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Speciali

La storia immortale che unisce Indiana Jones, Uncharted e Tomb Raider: la caccia al tesoro

Ditemi, come vi sentireste se vi dicessero che una delle tue saghe cinematografiche preferite in assoluto, grazie alla quale hai sviluppato passione per la Storia, l’archeologia, il mistery, il cinema d’avventura, fosse tornata in sala dopo un’attesa di più di dieci anni?

Beh, credetemi, se la saga fosse Indiana Jones e questa saga si apprestasse a tornare al cinema con un attore ultraottantenne ormai fuori ruolo, una sceneggiatura che sembra MMMMMH e un regista che non è più Steven Spielberg vi assicuro che rispondereste “Mmmh, sicuri sicuri? Do you remember Star Wars?”.

Comunque, piccoli rant a parte la verità è che Indy è tornato ufficialmente al cinema il 28 giugno con un quinto capitolo riportandoci al cospetto di quella che sembra un’avventura che rientra perfettamente nel suo canone, di quelle con inseguimenti da un angolo all’altro della terra e momenti esilaranti. Una serie di storie che hanno fondato un vero e proprio genere, quello degli avventurieri impegnati in emozionanti cacce al tesoro in giro per il mondo, fra pericoli, meraviglie, intrighi.

Un genere al quale il videogioco, come tutte le narrazioni postmoderne, deve tantissimo. 

Un artwork ufficiale di Indiana Jones e il Quadrante del Destino (2023)

Indiana Jones, Tomb Raider, Uncharted: comparazioni

Dire che sia Tomb Raider che Uncharted siano “figli” di Indiana Jones e quasi remake ed evoluzioni di del suo schema narrativo base è ovviamente una grande banalità, eppure per ragionare di archetipi, tematiche che tornano di opera in opera e dunque di impatti culturali dobbiamo per forza partire da questo concetto. 

Come raccontavamo in questo vecchio speciale sulla storia videoludica del professor Jones (qui l’articolo), la saga di Lara Croft e quella di Nathan Drake sono state forse le più illustri “figlie” di quella creata da George Lucas e Steven Spielberg per il cinema, perché strutturate sugli stessi identici temi di fondo.

Semplicemente una delle migliori coppie della storia del cinema d’avventura (sì, sono di parte)

Anzi, a dirla tutta analizzando con attenzione i caratteri tematici delle tre saghe possiamo notare come la struttura topica sia la stessa: al centro di tutti e tre i brand c’è un “super-esploratore” carismatico e in grado di portare a termine imprese straordinarie, in tutti e tre i casi queste imprese hanno a che vedere con misteri archeologici che possono cambiare in profondità la storia del Mondo, e in tutti i casi la loro ricerca è messa a rischio dalle mire di veri e propri “rivali” che condividono con i nostri eroi l’obiettivo di trovare un tesoro, ma nel loro caso macchiandosi di crimini o con mire non proprio bellissime (tutte caratteristiche sulle quale torneremo dopo).

Certo, va detto che pur derivando dallo stesso archetipo (quello dell’avventuriero/cacciatore di tesori dei serial cinematografici americani degli anni ‘30 e ‘40) e condividendo tanti tratti, Indy, Lara e Nathan sono personaggi diversi, ognuno con elementi caratterizzanti e propri della sua epoca: Jones è accademico e fa quel che fa per il progredire della conoscenza umana, Lara Croft vuole fama e ricchezze perché figlia degli opulenti anni ‘90, Drake dimostra un carattere più umano, imperfetto e scavezzacollo, adatto alla sensibilità delle generazioni PlayStation

Eppure, il loro rapporto l’avventura è straordinariamente simile, tanto da creare tratti di continuità anche in termini di gameplay, per quel che riguarda le loro controparti videoludiche. 

Tomb Raider (1996): il primo figlioccio di Indiana Jones

Alfabeto della Caccia al Tesoro: V come Viaggio

Il viaggio è ovviamente il vero motore portante di tutto questo genere di avventure: prima ancora di scoprire, prima ancora di combattere contro i loro rivali e contro le insidie che si ritrovano davanti, i cercatori di tesori devono muoversi nel globo alla ricerca di essi, visitando paesi sconosciuti ed esotici. 

Una delle iconiche sequenze di viaggio di Indiana Jones (dritta-dritta da I Predatori dell’Arca Perduta)

Il viaggio è il fil rouge, la “colonna portante”, il collante di tutto: l’azione viene scandita passando di tappa in tappa, e la scoperta della nuova destinazione avviene spesso grazie agli indizi scoperti durante l’esplorazione precedente; il super-archeologo arriva da qualche parte, affronta qualche cattivone o elimina una trappola e finisce per trovare le tracce per la tappa successiva.

