Pensate anche solo per un attimo alla storia di Nintendo, la casa di Kyoto, probabilmente il nome più rappresentativo del nostro medium del cuore.
Nella mente scorrono una sfilza di nozioni e fotogrammi, è il flusso di memorie di un Proust nato un secolo dopo e per questo cresciuto col joypad in mano, la fondazione a fine Ottocento, le carte hanafuda, i cabinati, i Game & Watch, e poi i diritti di Popeye, scimmioni antiche bandiere del patriarcato, idraulici italo-americani, Zelda Sayre Fitzgerald, i trionfi senza scampo alcuno per gli avversari, i fallimenti, e ancora i mostri tascabili, dispositivi rivoluzionari, dispositivi cringe, telecomandi, paddoni stile Clementoni, Gunpei Yokoi, Shigeru Miyamoto, Satoru Iwata, console ibride, il futuro apparentemente sterminato di un settore adrenalico. Ora immaginate di decidere di fare un documentario su tutto questo, di intitolarlo proprio The Story of Nintendo (mica c**zi), e di farlo durare 52 minuti.
Il tempo di un pranzetto veloce con sosta solida in bagno, magari.
Mi imbatto davvero per caso in questo mediometraggio diretto da Jake Hickman per Filmhub, azienda californiana che ha appena pubblicato un ulteriore lavoro a tema videoludico, dal titolo anche stavolta per nulla scontato e didascalico Insert Coin.
Ma non ci si può infastidire semplicemente per la durata, il tempo del resto non è altro che una convenzione umana. Ci sono i contenuti, e su quelli dovremmo concentrarci. Di fretta e furia, però.
Si parte con appropriata lentezza, dalle origini del nome Nintendo (delle quali non sembra però esistere una versione definitiva) ai primi affari improvvisati affari, e subito il documentario lascia sospettare che forse l’approfondimento non sia stato il leitmotiv della produzione.
Ci sono infatti alcuni momenti della storia della Grande N sui quali non è mai stata fatta particolare chiarezza, come l’avventura nel mercato dei love hotel o i presunti iniziali rapporti con la yakuza, e questi sono argomenti sicuramente intriganti ma soprattutto caratterizzati da nebulosità storiografica, e trattarne come dettagli senza profondità equivale un po’ a un’occasione sprecata, in una ricerca che voglia essere esaustiva. E, lo abbiamo capito subito, non è questo il caso.
Quando inizia la fase dei videogiochi i contenuti si fanno più pertinenti ed elaborati, ma non per questo esaltanti. Il documentario procede come una serie di piani americani su soggetti rigorosamente seduti, esperti del settore a vario titolo, che raccontano della casa di Kyoto intervallati da immagini di repertorio, il tutto nella cornice di un’estetica grafica quanto mai banale.
E quindi le informazioni divulgate sul Famicom e sul suo successore, sulla rivalità con Sega, su Mario, sono contestualmente vere e interessanti… ma sono sempre quelle.
Intendo dire che questo documentario avrebbe potuto prendere differenti direzioni, le quali ne avrebbero inesorabilmente influenzato obiettivi divulgativi e target.
Nel 2023 molte informazioni riguardanti Nintendo sono ormai dati pop, di conoscenza non esclusiva degli appassionati, e sarebbe stato quindi più interessante andare alla caccia di segreti, di linee cronologiche sconosciute per portare alla luce nuove verità, nuova conoscenza, nuovi dettagli di cultura.
A questo aggiungiamo un altro fenomeno decisivo dei nostri tempi, ossia la terribile, devastante frammentazione della conoscenza apportata dai social, fatta di contenuti rapidissimi presentati da individui non preparati, che non hanno ricercato, che non hanno studiato l’argomento, e che alimentano una conoscenza che non si cura della conferma empirica, scientifica, della veridicità.
Per parafrasare il filosofo coreano Byung Chul Han, nei media digitali la narrazione del fatto ha soverchiato la realtà del fatto.
Ecco, in un contesto del genere – che non temo di definire drammatico per la capacità conoscitiva umana – il documentario dovrebbe riappropriarsi dei valori di una divulgazione militante o quantomeno sincera, dovrebbe recuperare e pretendere tempi più lunghi (vale a dire il ritmo della vera conoscenza), sfruttare i social per creare nuovi spazi dialogici tra i narratori e i fruitori.
E invece questo The Story of Nintendo non fa altro che riprendere nozioncine e curiosità che sono di dominio pubblico e ripeterle come un bot, non indaga, non approfondisce. E non segue nemmeno il proprio ritmo: superati gli anni più cult le informazioni diventano frettolose e appena abbozzate per rientrare nei fatidici 52 minuti, e per il periodo da Wii a Switch non si spende che una manciata di parole. Anche questo denota scarse originalità e impegno, perché i dati relativi ai tempi più recenti sono in minor quantità o addirittura in divenire, e il lavoro sarebbe stato certo più faticoso.
Non voglio congedarmi da questo articolo e da voi lettori con un, a questo punto, prevedibile invito a godere meglio del vostro tempo, nello specifico di 52 preziosissimi minuti.
Lancio piuttosto un appello:
se siete videomaker, registi, sceneggiatori, o semplicemente degli innamorati di videogiochi [com’è ovvio, se siete qui], fateci un pensierino, prendete in considerazione l’idea di sviluppare voi un grande documentario sulla casa di Samus, Link, Mario, Kirby. Vi si chiede solo di dedicarci il giusto tempo.