Conosciamo più da vicino l’industria videoludica africana, di cui non parla mai nessuno!
Se non fosse stato per l’annuncio di Tales of Kenzera: ZAU all’ultima cerimonia dei TGA, faremmo fatica a ricordarci di un videogioco che tragga ispirazione (artistica, narrativa…) dalla cultura africana. Se poi ci sforzassimo di pensare ad esempi di videogiochi prodotti da paesi africani, saremmo ancor più in difficoltà.
Io per primo lo ammetto con franchezza: non me ne viene in mente nemmeno uno.
Eppure il continente nero è tutt’altro che inerte in termini di produzione videoludica.
Nuovi studi, spesso di piccole o medie dimensioni, spuntano in continuazione e iniziano ad attirare l’attenzione di investitori pubblici e privati. Sebbene fatichi ancora a farsi sistema, l’industria del gaming africana si sviluppa ogni anno di più e gli sforzi profusi nel tentativo di darsi identità e struttura potrebbero far sì che, nel prossimo futuro, il continente diventi non solo un mercato davvero interessante in termini di pubblico, ma anche un serbatoio di energie creative e nuove IP potenzialmente sterminato.
Per varie ragioni, storiche e culturali, non si parla mai dell’industria del gaming africana, e ne sono consapevoli in primo luogo proprio gli africani. Ecco perché l’anno scorso un gruppo di società professioniste del settore, seguendo l’intuizione del CEO della software house nigeriana Maliyo Games Hugo Obi che ha promosso l’iniziativa, ha stilato il primo documento di presentazione sommaria dell’industria dei videogiochi africana intitolato appunto The Africa Games Industry Report, scaricabile gratuitamente (previa registrazione) a questo indirizzo. Il ritratto che ne emerge, pur nella sua parzialità dovuta ad una mancanza di tracking storico e di dati statistici chiave soprattutto in termini di profilazione dell’utenza, è quello di un settore in pieno fervore produttivo e di idee, che potrebbe essere destinato a far parlare molto di sé negli anni a venire. Curiosi di saperne di più?
Non mi è mai capitato di dover cominciare a parlare dell’industria videoludica di un paese senza saperne io stesso quasi nulla, a partire dai presupposti storici. Chi, d’altro canto, saprebbe tracciare con sicurezza una panoramica storica esaustiva del gaming africano? Di pubblicazioni sull’argomento praticamente non ne esistono, e le ricerche accademiche sono solitamente ristrette a specifici paesi. Da questo punto di vista anche le informazioni contenute nel Report sono estremamente scarne e si limitano ad alcuni eventi cardine occorsi nell’industria del gaming africana negli ultimi 30 anni, facendo quindi risalire la genesi dei videogiochi made in Africa ai primi anni Novanta.
Proprio il 1994 è indicato come un anno chiave, poiché coincide con la nascita di una della prime software house africane, Celestial Games. Fondata a Johannesburg, ottiene una certa notorietà internazionale con Toxic Bunny (1996), un platform single-player per sistemi DOS, avente per protagonista, appunto, un coniglio in pieno esaurimento nervoso e dal grilletto facile che decide di farla pagare cara a chiunque disturbi il suo rito della colazione.
Già verso la fine del decennio un’importante major videoludica decide di aprire una succursale nel continente: si tratta di Ubisoft, che nel 1998 stabilisce un distaccamento a Casablanca, che ha perdurato per 18 anni fino alla sua chiusura nel 2016. Nel corso della sua storia lavora a vari progetti tra cui la versione N64 di Paperino: Operazione Papero?! e la produzione associata di Beyond Good & Evil, e rappresenta di fatto l’unica realtà di produzione videoludica del Marocco. Da questi casi isolati la situazione migliora con un lento ma costante proliferare di nuove realtà produttive e distributive in vari stati africani nel corso del ventennio successivo. Il Sud Africa si popola di nuovi studi come Free Lives, Sea Monster, Nyamakop (tra i cui fondatori c’è anche l’ex-Naughty Dog Judd Simantov), 24bit Games e il recente Six Peak Games fondato nel 2022 da Jason Ried (già fondatore di Fuzzy Logic), e nuove realtà fioriscono in Ghana (Leti Arts), Tunisia (Digital mania), Egitto (A.N. Games) e Nigeria (Maliyo Games, appunto, fondata nel 2012), tanto per fare qualche nome. Studi i cui nomi a noi dicono poco o nulla ma che hanno fornito (e in molti casi continuano a fornire) un contributo importante allo stabilimento di un’industria videoludica variegata e diffusa in varie parti del continente.
