RoboCop: Rogue City è lo sparatutto in prima persona, sviluppato dallo studio polacco Teyon che, sin dal suo annuncio, ha polarizzato le opinioni di chi ama farsi accompagnare dai trailer, nel percorso temporale che porta un gioco all’uscita. Poi però, una volta che il gioco è uscito, le reazioni non sono state quelle pronosticate. Questo fattore, apre a un mare di riflessioni, più ampio di quanto si possa immaginare.
RoboCop, la ricezione
Quello di RoboCop è un brand storico per chi è cresciuto e ha vissuto gli anni ’80 del secolo scorso. Fa parte di quella cultura che si potrebbe definire “Hard Boiled”, che fondeva una serie di stili in un calderone cyberpunk fatto di violenza e lotta per degli ideali, segnando un periodo di massimo splendore per una sfilza di anti-eroi che ancora oggi influenzano la scrittura di molti autori.
Gli anni ’80 furono per esempio il periodo di Frank Miller, un autore fumettistico e cinematografico annoverato tra i più grandi autori di tutti i tempi, che proprio a RoboCop si ritrovò a lavorare nel 1988 e, nonostante l’idea di adattare il suo lavoro fumettistico sul grande schermo fosse stata poi accantonata a causa dell’estrema violenza messa in scena, di Miller continuarono a persistere le atmosfere, cupe, suscitatrici di forti inquietudini a causa della verosimiglianza con la vita reale.
Per molto tempo, forse proprio a causa di questo confinamento in un filone ben preciso, segnato da grandi nomi come James Cameron alla direzione di Terminator, John Carpenter su La Cosa, David Lynch sul primo tentativo di riproduzione su schermo di Dune, Katsuhiro Otomo che dal Giappone rispondeva con Akira, si fece una grande fatica a traslare nei linguaggi moderni, tutta la filosofia “sporca” di quegli anni.
RoboCop in particolare, era uno dei brand più riconoscibili dell’epoca, grazie anche a un cast azzeccatissimo con un Peter Weller in forma di grazia a interpretare il poliziotto cibernetico più famoso di sempre e un Paul Verhoeven, così facilmente dimenticato, che con la sua mano alla regia riuscì a segnare un’epoca grazie a film come Starship Troopers o Atto di Forza, riuscendo a diventare uno dei nomi che imprimeranno una certa lettura della realtà in quel periodo cinematografico.
Già nel 2014 vi era stato un tentativo di portare ai “giorni nostri” RoboCop, con un film diretto da José Padilha, che si rivelò deludente nonostante la presenza nel cast di nomi di rilievo come Gary Oldman o Michael Keaton. All’annuncio di RoboCop: Rogue City dunque, l’aria che si respirava era sicuramente tesa a causa di diversi fattori.
Prima di tutto, ci si chiedeva quanto sarebbe stato centrato un gioco di RoboCop, un brand tanto generazionale, nel 2023. Il punto su cui si batté maggiormente però, riguardò la produzione del titolo. Teyon era infatti una software house nota per un titolo su Terminator, chiamato “Terminator: Resistance” che, nonostante una ricezione buona da parte del pubblico, non aveva brillato e i giudizi della critica ne avevano messo in luce le lacune. E si, sono anche gli sviluppatori dello sparatutto su binari “Rambo: The Video Game”, un titolo che sarebbe meglio definire una grossa lacuna con del gameplay attorno.
Come avrebbe reagito la gente a un gioco, definito sin dal suo annuncio come “mid-budget”?
Rogue City, la sorpresa
RoboCop: Rogue City arriva sul mercato il 2 novembre 2023. La release ufficiale era stata anticipata da una demo giocabile, che aveva permesso alla critica di iniziare a farsi un’idea su quello che sembrava un disastro annunciato. Oltre ogni aspettativa però… il gioco non era male. Lo shooting dava un bel feedback al giocatore, le ambientazioni riuscivano a risultare adeguate e permettevano al giocatore di immergersi negli ambienti e nelle tonalità tipiche del periodo (considerando che Rogue City è ambientato, come eventi, tra i film RoboCop e RoboCop 2).
E quando il gioco finalmente esce, la risposta del pubblico si rivela estremamente positiva. La community di affezionati di lunga data, manifesta un grande entusiasmo, nel ritrovare un personaggio le cui vicende parevano ormai superate, che riusciva a ritagliarsi uno spazio di qualità anche nel mondo moderno. Soprattutto in un anno videoludico invaso da nomi sfavillanti.
