Città vittoriane o primo novecentesche caratterizzate da fumo e meccanismi giganteschi, robot antelitteram sparsi nei livelli come avversari temibili, il fascino della scienza, l’oscurità dei giochi di potere: lo steampunk è uno degli scenari ai quali il videogioco e in generale tutti i tipi di opere “pop” hanno piu’ attinto nel corso degli anni, a partire da un gioco assurto poi alla posizione di classico moderno come come Dishonored.
Un genere fantascientifico estremamente singolare, quasi unicum nella tassonomia del genere, che oggi esploreremo sviscerando caratteristiche, topoi e significati culturali partendo da due illustrissimi esponenti.
Pronti? Iniziamo.
Giusto per fare un po’ di recap fine a sé stesso (perché so che sapete tutti cos’è lo SP, in fondo), parliamo di un’ambientazione basata su una versione ucronica dell’Ottocento in cui un utilizzo intensivo e avveniristico della propulsione a carbone ha portato a una rivoluzione tecnologica tale da portare la civiltà a un altro livello di sviluppo scientifico e tecnologico.
Uno scenario in cui, accanto a eleganti signori in abito vittoriano o imponenti edifici tardo-ottocenteschi, possiamo vedere mirabili dirigibili o veri e propri cannoni spara-fulmini-e-altre-cose-che-fanno-male portatili.
Al contrario di quanto si potrebbe credere, pur essendo radicato in alcuni classici della letteratura fantascientifica come La Guerra dei Mondi (H.G. Welles 1897), lo steampunk è una “voga culturale”/genere relativamente recente, affrontato a partire dagli anni ‘60 e poi sbocciato del tutto nel ‘90 con l’opera di un duo d’eccezione, ovvero gli dèi del cyberpunk William Gibson e Bruce Sterling.
Il libro in questione era La Macchina della Realtà, che immaginava cosa sarebbe accaduto se Charles Babbage, fra i padri del concetto di informatica vissuto in piena Età Vittoriana, fosse riuscito a costruire la sua cosiddetta “macchina analitica” (vero e proprio computer anti-litteram) e quindi ad anticipare il proliferare dell’informatica.
Il tutto nasceva come uno scherzo, ovvero una quasi parodia del cyberpunk con le tecnologie a carbone al posto della tecnologia “ultradigitale”, ma in realtà fu l’inizio di una golden age per lo steampunk, in cui il genere iniziò a colonizzare i media più disparati tra cui cinema e fumetto (ricordate La Lega degli Straordinari Gentlemen di Alan Moore e Kevin O’Neill?).
Alla fine, addirittura, lo steampunk è diventato addirittura un vero e proprio fashion style, certo principalmente utilizzato nelle convention tematiche, ma con margini di “sforamento” nel vestiario di tutti i giorni. Lo steampunk è oggi principalmente uno “stile” un “filtro visivo” attraverso il quale rendere fantastiche le varie epoche storiche (perché sì, quella Vittoriana non è l’unica epoca “steampunkizzata” dagli autori appassionati del genere).
Venendo al videogioco, tante, se non tantissime sono le opere che hanno giocato su queste atmosfere, dal già citato Dishonored al Thief del 2014, da alcuni aspetti di MediEvil 2 a un gioco “storico” come Assassin’s Creed: Syndicate (in realtà pieno zeppo di cose “meccanicose” e strane). Tuttavia, al di là dell’ovvio aspetto stilistico, le opere steampunk contengono un insieme di temi e di tropi che non solo sono ricorrenti e concorrono a identificare subito queste storie, ma risultano anche un modo per riflettere su elementi costitutivi dell’Età Vittoriana e della sue cultura.
Per ragionare assieme, prendiamo due opere che, con le dovute differenze, incarnano alla perfezione lo steampunk nella sua forma “originaria”, Dishonored di Arkane Studios (citato in precedenza) e lo sfortunato ma di sicuro affascinante The Order: 1886 di Ready at Dawn.
Partiamo da un elemento dirimente fra i due: nonostante i canoni di setting siano comuni, a dividerli c’è il fatto che il classico Arkane è in realtà ambientato in un universo fantasy alternativo e in particolare nella sua location più celebre, l’Impero delle Isole, mentre The Order non è altro che l’ennesimo grande affresco vittoriano ucronico donatoci dall’industria dell’intrattenimento, pur essendo contaminato dall’elemento gotico.
