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Speciali

Detective in pixel: il gioco investigativo da Cluedo ad Alan Wake 2

Alan Wake 2, uscito poche settimane fa, si è rivelato essere uno dei giochi bomba di un anno già in sé denso di gioielli, grazie alla narrativa di alto livello, alla confezione tecnica in stato di grazia e soprattutto a un gameplay solido e in grado di portare una ventata d’aria fresca negli action in terza persona (non ci credete? Recuperare la nostra recensione: Alan Wake 2 | L’oscuro viaggio di un (anti?)eroe).

Proprio il gameplay è stato uno degli elementi del gioco che più ci ha sorpreso per la decisione di Remedy di arricchire la già rodata formula action-horror con una componente del tutto inedita: un approccio da third action shooter investigativo, con indizi da raccogliere, persone da interrogare, prove e idee da confrontare.

Un’impostazione innovativa per Alan Wake, ma anche capace di aggiungere un tassello nuovo e fondamentale al genere del mistery/horror. 

In che modo?

Tenteremo di ragionarci su attraverso un viaggio che parte dai giochi in scatola investigativi e arriva a oggi. 

Stavolta niente torcia: vi basterà portare una buona lente d’ingrandimento.

Alan Wake 2, ovvero: la next gen del gioco investigativo

La prima, piacevole cosa che ho notato giocando e recensendo Alan Wake 2 è stato il fatto che si tratti di un gioco nel quale, oltre che a ricacciare creature d’ombra negli incubi dai quali sono venuti, si spendono intere sessioni di gioco intere a esplorare location, cercare indizi, parlare, e soprattutto a fermarsi a riflettere su ciò che si è visto e raccolto.

I livelli del gioco sono per lo più open-map, e all’interno di essi potremo spesso muoverci abbastanza liberamente esplorando luoghi molto suggestivi come percorsi naturalistici isolati, baite abbandonate, grattacieli infestati, avendo come unico obiettivo quello di capire quali segreti celino. Addirittura, in alcune sezioni del gioco dovremo muoverci tra essi in macchina grazie a filmati molto suggestivi, una dinamica che ci darà la sensazione di muoverci in un mondo vivo.

Intendiamoci, questa sensazione di muoverci in una gigantesca scena del crimine a cielo aperto è un’illusione che nasconde path molto pianificati, e quasi sempre avremo degli obiettivi ben segnalati senza i quali non potremo sperare di proseguire. Tuttavia la sensazione è quella di un gioco che mette al centro la libertà di esplorazione, anche grazie a strumenti ludici come il Palazzo della Mente di Saga Anderson (l’adorabile co-protagonista e new entry del gioco) e la Stanza dello Scrittore di Alan Wake, che permettono di confrontare indizi o di manipolare gli ambienti in cerca di prove (tra le altre cose).

Va detto che l’indagine in sé non si riduce ad altro che a un girare negli ambienti in cerca di elementi “luccicanti” da andare a prelevare ed esaminare, e di fatto a volte il confronto di indizi si potrebbe ridurre a semplici tentativi (ma dipende molto dal tipo di giocatore), e spesso, occorre dirlo, il sistema di deduzioni all’interno del Palazzo della Mente di Saga è anche troppo semplicistico e  finisce per basarsi su semplici tentativi (dove va questo reperto? Con quale altro indizio lo abbino? Proviamo con questo e vediamo come va!). 

Nonostante ciò, dal lato di Alan le cose vanno meglio, in quanto nei suoi panni possiamo addirittura cambiare la conformazione di un livello e svelare nuovi indizi, una dinamica inedita che aggiunge una certa dose di complessità all’esplorazione e ripaga di qualche ingenuità su altri fronti. In generale, l’impressione è quella di avere tra le mani un detection system magari molto “basic” e adatto a giocatori casuali o neofiti, ma l’idea di inserire queste dinamiche in un gioco che avrebbe potuto vivere anche soltanto di action e survival horror è a dir poco notevole.

Del resto, si tratta di un’impostazione che mi ha ricordato subito alcuni degli esempi di giochi investigativi più originali e forse necessari del decennio 2010-19, ovvero quelli di Frogwares: gli ultimi episodi della serie Sherlock Holmes (The Devil’s Daughter, Chapter One e il remake de Il Risveglio delle Divinità) e il lovecraftiano The Sinking City.

Al di là delle differenze di stile, impostazione e budget, tra Alan Wake 2 e questi giochi intercorre una chiara parentela, quasi come se i ragazzi di Remedy avessero cercato di prendere il buono che c’era nei giochi del team ucraino per poi farlo loro.

Un approccio che tiene insieme gioco d’azione ed esplorazione, il ritmo feroce delle scene di combattimento e quello molto più ragionato dell’investigazione, sovvertendo una tradizione che solo fino a dieci anni fa sembrava estremamente cristallizzata e senza reali possibilità di evoluzione.