Quello che è mancato finora sono dati aggregati che permettano di trarre dei sunti numerici, in modo da radiografare l’entità dell’attuale stato dei videogiochi Made in Africa, tanto dal punto di vista delle produzioni quanto del pubblico. Scopriamo cosa è emerso dal Report, che si è proposto proprio questo scopo.
Il report è stato stilato aggregando i risultati di un questionario che ha coinvolto 118 soggetti distribuiti in tutto il continente africano. In particolare, 48 di essi sono dislocati nell’Africa occidentale, 32 in quella meridionale, 27 in quella orientale, 7 nella regione centrale e 4 in quella settentrionale, secondo la suddivisione regionale del continente adottata dalle Nazioni Unite per fini statistici, che vedete nell’immagine sovrastante. Ma quanti di essi sono sviluppatori? Quanti publisher? Chi e cosa fanno esattamente questi 118 soggetti? Il Report fornisce questa ripartizione:
Inoltre si specifica che la regione con il maggior numero di soggetti che hanno preso parte alla ricerca è l’Africa occidentale, con 48 partecipanti. Il settore più scarno – con mio personale stupore – è l’Africa settentrionale, con soli 4 partecipanti. Dunque la vicinanza geografica al continente europeo non assicura di per sé maggiori sbocchi e/o interesse verso l’ambito dell’industria videoludica. Inoltre, la regione con la maggior concentrazione di studi di sviluppo è l’Africa meridionale (che non comprende solamente lo stato del Sud Africa) dove si concentrano 13 software house. La giovane età di molti di questi studi si desume dal fatto che il 35% di essi dichiara di non aver ancora pubblicato nessun gioco, e che la maggioranza di essi (57%) ne ha dato alle stampe un numero compreso tra 1 e 5. Del resto, rispondendo alla domanda circa l’età stessa degli studi, è emerso che 18 di essi hanno tra i 2 e i 5 anni di vita, dunque si tratta di realtà estremamente giovani: solamente 6 studi dichiarano un’esperienza pluridecennale.
Che tipo di videogiochi si produce in Africa? Nel continente la diffusione delle console da gioco non è certamente elevata, e la piattaforma tecnologica a portata della stragrande maggioranza dell’utenza è lo smartphone. Ergo, la produzione videoludica africana è principalmente votata al settore mobile (il 78% degli studi sviluppa giochi per questa piattaforma), subito seguita dal PC (70%). Il segmento console coinvolge solo un’esigua percentuale degli studi di sviluppo (17%), mentre VR e Web interessano valori residuali (rispettivamente 5% e 3%).
Conseguenza logica è che la maggior parte delle produzioni videoludiche africane siano costruite con il motore Unity (64%), mentre solamente il 14% degli studi fa affidamento su Unreal Engine e l’8% utilizza invece Godot. Solamente il 3% degli studi ricorre ad un engine proprietario, mentre altre scelte non costituiscono più dell’1% del totale.
Quando si va ad esaminare la tipologia di videogiochi prodotta, bisogna affidarsi alla classificazione di generi stilata dal report, che invero è un po’ particolare. Essa determina una categoria-ombrello di “giochi di intrattenimento” in cui fa ricadere i generi action/adventure/platform/puzzle/simulativi e altri (non specificati), e tratta a parte altri generi quali l’horror, le avventure narrative, i giochi fantasy (qualsiasi cosa voglia dire), gli RPG e altro ancora.
Dando per buona questa classificazione così strampalata, i giochi di intrattenimento sono quelli maggiormente prodotti (se ne occupa l’84% degli studi), ma c’è una corposa fetta di sviluppatori che si impegna nella proposta di giochi seri/educativi (addirittura il 39%). Non possiamo far altro che prendere per buoni questi dati sebbene manchino informaizoni specifiche su che tipo di giochi siano considerati, appunto, educativi. Teniamo sempre conto del fatto che questo è il primo Report mai fatto sullo stato dell’industria africana del gaming, dunque ci si può augurare che successive iterazioni possano scendere più nel dettaglio ed offrire dati e categorizzazioni più accurate.