Nonostante ciò, è incredibile come entrambe queste storie videoludiche siano attraversate dalle stesse identiche tematiche, anzitutto quella principale: il tema della lotta contro una cospirazione. Ci avete pensato? Pur con uno svolgimento molto diverso fra loro e pur adottando due generi distanti, The Order e Dishonored parlano della stessa identica cosa: l’impresa di un membro delle “forze del bene” (Galaad/Corvo) che si ritrova al centro di un complotto contro la monarchia/impero che serve.
Dishonored è dunque la storia di un protettore della corona dalle capacità eccezionali chiamato a dover riabilitare il suo onore quando viene incolpato di regicidio, fatto che lo porta dritto al centro dei giochi di potere di varie fazioni di Dunwall.
The Order invece butta in scena l’affascinante storia di un mondo in cui il mito di Re Artù è reale e i Cavalieri della Tavola Rotonda sono sopravvissuti nel corso dei secoli divenendo veri e propri protettori della Corona Britannica, raccontando cos’accade nel momento in cui uno dei suoi membri di spicco viene accusato di essersi alleato con rivoltosi anticoloniali che minacciano di distruggere la Corona.
Questa “coincidenza” non è una coincidenza, ma quasi un esito naturale, per via di una serie di elementi fondativi del genere che ritroviamo all’interno di entrambe le opere, pur se in forme diverse.
E, analizzandoli uno a uno, possiamo capire il perché.
Per quanto in modi diversi, è innegabile che la città sia una grandissima protagonista di entrambi i giochi di cui parliamo oggi, e non potrebbe essere diversamente.
Protagonisti sia del capolavoro di Arkane che della sfavillante esclusiva PS4 è la città di Londra, vero e proprio oceano di metallo e cemento decadente composto tanto da edifici imponenti e meravigliosi quanto da slums resi squallidi da una corsa all’industrializzazione forsennata e feroce, e poco importa se in Dishonored la città inglese si trasformi in Dunwall.
Se ci pensiamo, gli ambienti in cui muoviamo Corvo e Galaad sono praticamente gli stessi: strade che si fanno largo fra palazzi cadenti, piazze a volte splendenti e altre sporche e malfamate, palazzi signorili estremamente opulenti, musei, moli con attraccati vascelli mastodontici. Per quanto Dishonored sia un gioco dal level design estremamente più ampio e profondo, l’impressione di esplorare e combattere in ambiente claustrofobici, chiusi, pesanti, complessi è praticamente la stessa che abbiamo giocando a The Order. E in entrambi i casi la città Vittoriana è trasfigurata nell’ottica steampunk, con frammenti di “futuro” come edifici in freddo acciaio, dirigibili in volo, strutture monumentali che fanno assomigliare il centro abitato a una sorta di gigantesco castello medievale.
Legami estetici tra i due setting sono un gigantesco orologio (il Big Ben e, per quel che riguarda Dunwall, la Torre dell’Orologio) e ovviamente, un ponte monumentale (il Ponte di Kaldwin in Dishonored e il Tower Bridge a Londra), che diventano quasi simboli identificativi di un “tema narrativo”.
Va da sé che questa forte presenza della capitale inglese in questo tipo di narrazioni è dipesa dal fatto che steampunk fa rima con vittoriano e vittoriano con Londra. Questo ha un duplice effetto, perché se da un lato steampunk diventa spesso sinonimo di opulenza e ricchezza, dall’altro al contrario emerge come setting particolarmente dark, corrotto, brutale.
Del resto, l’Età Vittoriana fu questo, un’immensa contraddizione ed età di luce e ombra, sospesa fra progresso e orrore: basta leggere Oliver Twist o From Hell per avere chiaro quanto fosse difficile vivere nei sobborghi di quella metropoli a metà-fine XIX secolo.
Di fatto, ogni volta che giochiamo a una qualsiasi avventura steampunk ci stiamo inevitabilmente facendo largo in una delle tante sfumature di questa città e dei suoi “significati storici”.
Come visto, la monarchia ricopre un ruolo molto importante sia nel gioco Arkane che in quello di Ready at Dawn, anche in questo caso per una ragione molto chiara: la società steampunk è derivata dalla presenza di una solida istituzione secolare che ha fatto e fa da collante spirituale all’intera nazione.
Non serve chissà quale cultura per ricordarci come la corona inglese e in particolare la Regina Vittoria (1819-1901) siano state una elementi centrali di quell’epoca, in grado di portare l’Impero Britannico all’apice della sua potenza e di fondare un’immagine di quella Nazione per i secoli a venire. Del resto, il fatto che il termine “vittoriano” venga applicato non solo al periodo storico ed economico, ma anche alla letteratura, all’arte e all’architettura dice già moltissimo, no?
