Si dice spesso che l’industria del gaming non fa abbastanza per la preservazione videoludica. Ma quanti e quali titoli sono a rischio concreto di “estinzione”? Una ricerca tenta di rispondere a questa domanda.
Se vi dicessi che l’87% dei giochi classici rilasciati sul mercato americano sono ormai irreperibili, come ci rimarreste? Io direi che questo dato rende abbastanza bene l’idea della situazione drammatica della preservazione videoludica, tralasciata quasi completamente dai maggiori player dall’industria (se non per riproporre l’ennesima versione rimasterizzata del classicone evergreen) e nelle mani di poche associazioni di volenterosi, spesso autofinanziate o che ricorrono a donazioni, per tentare l’impresa impossibile di evitare la definitiva scomparsa di centinaia e centinaia di videogiochi che ogni giorno di più rischiano il definitivo oblio.
C’era bisogno di una ricerca che, numeri alla mano, facesse rendere conto della portata del fenomeno: ci ha pensato, almeno per quanto pertiene il mercato videoludico statunitense, la Video Game History Foundation, con il supporto del Software Preservation Network: le due organizzazioni, da sempre volte alla preservazione del software informatico e videoludico, hanno pubblicato i risultati di un’approfondita ricerca volta a misurare la proporzione di un fenomeno assai preoccupante: il rischio “estinzione” dei videogiochi classici, ovvero il pericolo che cadano definitivamente nell’oblio, di volta in volta a causa della perdita del codice originale, della mancata ripubblicazione e altri motivi che vedremo tra poco.
La Survey of the Video Game Reissue Market in the United States mostra, numeri alla mano, una situazione che la community di retrogamers conosce sin troppo bene: moltissimi videogiochi rischiano concretamente di sparire per sempre, tanto che spesso l’emulazione è l’unico modo per poterne usufruire, con tutti i rischi legali del caso in materia di pirateria, violazione di copyright eccetera.
Non che il lavoro di enti come la Video Game Foundation sia più semplice, dato che spesso si scontra con l’opposizione dei produttori ad ampliare i criteri di idoneità alla preservazione, che negli USA vengono stabiliti dal Copyright Office. Il punto di vista dei produttori è chiaro: il retrogaming è un settore di business in crescita che vogliono legittimamente sfruttare per fini economici.
Il problema è che l’industria ha interesse a recuperare solo una minuscola frazione del totale del parco titoli classici per scopi commerciali (ad esempio tramite rimasterizzazioni o porting), con il risultato che la stragrande maggioranza dei videogiochi d’epoca è condannata a non essere più ripubblicata e resa disponibile al pubblico. E si sa, più passa il tempo più i vecchi supporti fisici si usurano, fino a diventare illeggibili.
E una volta scomparsa l’ultima cartuccia di un vecchio gioco mai ristampato, beh, quel gioco non solo è morto, ma è completamente scomparso dal mondo, irreperibile per tutte le generazioni future, cancellato dalla storia. Inoltre, anche per quei pochi titoli di cui viene permessa la conservazione, non è permessa la libera fruizione online: in soldoni, se volete provare uno dei titoli (o materiali gaming-related come riviste e memorabilia) preservati dalla Video Game History Foundation, non vi resta che recarvi in sede a Oakland, California.
Facile, no?
Come ogni ricerca che si rispetti, bisogna iniziare settando dei parametri: occuparsi dell’intera storia dei videogiochi sarebbe stato ovviamente impossibile. Dunque, come già detto, è stato preso in considerazione il solo mercato nordamericano, e solo i titoli rilasciati tra gli anni ’80 e il 2009 (con una manciata di titoli del periodo ’60-’70). Anche così, il numero di giochi da esaminare sarebbe stato sterminato, dunque la ricerca ha elaborato una matrice per darsi dei criteri rispetto a quali ecosistemi di giochi considerare.
Per quanto riguarda i sistemi presi in esame, si tratta prevalentemente di giochi rilasciati per console, o per antichi sistemi di computer largamente deputati al gaming. La ricerca ha tentato di selezionare un congruo numero di titoli rappresentativi di tre tipi di ecosistemi: le piattaforme ormai abbandonate (abandoned), ovvero di scarso o nullo interesse commerciale (è stato preso in esame il Commodore 64), trascurate (neglected), ovvero con ancora un certo interesse commerciale ma dalla scarsa disponibilità sul mercato (i sistemi Game Boy sono stati considerati rappresentativi della categoria), e attivi (active), ovvero quei sistemi di cui vengono spesso riproposti i titoli sul mercato (è stata scelta la PlayStation 2).
