati comunque “high” (come potrebbe essere, per dire, un setting vagamente “dark” di Dungeons & Dragons), ma un ambiente che pesca a piene mani da un periodo storico ben definito e “autentico”, dagli stili architettonici che presenta, dai suoi usi, costumi e soprattutto dai suoi eventi e dinamiche.

L’esempio più recente e forse popolare è il già citato Banishers: Ghosts of New Eden (qui la nostra recensione), un action in terza persona in grado di incarnare alla perfezione tutte queste caratteristiche.

Il gioco è un’avventura con elementi rpg in terza persona ambientata nell’America coloniale del 1690, periodo storico fulcro della colonizzazione dell’East Coast da parte dei britannici caratterizzato dal rapporto burrascoso con le tribù native, dall’esplorazione di paradisi incontaminati tra i boschi e da eventi non certo “luminosi” come la caccia alle streghe. 

Banishers: Ghosts of New Eden vi condurrà in un’America coloniale oscura e brutale

Nelle mani dei creativi di Don’t Nod, questo periodo è divenuto un perfetto setting in cui imbastire una storia di cacciatori di fantasmi, ambientata in un universo parallelo al nostro in cui apparizioni soprannaturali e maledizioni sono all’ordine del giorno e nella quale a dominare sembra essere un senso di morte e corruzione, dove le persone soffrono anche e soprattutto per le conseguenze delle complesse dinamiche storiche di cui sono protagonisti, nonché dei loro risvolti soprannaturali. 

Per fare un esempio, a chi scrive è rimasta perfettamente impressa una missione tristissima nella quale si scopriva che la causa di un’infestazione altro non era che la vendita di alcune coperte contaminate col vaiolo a dei nativi americani, una tattica crudele utilizzata dai coloni per conquistare nuove terre.

Una scelta tematica senza dubbio di grande impatto, in grado di emozionare e spingere il giocatore a seguire la storia con voracità e a sentirsi parte di un contesto storico plausibile e ricco, dinamiche che possiamo trovare anche in Vampyr, precedente action-rpg dello studio francese ambientato nel periodo dell’Influenza Spagnola (1918) e caratterizzato da una versione apocalittica della Londra di quel periodo, perfetto scenario per una storia di dannazione, vampiri e morte. 

Dark fantasy: un tema fortunato e attuale

Dati alla mano, è facile dire che la grande fortuna del “dark fantasy” videoludico si sia avuta nel corso degli ultimi vent’anni, periodo che ha coinciso con l’uscita di saghe e giochi fantasy estremamente “cupi”: da The Witcher a Dragon Age fino ad arrivare ai Souls (e soprattutto i Dark Souls), i primi due decenni di questo secolo hanno visto queste storie diffondersi sempre più, e anzi dominare il suo mercato. 

Va detto che l’elemento “dark” di questi giochi varia da caso a caso; in The Witcher è malinconico e volto più alla riflessione verso questioni sociali o morali come razzismo e brama di potere, in Dragon Age il clima è più pulp e in ogni caso mixato con punte di high fantasy (pensiamo alle atmosfere epiche di Inquisition), mentre i Dark Souls vivono di atmosfere tanto oscure da diventare “criptiche”, nelle quali di fatto il nostro alter-ego non è neanche un “eroe” nel vero senso della parola.

Una delle tante armature “storicamente convincenti” di Dragon’s Dogma II

Il dato di fondo è che quella che abbiamo vissuto, almeno fino all’avvento del grandioso Baldur’s Gate III  e delle sua atmosfere da high fantasy vecchio stile (e con l’eccezione significativa di Skyrim), è stata senza dubbio l’età del dark fantasy, del fantasy sporco e “storicheggiante”. Se infatti le epiche storie di elfi e nani impegnati a distruggere le forze del male hanno spadroneggiato al cinema e nella letteratura e fatto capolino con convinzione nel videogioco (pensiamo al successo di Neverwinter Nights, ma anche Oblivion), a partire dalla metà degli anni 2000 e con l’avvento dei giochi story-driven le storie dark fantasy hanno sviluppato una certa fortuna, tanto da insidiare sempre più il ruolo dell’high fantasy.

Va detto che era inevitabile che a un certo punto i team di sviluppo dovessero andare alla ricerca di una certa originalità nei soggetti trattando ambientazioni più “oscure”, considerando anche che già all’epoca questo tipo di narrazioni aveva illustri esponenti in letteratura, almeno in ambiente anglosassone: dalla saga di Elric di Melnibonè di Michael Moorcock a Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin, per arrivare a un dark fantasy non certo usuale come quello de La Torre Nera di Stephen King (per non parlare di esperimenti interni all’universo di Dungeons & Dragons come Ravenloft), il dark fantasy aveva già una potenziale audience da cavalcare.

A questo punto, l’intreccio di questo tipo di fantasy con alcuni periodi storici piuttosto problematici e, per di più, con gli aspetti più cupi di essi sembra quasi un fatto inevitabile, nonché in grado di donare al giocatore atmosfere e persino riflessioni del tutto peculiari.

E tuttavia, a questo punto una domanda è lecita: che succede quando alla Storia diventa materiale per un dark fantasy?

La Polonia di inizio ‘900 di The Thaumaturge

Dark fantasy e temi storici: le ragioni di un successo

In questo articolo abbiamo parlato di dark fantasy storicheggiante, abbiamo parlato di come spesso riesca a raccontarci storie cupe, struggenti e dolorose, abbiamo accennato a come queste avventure riescano persino a strizzare l’occhio a riflessioni non certo “leggere” su temi come odio religioso o guerre.

Eppure, nonostante non stiamo parlando di cose “piacevoli”, vedendo come certi segmenti pur minoritari del mercato emerge come questi temi hanno una straordinaria vitalità e fortuna, forse anche e soprattutto grazie al successo straordinario di giochi come The Witcher 3 (forse tra i primi blockbuster delle ultime due generazioni ad avere l’ardire di metterci a contatto con essi).

La domanda scontata è “perché questa fortuna”?

Forse siamo riusciti a isolare due differenti motivazioni.

Quello di A Plague Tale: Requiem è forse il miglior medioevo “storicamente accurato” comparso in un videogioco

Da una parte, come detto il dark fantasy vive da anni un’incredibile fortuna, forse anche in antitesi con periodi della Storia videoludica che invece erano stati dominati dal fantasy classico e dall’high fantasy, tema forse incapace di fotografare tutta una serie di tensioni e contraddizioni contemporanee e di ragionare in maniera convincente sui grandi temi. D’altro canto, va forse detta una cosa molto semplice: queste storie, capaci di mixare senza problemi ambientazioni avventurose e stilemi orrorifici, cappa-e-spada e mistero, sono estremamente divertenti, accattivanti, in grado di strizzare l’occhio anche a “pulsioni” come quelle per l’orrorifico, il grottesco e il drammatico, senza dubbio più accattivanti del “solito scontro tra bene e male” di un Tolkien o di un suo epigono. 

Che il fantasy videoludico “che conta” sia destinato sempre più ad atmosfere oscure piuttosto che luminose? Se questo è il caso, scommettiamo nella felicità di molti.

This post was published on 4 Aprile 2024 18:30

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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