Sherlock Holmes: Chapter One (2021)

Dal punta-e-clicca all’investigativo free-roaming: storia di un’evoluzione

I giochi di Frogwares e Alan Wake 2, insieme ad alcuni altri esempi (pensiamo a L.A. Noire, che già una decina di anni fa tentava la strada dell’investigativo open-world), sono senza dubbio una piccola-grande innovazione contemporanea.

Tuttavia, come spesso è accaduto nella storia del videogioco, essi non sono altro che il risultato dell’ibridazione di elementi che arrivano da generi pre-esistenti, fusi e rielaborati in maniera innovativa; da un lato abbiamo l’immediatezza dell’esplorazione in terza persona, libera, abbastanza ricca e di sicuro più adatta alla sensibilità ludica moderna, dall’altro la meccanica “osserva una scena-trova l’indizio”, tipica di un genere oggi non certo in voga come la cara e vecchia avventura grafica.

La “lavagna dello scrittore” di Alan

Per quanto l’interfaccia di Alan Wake 2 ponga il giocatore di fronte a un tipo di sfida molto diversa da quella che potrebbe trovare, per esempio, in Grim Fandango o Monkey Island, il concetto di detection è esattamente lo stesso.
Quello che cambia è la struttura ludica attorno a questo principio base, poiché in Alan Wake 2, L.A. Noire o The Sinking City l’atto di investigare è inserito all’interno di un contesto più ampio nel quale il giocatore può scegliere in quale direzione cercare. 

Vedremo più avanti come questo elemento di libertà possa essere inteso come una trasposizione del gioco di ruolo investigativo, ma è necessario andare per gradi.

Quello che per il momento ci interessa è il fatto che, a un certo punto della storia del videogioco, la detection sia passata da situazioni ludiche nelle quali il giocatore doveva procedere attraverso livelli “chiusi” dove non doveva far altro che osservare e cliccare, ad altre nelle quali la ricerca si è espansa abbracciando interi mondi.

Questo mutamento di DNA, all’apparenza “soft”, è in realtà il frutto di un lungo cammino e di un’evoluzione che ha attraversato, probabilmente, gli ultimi venti anni del videogioco e si è nutrita a di tante contaminazioni diverse. Pensiamo ai survival horror tipo Resident Evil o, ancora di più, Silent Hill, nei quali il giocatore doveva spesso sopravvivere alle orde di zombie e al contempo interfacciarsi con ambienti di gioco ricchi di enigmi che permettevano di accedere all’area successiva, come all’interno di un punta-e-clicca. In pratica, progressivamente la barriera tra un gioco “di ragionamento” e uno “di botte” ha finito per cedere sempre più e a trovare nuovi meticciamenti, fino ai risultati attuali.

Si tratta di un’evoluzione non da poco, che secondo chi scrive dice tanto su come il videogioco single-player si sia evoluto e su come quest’evoluzione abbia avuto risultati al contempo positivi e problematici.

Partiamo dai positivi: guidare il nostro investigatore liberamente nel mondo alla ricerca di tracce legate tanto all’investigazione principale quanto alle subquest ha reso il gioco investigativo più pop e meno di nicchia, nonché più accessibile, attraverso uno svecchiamento delle meccaniche e una velocizzazione di ritmi che potevano “bloccare” buona fetta dei giocatori.

Per dire, piccola parentesi personale: in casa mia le avventure grafiche non sono mai mancate e mia madre, mia zia e mia sorella erano buone divoratrici di questo genere (come ricordavo in questa memory di tre anni fa, Memorie di un videogiocatore 10| Le avventure grafiche di mia madre); tuttavia, per quanto raccontassero storie straordinarie e dessero emozioni incredibili, non sono mai riuscito a giocarle poiché troppo lontane da ciò che cercavo in un videogioco in termini di gameplay. 

D’altro canto, fa riflettere come la “popolarizzazione” del gioco di detection sia andato di pari passo con il declino dei giochi punta-e-clicca, quasi sintomo di come spesso all’interno della storia evolutiva di un genere a ogni interessante innovazione possa corrispondere una perdita e in generale un appiattimento dei modelli di gameplay a soluzioni più commerciali e popolari.
Ma questa è un’altra storia.

Torniamo sull’argomento principale, perché finora non abbiamo fatto altro che grattare la superficie.  

Giochi da tavolo e di investigazione

Se quella della decadenza del punta-e-clicca può essere una chiave di lettura per la comprensione della nascita del gioco investigativo contemporaneo, è anche vero che non tutto il male viene per nuocere e che esistono degli elementi che possono portarci a pensare che gli esiti odierni del genere siano i migliori possibili.

Primo, già accennato e anzi sviscerato ampiamente: il free-roaming/open-world investigativo, se fatto bene, è dannatamente bello, immersivo e adatto a raccontare storie di questo tipo. Secondo, quest’impostazione ludica non è altro che il risultato di un’evoluzione del “tema detective” già presente all’interno del gioco analogico, grazie per esempio al gdr.