Per ogni categoria la ricerca ha formulato un campione rappresentativo composto da titoli scelti all’interno del database online Mobygames, uno dei più estesi e completi del web. Nello specifico dell’ecosistema Game Boy, tuttavia, si è spinta molto oltre, cercando di prendere in considerazione tutti i titoli mai rilasciati per questa famiglia di console. In definitiva, sono stati oltre 4000 i titoli presi in esame! Il metodo di ricerca è stato elaborato con l’aiuto del Department of Research Informatics and Publishing delle librerie della Penn State University, che ha assicurato la rigorosità scientifica della stessa. A questa pagina trovate un approfondimento su tutti i criteri adottati.
Spero che questo studio possa far svegliare le persone. Per anni abbiamo saputo che la situazione riguardante la disponibilità di preservazione di giochi classici in modo legale e sicuro è terribile, ma nessuno si era mai preso la briga di quantificarla. I risultati sono probabilmente peggiori di qualsiasi altro medium.
Frank Cifaldi, co-director, Video Game History Foundation
C’è infine la questione delle Rimasterizzazioni, Enhanced Editions e via dicendo: come considerarle? La ricerca non ha adottato un metodo univoco ma ha analizzato caso per caso: se un gioco è riproposto fedelmente, magari con un solo aggiornamento grafico o lievi miglioramenti di quality of life, allora è stato considerato equivalente al gioco classico, che è dunque stato considerato come attualmente disponibile sul mercato. In caso di rivisitazioni più intense o di veri e propri remake, la ricerca ha invece considerato tali titoli come differenti da quelli originali, considerando dunque questi ultimi come non attualmente disponibili sul mercato.
Ad esempio, i titoli appartenenti alla “classic NES series” disponibile digitalmente sullo store Nintendo sono considerati in tutto e per tutto riproposizioni legittime dei giochi originali, che quindi contano come disponibili sul mercato; invece il remake del 2018 di Shadow of the Colossus è considerato un titolo separato rispetto al gioco originale del 2005. L’appendice B della ricerca contiene vari esempi concreti in proposito.
Il grafico sovrastante mostra la triste realtà della situazione odierna: negli Stati Uniti solamente il 13% dei videogiochi classici esaminati è attualmente reperibile sul mercato (le risorse aggiuntive della ricerca, scaricabili da questa pagina, mettono a disposizione l’intero database di giochi analizzati, con i link diretti alle pagine di acquisto di tali giochi sugli store digitali che li ospitano). Per dare un metro di paragone, lo studio rivela che si tratta di una percentuale simile a quella delle registrazioni musicali antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale (circa il 10%), o a quella dei film muti statunitensi conservatisi intatti fino a oggi (circa il 14%). Solo che in questo caso non parliamo di fragili rulli di pellicola, o di incisioni su vinile che sono sopravvissute a un secolo di conflitti mondiali, bensì a software vecchio di poche decine di anni: questo la dice lunga rispetto a quanto poco si sia fatto finora per garantirne la preservazione!
Come si vede è praticamente impossibile trovare sul mercato oggi un titolo Commodore 64 o Game Boy; persino i giochi PS2, che sembrano tutto sommato ancora diffusi, sono ridotti a un decimo del parco titoli complessivo. La situazione è particolarmente grave per i videogiochi precedenti al 1985, oggigiorno disponibili nell’ordine del 3% del totale: sostanzialmente l’intera storia videoludica pre-anni ’80 è a rischio scomparsa.
Inoltre il futuro è incerto anche per quei pochi titoli che per il momento hanno scampato l’oblio: poiché si tratta sempre di copie vendute sugli store digitali, esse non sono immuni da improvvisi shut down, come quello occorso allo store di Nintendo, la Virtual Console presente 3DS e Wii U che è stato dismesso a marzo, con il suo intero catalogo di giochi, molti dei quali mai più riproposti. Il sito Delisted Games, a tal proposito, elenca all’oggi circa 1800 videogiochi rimossi dagli store digitali nel corso degli anni e mai più ripubblicati.