Questa dinamica narrativa, se analizzata, mostra come la struttura dei film di Indiana Jones costituisca la vera “eredità” alle serie successive. Se mettiamo a confronto tutti questi racconti, la loro macrostruttura, ci accorgiamo che è sempre la stessa: c’è un aggancio (“Ehi, ho trovato questo indizio incontrovertibile sulla posizione di questo tesoro famoso e perduto da tantissimo tempo!”), c’è una prima tappa in cui si delineano meglio le poste in gioco (e spesso chi potrebbe rompere le uova nel paniere agli eroi) e poi una vera e propria corsa all’oro di continente in continente.

Uncharted (2007)

Questa struttura serve anzitutto agli autori per esaltare la spettacolarità del racconto, centrale in una storia d’azione, ma soprattutto per inserire tutta una serie di imprevisti che, necessari o meno allo sviluppo della trama, divertono ed esaltano.

Alfabeto della Caccia al Tesoro: A come Azione

Passando dal “macro” al “micro”, ogni tappa è una sorta di mondo perduto da riportare alla luce dopo millenni, sia essa l’El-Dorado, la tomba perduta di un faraone o il santuario che contiene il Graal. 

Ma è soprattutto un concentrato di insidie e pericoli, che sono evidenti quando questo formato di racconto è piegato alle dinamiche videoludiche: i livelli di giochi come Tomb Raider o Uncharted sono veri e propri dungeon con trappole segrete e animali affamati quando va bene, bande di spietati criminali armati fino ai denti e pronti a ucciderci quando va male.

Non è un caso che Indiana Jones, tolta tutta la sovrastruttura da racconto d’avventura condito col mistery e un pizzico di fantastorico, sia di fatto un eccellente esempio di action hollywoodiano, tra i più potenti e iconici del suo genere, esattamente come non è un caso che sia Tomb Raider che la maggior parte Uncharted siano esempi molto buoni di come si costruisce un solido action in terza persona “uno-contro-mille” e che, al di là di episodi meno riusciti (e in Tomb Raider la lista è lunga), diventa sempre più rodato e capace di esaltare il giocatore con scene spettacolari dalla regia perfetta.

Anche in questo caso, la derivazione delle opere videoludiche dal loro modello cinematografico è abbastanza eclatante e chiara, e quasi l’impostazione di gameplay sembra quasi voler “adattare” allo strumento interattivo le sequenze di azione pura viste al cinema qualche anno prima.

Shadow of the Tomb Raider

Alfabeto della Caccia al Tesoro: G come Glamour

A proposito di “paralleli” tra cacce al tesoro su celluloide o in digitale, ce n’è uno, grande come una casa, che ha giocato/visto tutte le opere di cui stiamo parlando oggi potrebbe aver già aver messo in conto: il tipo di protagonista, ragazzi.

La cara Lara ai tempi d’oro

Partiamo dalle differenze, che accennavamo prima. 

Indy, Lara e Nathan appartengono a tre epoche differenti, e sono persino figli di tre “ideologie” differenti. 

Indiana Jones era scritto da un figlio della Golden Age del cinema americano, con l’obiettivo di fotografare con sincero amore l’età del bianco e nero, della letteratura da un dollaro condita di storie d’avventura, del Sogno Americano ancora intatto e anzi contrapposto fieramente al fascismo e alla decadenza della vecchia Europa. 

Quasi vent’anni dopo, Lara Croft incarnava un mondo molto più cool, disimpegnato, ferocemente consumista e interessato alla “superficie” (sono gli anni ‘90: bellocci come se piovessero, appariscenza senza troppe barriere, amore per il gossip e lo star system).
Circa una quindicina di anni dopo, Naughty Dog decise di evolvere il prototipo nel classico “bravo ragazzo della porta accanto”, inserito in un contesto quasi quotidiano in cui a primeggiare sono i buoni sentimenti. Nathan Drake vive solo a qualche anno di distanza da Lara Croft ma tra i due sembrano passare secoli poiché tutto è più a misura d’uomo, spogliato del glamour e quasi in opposizione alla carica erotica di Lara Croft (carica erotica che oggi, dopo vent’anni, non è vista di buon occhio dai movimenti di rivendicazione politica come il MeeToo). 

Indiana Jones e il Tempio Maledetto

Se però tra i diversi personaggi ci sono tutte queste distanze oggettive dettate dalle sensibilità delle diverse epoche che li hanno prodotti, stupisce come andando alla loro radice i tre personaggi ricalchino praticamente lo stesso topos: pur con le dovute distanze i “cacciatori di tesori” rimangono di base estremamente coraggiosi, discretamente cool, amanti del rischio, ma soprattutto estremamente belli ed estremamente dissacranti.