Se tutto sommato gli studi di sviluppo non mancano, ed una piattaforma di pubblicazione ben definita nemmeno (l’Africa è il continente più giovane del mondo con un’età media di 19,7 anni; ergo il bacino di utenza potenziale è enorme, anche perché sempre più persone hanno accesso ad uno smartphone anno dopo anno), il problema principale dell’industria attualmente è la carenza di investimenti: dei 118 soggetti di cui sopra, solamente 70 (il 59%) dichiara di essere riuscito ad assicurarsi dei finanziamenti esterni da parte di soggetti privati per lo sviluppo di una o più produzioni. Solamente 5, in particolare, sono riusciti ad attirare sovvenzioni per più di un milione di dollari, mentre la maggior parte degli studi deve accontentarsi di importi assai minori: il 57% degli studi che ha ricevuto un finanziamento si è infatti dovuto accontentare di cifre inferiori ai 100.000 dollari.
Come scrivevo sopra, poi, bisogna ribadire che non tutti gli sviluppatori parte del sondaggio sono studi consolidati: spesso si tratta di piccoli gruppi o addirittura di singoli creativi, che non dispongono nemmeno di una realtà strutturata e fanno questo lavoro part-time, sostentandosi tramite altre attività. Infatti solamente il 36% del campione dichiara di riuscire a monetizzare le proprie creazioni e crearne un giro d’affari da cui dipendere in modo esclusivo, e in più il 52% dei soggetti intervistati asserisce che i propri introiti provengono dallo stato di appartenenza. Ecco spiegato il motivo per cui non sentiamo mai parlare di videogiochi africani: nella stragrande maggioranza dei casi questi titoli non escono dai confini dei paesi in cui sono prodotti!
Nonostante il quadro degli investimenti sia problematico, non sono poche le major che negli ultimi anni hanno iniziato a scommettere sul continente africano, sia con iniziative di sostegno quali acceleratori/incubatori di startup sia con acquisizioni dirette, che potrebbero stare preparando il terreno a penetrazioni più diffuse ed importanti nei prossimi anni.
Vediamone alcune (l’elenco completo lo trovate nel Report):
Oltre a queste iniziative, il continente nero tiene un evento fieristico annuale in cui raccoglie le principali novità provenienti dall’industria videoludica africana. La Africa Games Week 2024 sarà la settima edizione della kermesse e si terrà come di consueto a Città del Capo, dal 2 al 7 dicembre.
In un momento storico in cui l’industria del gaming sta vivendo profonde trasformazioni, e in cui tutti i CEO ribadiscono l’importanza di espandere il proprio mercato per mantenere sostenibili le produzioni videoludiche, è naturale che l’Africa sia oggetto di attenzioni sempre più insistenti da parte delle major. Il bacino di utenza per i videogiochi in Africa è potenzialmente sterminato: anche facendo finta per un momento che esista solo il segmento mobile, parliamo di 515 milioni di videogiocatori teorici (stando ai dati statistici del 2021 relativi ai possessori di smartphone nell’Africa sub-sahariana), di cui si prospetta l’aumento fino a quota 613 milioni entro il 2025. Dell’età media degli africani ho già detto sopra; a ciò aggiungo ora che il continente nero è l’unico la cui crescita demografica continua a prospettarsi dirompente nei prossimi anni, con addirittura un raddoppio della popolazione totale del continente possibile già entro il 2050.
Con centinaia di milioni di dollari di ricavi totalizzati già nel 2022, il valore dell’industria del gaming africano cresce di anno in anno, in particolare la società di analisi dati Digital Virgo prospetta una crescita dei ricavi del mobile gaming del 13,11% entro i 2025. Ma anche restando focalizzati sull’anno in corso, una ricerca statistica condotta da Newzoo e Carry1st prospetta che nel 2024, per la prima volta, la spesa totale dei videogiocatori dell’Africa sub-sahariana supererà il miliardo di dollari. Insomma ci sono ottimi motivi per ritenere che l’Africa sarà la next big thing in termini di mercato videoludico. Se continueranno le iniziative di sostegno alla sua industria, insomma, nei prossimi anni potremo iniziare a sentir parlare sempre più spesso del continente nero non solo dal punto di vista della crescita del numero di videogiocatori, ma anche di produzioni videoludiche originali che ci auguriamo possano fare breccia nei mercati internazionali.
This post was published on 9 Marzo 2024 14:35
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