Open world si o no? Negli ultimi anni si è tanto discusso di come, molti videogiocatori, non associno più la vastità di una mappa di gioco alla qualità del gioco stesso, analisi che francamente ci sentiamo di condividere. Ci sono delle volte però, in cui una mappa molto grande non è semplicemente un terreno infertile d’attività ma un vero e proprio parco giochi pieno di attività e dalla bellezza paesaggistica mirabolante. E il 2023, ci ha regalato diversi titoli che possono vantare mondi del genere.
I modi che i videogiocatori hanno per giudicare un nuovo videogioco, sono molteplici e, per quanto ci si scervelli a cercare dei criteri quanto più oggettivi possibili, il solo fatto che il videogioco sia un medium artistico, invalida immediatamente la spasmodica ricerca di un’oggettività a tutti i costi. Ogni giocatore, seguendo una sensibilità tutta sua, si ritroverà a valutare di volta in volta ogni gioco che gli passerà tra le mani.
Molto spesso, ci si ritrova a vantare un gioco rispetto a un altro, non tanto per fattori come qualità della vita, gameplay o varietà di attività da svolgere, quanto per un discorso di dimensioni. Si, insomma, ci si interroga su chi ce l’abbia più grande… la mappa di gioco.
Col passare degli anni, l’industria videoludica ha dato vita a mondi enormi, veri e propri mostri d’architettura virtuale, che con alterne fortune, hanno concesso ai giocatori campi sconfinati in cui svolgere attività non sempre eccelse. Ma una dimensione, come quella di una mappa, è un dato oggettivo. Che sia dunque questo un giusto discrimen per giudicare un titolo migliore di un altro?
C’è chi ritiene di si, per una malcelata idea di “bigger is better”; c’è chi invece, si avvicina cautamente agli open world che promettono mappe estremamente vaste, per paura di trovarsi a vagare per praterie sconfinate senza nulla da fare.
Il 2023, in questo senso, è stato in grado di fornire ai giocatori, dei mondi di gioco estremamente ampi e pieni d’attività e oggi, in questo articolo, vogliamo consigliarvi alcuni di quei mondi che tanto abbiamo amato nell’appena che da poco si è concluso.
Tutti quelli che hanno amato i due colossi cinematografici diretti da James Cameron, quest’anno hanno avuto un regalo non da poco da parte di Ubisoft. Avatar: Frontiers of Pandora è un titolo nato con un’incerta fortuna. Il 2023 infatti, è stato un anno in cui lo sfruttamento di licenze di pregio come Lord of the Rings o The Walking Dead, non ha sicuramente prodotti buoni risultati.
D’altra parte, alcune software house, sfruttando delle licenze di prodotti cinematografici, sono riuscite a tirar fuori dei giochi estremamente gradevoli come successo con Robocop: Rogue City, in grado di far immergere gli appassionati nelle atmosfere dei film degli anni ’80. E in questo contesto, si inserisce Avatar: Fronties of Pandora.
Con la massima onestà, non erano in tanti ad avere fiducia nel progetto, dato che la software house che se n’è occupata, Ubisoft, negli ultimi anni ha rimediato una nomea non proprio positiva, data la sua recente storia di titoli usciti non al massimo, rinvii continui, titoli totalmente dimenticati, cattiva gestione di impalcature online e quant’altro.
Una cosa che però Ubisoft ha sempre saputo fare bene, anche in titoli meno riusciti da un punto di vista prettamente ludico come Assassin’s Creed: Origins, è la costruzione del mondo e degli ambienti e in Fronties of Pandora, la software house non è stata da meno. La mappa di gioco è molto ampia e, se si è fan dei film e di quelle atmosfere, sarà impossibile non innamorarsi dell’esplorazione attraverso quella vegetazione dai colori brillanti, tra creature d’ogni tipo e un ambiente vivo e veget(ale)o. Il titolo in sé si è rivelato apprezzabile ma il lavoro svolto sulla costruzione del mondo di gioco, è stato veramente lodevole.