Un po’ di dati per comprendere meglio la situazione, arrivano direttamente da Alan Falc, CEO di Nacon, editor e publisher del titolo che in un’intervista ha dichiarato come RoboCop: Rogue City sia “il miglior lancio di sempre” per Nacon, aggiungendo:
RoboCop: Rogue City ha superato ogni nostra aspettativa e ha effettuato una genuina impresa, per quanto interessa a Nacon. Siamo molto orgogliosi di aver lavorato con lo studio Teyon su questo gioco, creato da e per i fan duri e puri di RoboCop.
Nacon non ha dichiarato i numeri ufficiali di vendita, nei primi 20 giorni dall’uscita, tuttavia è stato messo in luce come il titolo abbia raccolto più di 435 mila giocatori con 2.7 milioni di sessioni di gioco attive. Il titolo al momento su Metacritic conta su una valutazione totale di 72, basata su 50 recensioni per quanto riguarda la critica specializzata mentre il pubblico, ricreando una situazione simile a quanto visto con Terminator: Resistance, ha voluto premiare il titolo con un 86, basato su ben 196 valutazioni.
Oltre a manifestare grande gioia per un risultato importante raggiunto dai ragazzi di Teyon e Nacon, è necessario capire anche cosa RoboCop: Rogue City può insegnare all’industria videoludica.
L’importanza di essere nella media
Parlare di videogiochi è sempre più complicato. Si tratta ormai di un tipo d’industria che ha preso tanta consapevolezza, passando dall’essere una passione di nicchia a un vero e proprio hobby che abbraccia tante tipologie di persone, di tante età ed estrazioni sociali, ampliando non solo il ventaglio di giocatori ma anche le necessità di un ventaglio di tale ampiezza. In poche parole, le software house devono cercare di adattare un titolo a molti più potenziali giocatori rispetto a quanto non capitasse in passato. Un passato abbastanza prossimo in realtà, ma in anni videoludici sembra passata un’eternità.
Pubblico e critica spesso però, cadono in alcuni bias mentali, che portano a svalutare determinate opere in favore di altre, semplicemente per la mole della produzione e non tanto per la loro effettiva qualità. Concetto questo, portato all’esasperazione negli ultimi anni, che hanno visto una rimodulazione di varie esperienze e concezioni ludiche, come quella dell’open world per fare un esempio, con titoli come Elden Ring o The Legend of Zelda: Breath of The Wild che hanno permesso di aprirsi a una riflessione, forse presuntuosa ma necessaria: il pubblico va educato.
Se il modello open world, prima, era quello di Ubisoft con mappe costellate di puntini e indicatori, giochi come Zelda o Elden Ring ridefiniscono il concetto, lasciando una libertà esplorativa totale al giocatore, senza prenderlo per mano ma lasciandolo sgambettare per un mondo vasto e interessante.
Tra i bias venuti fuori in maniera un po’ subdola, vi è quello legato ai voti e alle valutazioni in generale. Anche se non lo si esprime, si tende a guardare a un gioco da 7 e a considerarlo un flop. Contestualmente, si tende a reputare inadatta la scala da 1 a 10 per la valutazione di un gioco, magari non rendendosi conto di come uno stesso voto dato a due titoli diversi, non sia necessariamente sinonimo di equiparazione.
In questo quadro analitico, si colloca RoboCop: Rogue City.
Il titolo di Teyon è un gioco che diverte, appassiona il giusto, offre uno shooting decente, una storia interessante per chi ama quell’ambientazione e permette di rivivere le atmosfere del primo film dedicato al poliziotto cibernetico, grazie anche a un inaspettato approfondimento psicologico nella psiche dei personaggi. Contemporaneamente, è un titolo che ha delle lacune, come dialoghi a scelta multipla che non sempre portano a veri e propri dispiegamenti di trama e determinate scelte di game design sicuramente vetuste, seppur necessarie per sopperire alle mancanze in termini di budget.
La valutazione di 72, per un titolo come Rogue City è giusta dunque: è un titolo che bilancia bene mancanze creative con un grande cuore, messo da chi ha amato quel periodo cinematografico e culturale. Ciò che un gioco del genere permette di comprendere, è che in un mercato come quello odierno, pieno di titoli immensi, come attività o dimensioni, un titolo non troppo lungo ma divertente e “mid-budget” può e DEVE trovare ancora un posto.
RoboCop: Rogue City è quel titolo che nel 2023 (forse insieme a Lies of P) dovrebbe insegnare ai videogiocatori a non perdere quella scintilla, quella voglia di scoprire un nuovo mondo creativo solo perché non proviene da una software house blasonata. Rogue City insegna che possono e DEVONO esistere ancora i cosiddetti “doppia A”. In un mercato in cui al termine “capolavoro” si contrappone unicamente “disastro”, creando quasi una asfissiante dicotomia, Rogue City insegna come non ci sia nulla di cui vergognarsi nell’essere, semplicemente, nella media.