Non è un caso che la Regina e in generale la Corona faccia capolino in tantissime narrazioni ambientate in quel setting, dalle opere letterarie quasi coeve a romanzi e film storici successivi. È come se quell’istituzione divenisse una sorta di motore trainante di un’intera epoca e di un intero mondo, in grado di muoverli e di dare uno scopo ai suoi protagonisti. Pensiamo a suoi fedeli difensori come il Club Diogene di Conan Doyle o del GDR Brass Age, veri e propri tutori della legge, o alle tante organizzazioni di criminali impegnate a usurpare il potere alla regina in tantissime opere letterarie e cinematografiche.
Se in The Order: 1886 questo ruolo centrale della Corona emerge di riflesso attraverso la storia dell’Ordine, dato che l’obiettivo dei Cavalieri è quello di proteggere la sovrana, nel caso di Dishonored l’Impero delle Isole emerge come uno vero e proprio comprimario di Corvo e motore dell’intera storia grazie alla figura di Emily Kaldwin, futura sovrana e per questo fulcro di varie macchinazioni.
Non è la sola differenza, perché i due giochi riescono anche a dipingere la Monarchia secondo sfumature abbastanza diverse. Se in un’ambientazione del tutto steampunk come quella di Dishonored la Corona può essere vista come un’istituzione del tutto positiva, portatrice di luce e progresso, e solo il tentativo di detronizzare la legittima sovrana porta a un’epoca oscura come quella del Lord Cancelliere, un gioco più “aderente” alla storia come The Order deve scegliere una via più sfumata, che metta in mostra sia le trame di potere che caratterizzano l’istituzione monarchica (e che dunque ne restituiscono un’immagine molto più oscura) e soprattutto dia voce anche a suoi oppositori mossi ragioni comprensibili, come il gruppo di rivoltosi anticoloniali guidato dalla Regina Lakshmi, che mettono in luce l’altra faccia della splendente monarchia vittoriana e ci mostrano i suoi effetti nefasti.
La presenza di scienza e tecnologia in un formato quasi straordinario è probabilmente la caratteristica principale di qualsiasi storia steampunk che si rispetti, e non può che essere così. Come accennavamo, di fatto l’intero genere prende origine dall’ipotesi che l’età vittoriana si sviluppi in maniera più sofisticata rispetto alla realtà storica a causa di una rivoluzione scientifica (ricordate il concept de La Macchina della Realtà, opera fondante del genere che si basata sull’invenzione del computer?).
In Dishonored, per esempio, il volano della rivoluzione industriale è l’introduzione dell’Olio di Balena, che cambia letteralmente il rapporto degli abitanti del mondo di Corvo col combustibile e con l’energia, tanto da aprire le porte a una nuova età di progresso e meraviglia. In The Order viceversa la “miccia tecnologica” di questo level-up non sembra essere ben delineata, ma è interessante notare il ruolo di Nikola Tesla come “ingegnere capo” dell’Ordine, fatto che suggerisce che in questa timeline le sue teorie in merito all’energia elettrica avrebbero trionfato su quelle di Edison (qui per fare un ripassino della Guerra delle Correnti).
Altro elemento fondamentale è proprio la presenza di scienziati geniali e in grado di realizzare le premesse per la rivoluzione tecnologica con le loro invenzioni; se The Order ha Tesla, infatti, a stagliarsi sull’intero arco narrativo di Dishonored è Sokolov, il geniale inventore al servizio dell’Impero.
Non serve dire come in entrambi i giochi queste menti geniali siano anche i fornitori di tutte le attrezzature o armi che usiamo in azione, a cominciare dall’Elisir miracoloso di Sokolov e dai cannoni da spalla usati dai protagonisti di The Order, “gioiellini” che incarnano in pieno il concetto di “innovazione steampunk”.
È indubbio che in entrambi i giochi questo sia il lato meno “ambiguo” ideologicamente fra quelli che compongono il genere, senza retropensieri “critici”, “dubbi” o “ombre”, e per una ragione semplice: la tecnologia steampunk è una figata, e in essa si nasconde il vero “sense of wonder” e la ragion d’essere di questa estetica; come si fa a “dargli contro”?
Certo, anche qui non mancano utilizzi più oscuri della tecnologia (vedasi le inquietanti sentinelle bipedi che punteggiano i settori di Dunwall) e sono artifici strutturali che solitamente vanno a cementare alcuni degli “argomenti” presentati dal resto del worldbuilding (i sopracitati esseri, ad esempio, sottolineano l’oppressività del regime in Dishonored), quasi a ricordare quanto pericolosa possa essere la tecnologia se usata dalle persone sbagliate.