Dissacranti, sì, perché laddove James Bond (che tecnicamente è stato il lontano ispiratore di tutti questi personaggi e dei loro “modelli di avventure”) era delineato con humor british che lo rendeva al tempo stesso simpatico e “affascinante”, i suoi nipoti hanno ceduto chi più (Indy e Nathan) chi meno (Lara) al “mood simpaticone” e “combina guai”, in grado di entrare in sintonia con il giocatore medio. 

Alfabeto della Caccia al Tesoro: I come Intrigo

Le storie dei nostri archeologi preferiti hanno sempre due facce: se da una parte troviamo il viaggio, l’indagine, l’esplorazione dell’esotico, dall’altro c’è quasi sempre una minaccia “umana” che mette seriamente in pericolo l’eroe arrivando a dargli la caccia in giro per il mondo con ogni mezzo. 

Possono essere le SS del Terzo Reich, trafficanti di opere d’arte, terroristi, cultisti senza scrupoli, ma la sostanza non cambia, si tratta sempre di un competitor più potente e strutturato che sta cercando di arrivare allo stesso obiettivo del protagonista usando però metodi infinitamente più sporchi.

Gli spietati cultisti di Indiana Jones e Il Tempio Maledetto

I cattivi di Indiana Jones, Tomb Raider o Uncharted sono spesso pieni di soldi perché finanziati da ricchi megalomani affamati di potere o denaro, possono contare su eserciti privati e attrezzature migliori, ma soprattutto sono senza cuore. 

All’interno dei film di Indy e delle avventure di Nathan Drake questa dinamica è messa particolarmente in risalto, anche per motivi retorici e “ideologici”: se i protagonisti di Uncharted e dei film di Spielberg/Lucas/Mangold sono l’immagine del “bravo ragazzo bianco” che cerca tesori in nome della conoscenza e del sapere, i loro avversari sono diametralmente opposti, fanno quel che fanno perché bramano potere e spesso si appoggiano a ideologie od organizzazioni “malvagie” come il nazismo (o il comunismo, in Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo) o la criminalità organizzata. 

Paradossalmente, di tutti i prodotti della “legacy” di Indiana Jones il più “moderno” dal punto di vista retorico, perché “sfumato”, sembra essere proprio Tomb Raider, in cui almeno nei primi episodi interpretiamo una Lara Croft che non incarna il ruolo di “eroina”, ma piuttosto di cacciatrice di tesori ambiziosa quanto i suoi concorrenti (pur se da subito identificata come “buona”). 

La città perduta di Shambala in Uncharted 2: Il covo dei ladri

In ogni caso, come se vagare per luoghi mortali e selvaggi non sia già estremamente pericoloso, spesso i nostri eroi si ritrovano al centro di vere e proprie storie più grandi di loro, e spesso non solo a causa di pericoli umani.

Alfabeto della Caccia al Tesoro: M come Mistero

Fin da I Predatori dell’Arca Perduta, i film di Indiana Jones hanno costantemente avuto al centro misteri di “fantarcheologia” legati a grandi misteri sospesi tra realtà e leggenda: dall’Arca dell’Alleanza del primo film agli alieni de Il Regno del Teschio di Cristallo, suggerendo una genealogia delle avventure del caro e vecchio Indy con un immaginario di storie fantascientifiche, horror e fantastiche molto diffuse negli U.S.A. fra gli anni ‘30 e i ‘40.

Insomma, film all’apparenza ambientati in un universo realistico erano in realtà “disegnati” attorno a suggestioni fantastiche, in qualche modo denunciando sottolineando l’amore di Lucas e Spielberg per tutto ciò che va oltre l’ordinario.

I prodigi del Graal in Indiana Jones e L’Ultima Crociata

Questa tendenza è rimasta praticamente inalterata sia all’interno dell’intera saga, sia in tanti prodotti derivati come Tomb Raider, dove in circa dodici episodi (tra originali e reboot) i vari team creativi hanno toccato un bel po’ di mitologie e misteri in giro per il mondo, dalla Cina all’Egitto, dal Sudamerica alla cara e vecchia Europa in un costante equilibrio fra dimensione realistica e fantastica.

Arrivando a Uncharted, tuttavia, le cose si complicano: se i primi tre episodi dell’esclusiva PlayStation si muovono tutte sullo stesso confine, confermando quanto questi perfetti giochi fossero “remake spirituali” tanto delle avventure del professor Jones quanto della “cara e vecchia Lara”, Uncharted 4:Fine di un Ladro, quarto episodio della serie, si è invece divertito a rimescolare i vari ingredienti per fare della classica “caccia al tesoro pirata” qualcosa di più realistico e personale.