E continuando a parlare di licenze sfruttate come si deve, deve inserirsi prepotentemente nel discorso Hogwart’s Legacy, gioco che ha avuto l’enorme pregio di prendere una licenza che fin troppo era stata ignorata dal mondo videoludico, nonostante le enormi possibilità, creando un titolo basato sui romanzi di J.K. Rowling ma senza metterci dentro Harry Potter. Un gesto decisamente coraggioso, che ha permesso non solo ai fan ma anche a chi conosceva solo superficialmente la saga, di immergersi nel mondo magico di Hogwarts.
Il gioco si è rivelato un successo commerciale, con delle vendite stimate (secondo gli ultimi dati) di circa 15 milioni di copie in tutto il mondo, anche se il dato non è ancora aggiornatissimo e si presume che le copie in circolazione siano molte di più. Il titolo, se preso come gioco a sé, slegato da quale sia la base narrativa di partenza, ha rivelato diverse pecche causate forse dal fatto che la software house incaricata dello sviluppo, Avalanche Software, si è trovata a dover sviluppare un vero e proprio colossal videoludico, con un’aspettativa che mai avevano sentito sulle spalle per i precedenti titoli sviluppati, basati su alcune licenze minori.
Al netto delle pecche però, il lavoro fatto sulla costruzione del mondo di gioco è stato ineccepibile. Per tutti quelli che hanno conosciuto il mondo di Harry Potter coi libri o coi film, è stato possibile vivere Hogwarts in maniera estremamente profonda, con una cura al dettaglio invidiabile. Nonostante ci fossero altre aree esplorabili e ben costruite, la scuola di Hogwarts è stata sicuramente la carta vincente di Avalanche, che ha permesso al titolo di far innamorare ancora una volta, fan di tutte le età che ora non vedono l’ora di poter tornare a esplorarla, rivivendo una magia che sembrava essersi spenta dopo la fine della saga cinematografica e letteraria.
Cyberpunk 2077, uno dei più grandi odi et amo della recente storia videoludica. Un titolo dai mille problemi, dalle mille contraddizioni, che tra una bugia e una verità celata, si è fatto largo nell’industria, riuscendo a recuperare il terreno perduto per via di un disastroso lancio che aveva fatto emergere tutte le contraddizioni a esso legate e tutti quei silenzi degli sviluppatori, compresi soltanto dopo la release.
Ma tra tutti quei problemi e quelle contraddizioni, un fattore su cui i giocatori sono sempre stati concordi quando si parlava di Cyberpunk 2077, era la bellezza del mondo di gioco. Che lo si ami o che lo si odi, il mondo di gioco partorito da CD Projekt Red riesce a raggiungere vette di bellezza architettonica invidiabili, riuscendo a creare degli scorci talmente tanto diversi tra loro da far sentire quanto forte pulsava il cuore di mondo.
Dai palazzi e le luci al neon della Night City notturna fino agli sconfinati deserti in cui, con lampade d’emergenza, i Nomadi edificavano colonie.E nonostante fosse un gioco molto grande, riusciva a non far mai percepire la noia, grazie a una mappa costellata di attività, luoghi da esplorare, missioni da portare a termine.
Il 2023 è stato il vero anno del riscatto, grazie all’uscita dell’espansione Phantom Liberty che, oltre a far tornare tanti giocatori sul titolo, ha realizzato l’obiettivo di dare vita a un’altra porzione di mondo di gioco che, se possibile, è anche più affascinante di Night City stessa. A Dogtwon infatti, questo il nome della nuova zona, è possibile trovare una diversità d’ambienti e situazioni umane impressionante. Da palazzi monumentale fino a rovine di costruzioni che furono, il tutto in una mappa ampia e ben curata in ogni aspetto, dalla palette cromatica utilizzata fino all’ultimo scorcio di luna che puoi intravedere una volta piombato nel deserto incontaminato.
This post was published on 6 Gennaio 2024 19:00
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