Se infatti tracciamo una sorta di linea ideale che parte dai primi giochi di detection da tavolo (siamo nei primi decenni del ‘900), prosegue con un caposaldo come Cluedo e continua forsennatamente verso i giochi di ruolo contemporanei, ci accorgiamo che la cronologia evolutiva è molto simile alla linea che ha portato dal punta-e-clicca ad Alan Wake 2.

Cluedo

Partiamo, per semplicità, da Cluedo: fin dai suoi esordi, nel 1948, il gioco Hasbro ha trasposto in cartaceo una sua versione del mistero della camera chiusa, con il giocatore chiamato a seguire le regole e a fare supposizioni su quanto accaduto dentro Tudor Hall per poi attendere se le sue supposizioni abbiano un senso. Con le dovute distinzioni di significato, possiamo dire che questa impostazione ludica corrisponde più o meno a quella di un’avventura grafica, nella quale abbiamo quasi sempre una stanza da setacciare alla ricerca di indizi che portano, poi, alla soluzione del caso. 

Andando avanti nel tempo, i game designer hanno sentito che il mistero della camera chiusa non bastava più, e i giochi da tavolo investigativi hanno ampliato la scala delle indagini che presentavano con plance molto più ampie che permettessero indagini più  complesse e in grado di coprire un’intera città.  Un esempio è Sherlock Holmes: Consulente Investigativo, gioco a metà strada tra gioco in scatola e librogame cooperativo nel quale la dinamica ricerca indizi-deduzione è centrale e nel quale si può “esplorare” la città di Londra grazie a una gigantesca mappa della città.

Il manuale base de Il Richiamo di Cthulhu

Con l’avvento del gioco di ruolo, la scala si è ampliata ulteriormente, con l’innesto di altre componenti all’interno della struttura investigativa: se pensiamo a giochi come Il Richiamo di Cthulhu o Brass Age (ma potrebbe valere per tutti i giochi di ruolo), vediamo una realizzazione del gioco investigativo che rasenta la “perfezione”, grazie a dinamiche certo non includibili con facilità all’interno del gioco da tavolo come l’interrogatorio o l’improvvisazione. 

Elementi che troviamo, in una certa misura e in forme ovviamente connaturate al loro format, anche in giochi come Alan Wake 2.

Curioso che le dinamiche evolutive tra gioco analogico e digitale si somiglino, no?

L’impressione è quindi che, tanto nell’uno quanto nell’altro, rimanere “chiusi dentro la camera chiusa” a raccogliere indizi sia diventata a un certo punto un’opzione non più preferibile, per il tipo di gioco di cui stiamo parlando.

Assodato ciò,  pur aiutando del processo di eradicazione del punta e clicca, l’adozione di meccaniche da TPS ha di fatto dato un aiuto niente male allo sviluppo del genere. 

Vi immaginate muovervi in un’intera città solo cliccando col mouse, oggi, nel 2023?

Non è esattamente la cosa più comoda del mondo. 

Siamo all’apice del gioco investigativo digitale?

A questo punto, tante domandine finali.

La prima, quasi lapidaria: grazie alle innovazioni di giochi come Alan Wake 2 o The Sinking City, il videogioco investigativo potrebbe essere arrivato a uno dei suoi apici, finendo per accontentare sia i detective più accaniti sia coloro che vogliono indossare il loro trench digitale senza doversi concentrare troppo?

E soprattutto, ha raggiunto l’apice del divertimento che questo genere può dare?

È una domanda complessa, come tutte le domande che riguardano le possibili evoluzioni di un genere o di una meccanica.

Prevederle è impossibile, soprattutto perché la creatività umana può dar vita a soluzioni davvero innovative. Tuttavia, al momento la risposta è che quest’impostazione è semplicemente la migliore possibile per questa tipologia di gioco, quella che permette al giocatore medio di approcciarsi meglio al tema detection, col migliore sforzo possibile.

Forse alcune evoluzioni auspicabili possono riguardare il grado di sfida, che per rivaleggiare con alcuni punta-e-clicca storici dovrebbe essere un po’ più alta, presentare scene del crimine più impegnative da esplorare, enigmi un po’ più complessi, magari all’interno di una cornice consona come una detective story classica (per dire, basterebbe anche un ipotetico remake/sequel di un gioco come L.A. Noire).

Ma, al di là di possibili innovazioni, a contare è altro: per quanto “minoritario” in un mondo che fa dell’action il suo zoccolo duro, per quanto “nicchioso” e per quanto si sia adattato a formule di gameplay più attuali, non solo il videogioco investigativo è vivo e in mezzo a noi, ma è stato addirittura candidato al Game of the Year 2023, forse proprio grazie a un “mutamento” nel suo DNA forse un tempo neanche preso in considerazione o auspicato. 

E scusate se è poco.

This post was published on 25 Novembre 2023 19:30

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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