Dimenticati El Dorado, Shambala e l’Iram dei Pilastri, ma soprattutto i loro misteri ultraterreni, col suo quarto episodio Uncharted tagliava ogni legame col mistery soprannaturale abbracciando quello la fantastoria, mettendo in scena una vicenda (quella della tragica sorte di Libertalia) in cui Nathan, Sam e compagnia dovevano far luce su pirati caduti vittime della loro brama di potere, colonie perdute e così via, quasi a ricordarci che per costruire una grande avventura pulp non serve certo il ricorso all’ultraterreno, ma solo una vicenda a base di scavi nella giungla, discesa in rovine impenetrabili e tanta storia.

I fratelli Drake scoprono Libertalia

Tributo, remake o trasposizione?

Quale “insegnamento” può lasciarci lo studio di un archetipo diffuso come quello della caccia al tesoro? La semplice consapevolezza di quanto il tema sia amato? Certo, ma anche qualcosa di più.

Leggendo la trama della maggior parte delle opere che abbiamo raccontato oggi, l’impressione che potremmo avere è che i giochi di Tomb Raider o Uncharted siano sul confine tra il tributo, il “remake” e addirittura la semplice derivazione, come se stessimo parlando di uno dei tanti cloni di Indiana Jones nati nel corso degli anni ‘80 e ‘90, come il Jack Colton de All’inseguimento della pietra verde e de Il Gioiello del Nilo (interpretato da Michael Douglas) o il Patrick O’Malley di Avventurieri ai Confini del Mondo (interpretato da Tom Selleck).

Tomb Raider IV: The Last Revelation

Non è la prima volta che la storia dei videogiochi troviamo grandi classici ricalcati sopra la struttura di film di grande successo; solo per rimanere negli anni ‘90 troviamo Resident Evil, figlio dei classici di Romero, e Metal Gear Solid (che invece pescava soprattutto dai Rambo, dai film di James Cameron e Carpenter e da un’infinità di altre cose). 

Tuttavia, la genealogia che lega I Predatori dell’Arca Perduta a Uncharted 4 (anzi, forse direttamente a Shadow of Tomb Raider, ultimo vero “esponente” del genere) è particolarmente curiosa, perché, se in MGS o Resident Evil il materiale di partenza veniva ridimensionato o integrato da altri ingredienti narrativi e ludici, le saghe di Lara e Nathan sembrano limitarsi ad adattare al medium ludico un format che in realtà rimane sempre abbastanza uguale a sé stesso, al di là delle varie declinazioni tematiche.

E allora? E allora, invece che di remake involontario, tributo o derivazione, mai come in questo caso dovremmo parlare di trasposizione: il racconto di caccia al tesoro rimane sempre immutato, in tutte le sue componenti, dall’aggancio allo svolgimento, per terminare con la conclusione (che quasi sempre coincide col momento in cui l’eroe agguanta il “premio finale”), ma adattato alle dinamiche ludiche (e nello specifico a quelle dell’action in terza persona). L’operazione degli sviluppatori non sarebbe quindi quella del semplice omaggio, ma quella della riscrittura che è sì tributo (dettato soprattutto dall’amore), ma intelligente, colto ed elaborato, in grado di dare la stessa storia ma con uno spirito aggiornato e attraverso una chiave d’accesso matura e convincente. 

Un’operazione molto simile a quella che ci troviamo davanti quando vediamo un film che rielabora un classico delle letteratura riproponendo i suoi temi ma adattandolo a un’altra sensibilità tematica e visiva (un caso su tutti: Cuore di Tenebra-Apocalypse Now). 

Con i dovuti distinguo di genere, tecniche e narrativa, è la stessa cosa che attualmente interessa (almeno in parte) Final Fantasy XVI, accusato di essere una sorta di trasposizione apocrifa di Game of Thrones. In realtà, il gioco di Square-Enix non fa che riprendere topoi del grimdark fantasy anche diffusi nella saga di Martin per omaggiarlo, ma inserendoli all’interno di un contesto ludico regolato da strutture proprie. 

L’anno scorso, in un articolo che trovate a questo link, parlavamo di come forse il videogioco potrebbe servire per riproporre vecchi brand cinematografici ormai “bolliti” come quelli degli anni ‘80 (per capirci, parlavamo di Predator e Alien, ma potrebbe valere perfettamente anche per Indiana Jones). 
Eppure, guardando operazioni come quelle portate avanti di Tomb Raider/Uncharted con Indiana Jones o quella di Dead Space con Alien sembra quasi che questo processo sia già in moto da tempo con altre forme, più sotterranee ma forse più efficaci.

This post was published on 7 Luglio 2023 19:30

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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