Quindi tutto lo steampunk è sinonimo di fantascienza ante-litteram e di freddo metallo?
Neanche per sogno, anzi: paradossalmente, spesso lo steampunk ha una sorta di “seconda faccia” composta da arti arcane, stregonerie, creature mostruose e dolcissime punte di gotico.
In poche parole, composta da magia.
Un esempio “neutro” di questo fatto lo si può ritrovare all’interno di Brass Age, italianissimo gioco di ruolo che abbiamo già citato e che ci porta in un universo vittoriano “low steampunk” in cui accanto alle meraviglie tecnologiche troviamo veri e propri maghi.
Non si tratta di una caratteristica dominante dello steampunk, ma è riscontrabile in entrambi i giochi che stiamo trattando oggi. Curioso, vero?
Eppure, al di là del loro impianto fanta-tecnologico, sia la mitologia di Dishonored che quella di The Order sono fortemente permeate di fatti e conoscenze “arcane“. Nel gioco Arkane, tutte le principali abilità di Corvo sono date dalla sua “introduzione” ai segreti arcani dell’Esterno, che vengono da molto lontano e sono viste dal potere costituito di Dunwall come qualcosa di fuorilegge e di pericoloso.
Non solo, l’intera ambientazione è costantemente permeata da sette e credi che non smettono di guardare verso il soprannaturale come fonte di potere, o addirittura da “streghe” e “maghi” in grado di spendere anni di studi nel tentativo di manipolare la realtà.
In The Order, il confronto col soprannaturale assume addirittura tinte da pieno dark fantasy, con l’inserimento di elementi dell’immaginario popolare come i licantropi, i vampiri, gli elisir di lunga vita e, non ultime, figure mitiche come i Cavalieri della Tavola Rotonda. Tutto l’universo di Ready at Dawn è costellato di riferimenti all’immaginario fantastico inglese e di fatto va a costituire una sua sorta di rielaborazione, vista però attraverso lo steampunk.
Perché un genere così ricco di riferimenti alla fantascienza sente questa tensione verso il soprannaturale? Tornando alle radici storiche del genere è ovvio ricordare che l’Età Vittoriana inglese fu una sorta di “terra di confine” fra “ragione” e “istinto”, in cui l’innovazione scientifica andò di pari passo con l’esistenza di fenomeni come lo spiritismo, lo studio attento del folklore, ma anche e soprattutto l’emergere della letteratura fantastica contemporanea (pensiamo a Dracula, pubblicato nel 1897). Durante l’Età Vittoriana, tra le altre cose, si verificarono alcuni dei casi di cronaca più famigerati e in grado di alimentare l’immaginario orrorifico del secolo successivo: dalle voci di vampirismo provenienti da varie parti dell’Europa alle terrificanti azioni di Jack lo squartatore nell’autunno del 1888, nel cuore di Londra.
A questo dobbiamo poi aggiungere un altro dettaglio: il XIX secolo fu il secolo del Romanticismo, della riscoperta delle identità nazionali e del loro bagaglio culturale, e quello inglese è estremamente debitore di un immaginario come quello medievale ricco di leggende e orrori arcani.
Difficile che lo steampunk non venga costantemente influenzato da tutto questo e che i suoi alfieri non decidano di sfruttarlo al 100% come elemento trainante delle loro trame, anche solo per un po’ di sano amore per lo shake di elementi più brutalmente “realistici” ad altri più grotteschi e fantastici.
Quasi come seguendo un uroboro (figura mitologica del serpente che letteralmente “si morde la coda”, non a caso altra figura del mito), il nostro viaggio ci conduce inevitabilmente a un tema narrativo dal quale siamo partiti e al quale, parlando di Steampunk, non possiamo che tornare.
Come abbiamo detto, le storie di Galaad e di Corvo sono storie in cui l’eroe di turno deve fronteggiare una spietata macchinazione che ha come obiettivo la distruzione dell’ordine costituito e la sua sostituzione con un altro tipo di potere, e non solo.
In entrambe le storie, come nella gran parte delle avventure di questo tipo, l’eroe si rende conto di essere al centro di un vero e proprio ordito di interessi contrapposti di varie parti in campo, che si scontrano costantemente per portare a termine i loro piani.
Un’ambientazione Steampunk che si rispetti, insomma, prevede in qualche maniera un racconto fatto di intrighi.