Gli unici metodi tutt’ora esistenti per tentare di metter mano all’87% dei giochi a rischio estinzione sono 3:
Con questo la ricerca non vuole far incombere colpe specifiche all’industria: è noto infatti che i costi di conversione di un gioco classico per una piattaforma moderna è spesso talmente alto da renderlo anti-economico. Josh Fairhurst, CEO di Limited Run Games, ha indicato come costo medio per un’operazione di porting di questo tipo la spesa di 350.000 dollari. È ovvio che non ci sarebbe convenienza economica in operazioni di questo tipo riguardanti giochi oscuri e dimenticati dai più. Ma proprio per questo gli archivi e le librerie dovrebbero essere facilitate nel loro lavoro di preservazione videoludica.
Un altro problema riguarda le licenze d’uso, gli accordi fra produttori e distributori e in generale l’attribuzione di proprietà. Spesso per videogiochi così vecchi è difficile ricostruire la cateina di contratti, copyright, diritti di sfruttamento delle licenze e via discorrendo, col risultato che un gioco rimane in un limbo legale in cui non si sa più a chi attribuirne la proprietà. Anche impelagarsi in indagini di questo tipo è dispendioso, e i produttori preferiscono “lasciar ammuffire in soffitta” un titolo piuttosto che prendersi la briga di dipanare la matassa per poterlo poi rendere nuovamente commercializzabile.
Lo studio prende ad esempio il gioco arcade X-Men prodotto da Konami nel 1992, che ha dovuto aspettare il 2010 per poter essere nuovamente distribuito in formato digitale, a causa di problemi di attribuzione. Anche così, il titolo è stato disponibile solo fino al 2013 sugli store digitali delle console di quella generazione, cosicché solo chi lo ha acquistato all’epoca può usufruirne legalmente… a patto di avere ancora la console relativa su cui giocarlo! Un altro esempio in tal senso è l’FPS-stealth The Operative: No One Lives Forever, rilasciato nel 2000 su PC e nel 2002 su PS2 e Mac, non ripubblicabile poiché i suoi diritti sono spartiti tra 3 società impossibilitate a mettersi d’accordo su come dovrebbero dividersi costi e ricavi.
Ovviamente poi ci sono casi in cui il produttore semplicemente decide che non gli interessa ripubblicare un titolo anche se avrebbe tutti i modi per farlo. Come la stessa Entertainment Software Association ha precisato nel 2020, è un pieno diritto dei detentori del copyright decidere di non ripubblicare un gioco, se non sono interessati. E ai giocatori non resta che vivere di ricordi! In questo contesto molti giochi rimangono parcheggiato senza fine, a meno di miracolosi interventi come quello di Nightdive Studios, capeggiata da un fan di System Shock con il preciso scopo di acquisire i diritti del franchise e realizzarne un port per sistemi moderni.
Dunque tutto è perduto?
I risultati della ricerca sono davvero scoraggianti, ma ovviamente il suo scopo non è quello di piangerci addosso, ma di capire come si possa risolvere il problema. Ovviamente l’auspicio è che le librerie e gli archivi possano dotarsi di nuovi strumenti legislativi per aggirare egli ostacoli burocratici che oggigiorno ostacolano in modo importante l’attività di preservazione: a tal proposito la Fondazione guarda con le dita incrociate al prossimo aggiornamento delle linee guida del Digital Millennium Copyright Act (“DMCA”), Title 17, section 1201, fissato per il 2024.
Allo stesso modo la speranza è che i produttori di videogiochi capiscano l’importanza della memoria storica del medium, e siano più collaborativi con gli enti preposti a tali scopi (un esempio virtuoso in tal senso è il progetto Games Archive di Embracer Group). La maggior parte dei videogiochi d’epoca non è più in stampa, e il mercato ne revitalizza solo una porzione residuale. Tutti devono fare la propria parte affinché questo enorme patrimonio di arte, intrattenimento, costume e cultura digitali non vada irrimediabilmente perduto o sia solo appannaggio della pirateria informatica.
This post was published on 12 Luglio 2023 20:30
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