Il risultato di queste premesse è una dinamica potente, che incarna lo spirito stesso dell’ambientazione mettendo in risalto tutti gli aspetti di cui abbiamo parlato fin qui: il ruolo della città/società al tempo stesso al suo apice e al suo collasso, quello delle istituzioni monarchiche, della corsa alla tecnologia, a volte dell’occulto.
Anche il tema della Cospirazione ha chiare radici storiche (come potrete immaginare), anche se in questo caso non possiamo non entrare a gamba tesa nel campo del cospirazionismo e della dietrologia.
Tante sono le testimonianze storiche di come l’Impero della Regina Vittoria fosse teatro di una guerra segreta tra fazioni contrapposte, come gruppi di ribelli irlandesi o spie tedesche infiltrate. Del resto, ricordiamoci che nell’800 Londra fu crocevia di tantissimi gruppi e leader politici in cerca di rifugio e di un luogo in cui portare avanti le proprie attività (come Marx ed Engels).
Quando però si parla di età vittoriana e cospirazione, a venire in mente non possono che essere le tantissime testimonianze di “operazioni segrete” condotte a vari livelli dalla Corona per mantenere il suo status quo, prima fra tutte quella resa famosa da Alan Moore ed Eddie Campbell attraverso il loro From Hell: secondo la tesi di quella graphic novel (basata a sua volta su un saggio di Stephen Knight), dietro la mano di “Jack lo squartatore” e i suoi omicidi ci sarebbero stati la Regina Vittoria, la Corona britannica e, come braccio armato, la Massoneria, con lo scopo di eliminare testimoni scomode di un’unione segreta fra il principe Alberto di Sassonia e una prostituta di Whitechapel.
Si tratta di una teoria abbastanza complessa da trattare e mai del tutto accettata dagli storici e in parte neanche dagli stessi autori di fiction che l’hanno raccontata (come lo stesso Moore). ma che dà l’idea di come l’immagine storica della Corona Inglese durante il Vittorianesimo si sia fatta via via sempre più cupa e ambigua. Non sorprende quindi come lo steampunk abbia assorbito questa tematica facendone un asse fondamentale, poi declinato in diverse forme e in diversi tipi di trama, fino a farne un tema di riflessione sul potere: pensiamo solo al fatto che sia in Dishonored che in The Order i momenti più “emotivi” di tutta l’esperienza siano quelli in cui il giocatore si rende conto che non tutto è esattamente come sembra, e che non tutti i personaggi che fino a poco prima erano definibili come “fra i buoni” in realtà lo sono davvero.
Ma allora di cosa parla lo steampunk, genere ricordato di solito per le rappresentazioni ottimistiche/positiviste di un’epoca che ha segnato un vero passo avanti nella storia del Sapere? Parla di scienza? Parla di cospirazione? Parla di mistero?
Forse, più che altro lo steampunk è un divertente escamotage narrativo per parlare della modernità, in tutte le sue sfaccettature e complessità, bruttezze e meraviglie: ricerca di innovazione e importanza della sfera tradizionale, celebrazione dello Stato moderno e ritratto delle sue ambiguità, senso di meraviglia per le metropoli e la tecnologia e amara riflessione sui loro limiti.
Un concetto che di sicuro ha vari punti in comune anche con il cyberpunk (anche se quest’ultimo è un genere da sempre molto più cupo, serio e analitico) perché entrambi finiscono per parlare di un contesto (il nostro mondo) attraverso una lente/ottica “altra”, esterna.
Al tempo stesso, lo steampunk può avere anche un’altra chiave di lettura. Nel loro mettere in scena un XIX secolo sfavillante, ricco sia di risorse che si tecnologia al servizio dell’uomo moderno e popolato da meraviglie, queste storie raccontano una possibiltà diversa per l’umanità, un mondo andato in un altro modo rispetto al nostro e in grado di porre le basi per un altro futuro (o un’altra nostra contemporaneità) più armonioso e migliore.
Quasi un monito a migliorarci costantemente.
This post was published on 27 Maggio 2023 18:00
In Giappone arriva l'inaspettata collaborazione tra McDonald's e il brand di Evangelion, con delle sorprese…
Il Paradiso delle Signore tornerà in onda con le nuove puntate a gennaio 2025: ecco…
Su Paypal per il 2025 viene confermata la possibilità di rateizzare un pagamento in tre…
Se siete alla ricerca del miglior giradischi per uso domestico, abbiamo la soluzione che fa…
Per il Play Store la fine dell'anno si sta configurando come un momento di cambiamento.…
Inizia l'evento Winterfest 2024 di Fortnite e, per l'occasione, arriva in gioco un'ospite d'eccezione: non…