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Speciali

Elden Ring 2? Non lo voglio e vi spiego perché

Di videogioco ne parliamo, ne scriviamo, ne litighiamo.

Pare qualcosa di totalmente radicato nella vita di tutti noi, anche in quella di chi si disinteressa totalmente all’argomento. Siamo ormai vicini ad avere coi videogiochi, le stesse reazioni sociali che in Italia deleghiamo agli eventi calcistici: anche se non a tutti importa nello specifico ciò che succede, se ne riconosce il valore sociale ab-solutus.

Come ogni conquista però, bisogna capire da dove si è partiti, così da poter assaporare la meta raggiunta.

Non dimentichiamo infatti che, nonostante ormai il videogioco sia quotidianità per molti, addirittura lavoro per altri, è un medium relativamente nuovo. Di videogiochi si inizia a parlare sul finire degli anni ’70, ma prima che diventassero ciò che tutti noi ci figuriamo mentalmente oggi, ne è passato di tempo.

Per un ragazzo di 26 anni come me, molti step evolutivi sono stati vissuti in maniera passiva, senza che nemmeno mi rendessi conto di come quel medium stesse evolvendo. Ritengo dunque una fortuna indescrivibile scoprire che ancora non tutto sia stato raccontato. Adoro il fatto che l’universo videoludico riesca a essere anche più elastico di quanto la concezione di un critico riesca a estendersi.

E con questo spirito, mi ritengo fortunato ad aver assistitito e partecipato attivamente a periodi contraddistinti, da giochi che hanno segnato non solo delle epoche ma hanno anche dettato nuove regole per lo sviluppo dei videogiochi moderni.

In questa analisi ci concentreremo su pochi titoli e situazioni, cercando di rispondere a una domanda: le software house hanno piena coscienza di quando fermarsi, dopo i picchi creativi o rischiamo di trovarci davanti a cloni di titoli che nulla aggiungono al dialogo videoludico?

E visto che sono un azzeccato dei Souls che si rivolge ad azzeccati come me, parliamo di From Software. È auspicabile che From Software sviluppi Elden Ring 2?

Gli open world prima di Breath of The Wild

Tutto cambiato

Prima di proseguire, facciamo un passo indietro fino al 2017.
I videogiocatori di tutto il mondo, ormai immersi a pieno nell’ottava generazione di console, vivono un periodo d’oro per il gaming: chiunque ha una tipologia di gioco che soddisfi i loro desideri, dagli indie più semplici e lineari fino agli AAA più blasonati.

Sebbene non mancasse cosa giocare, permettendo a chiunque di avere un punto di riferimento videoludico, dato che si veniva da un biennio 2015/16 costellato di uscite interessanti come Dark Souls III e Bloodborne per gli amanti dei Souls e degli RPG, Street Fighter V per gli amanti del picchiaduro, Uncharted 4: La Fine di un Ladro per chi ricercasse l’avventura, inizia a serpeggiare tra le community un malcontento generalizzato.

Il dito veniva spesso puntato contro una tipologia di videogiochi o, per meglio dire, per giochi costruiti con una precisa idea e struttura di mondo: gli open world.

La formula open world, cioè quella tipica di videogiochi molto aperti e liberi, esplorabili in lungo e in largo su mappe sconfinate, illudendo il giocatore di poter fare ciò che si volesse quando lo si volesse, stava attraversando un periodo non proprio roseo.

Dopo anni di open world che hanno scolpito la storia del videogioco moderno, come TESV: Skyrim o The Witcher 3: Wild Hunt, in tanti iniziavano a diventare insofferenti per quello che alcuni utenti del web (tra cui il sottoscritto) amano definire “effetto Ubisoft“.

L’Effetto Ubisoft

Assassini… uniti!

Con tutto il bene che si può volere a Ubisoft, è utile per noi sottolineare come la loro tendenza alla costruzione dei mondi aperti, vista soprattutto nella saga di Assassin’s Creed sia molto votata all’edificazione strutturale e visiva di mondi convincenti ma tremendamente spogli.

Riferendomi solo al mio personalissimo parere, i mondi di Ubisoft sono semplicemente noiosi, raramente in grado di regalare grosse emozioni. Forse, Assassin’s Creed Black Flag riusciva ad avere quel qualcosa in più, ma qui è più il amore per le ambientazioni marittime e piratesche a parlare.

Fatto sta, che per un bel periodo di tempo, in tanti si erano convinti che costruire un gioco open world, significasse seguire quel modello. E quindi via con mappe enormi, con esplorazione guidata e decine e decine di puntini colorati sparsi sulla mappa, progressivamente sempre più consapevoli che nessuno di questi ci avrebbe trasmesso un’emozione vera ma che sarebbe servito solo a fare minutaggio.

Vogliamo fare qualche esempio? Horizon: Zero Dawn è perfetto per questo: un videogioco dalla potenza visiva incredibile, dal design splendido dei nemici in cui un mondo meraviglioso veniva reso noioso da un loop esplorativo nullo, in cui nulla è, alla fine della storia, interessante.

Si era giunti a un punto di rottura inevitabile. Ed è proprio in questo contesto, che il più insospettabile degli attori entra in campo e inizia prepotentemente a dettare legge.

Il 3 marzo del 2017 esce The Legend Of Zelda: Breath Of The Wild per Nintendo Switch. Da lì, nulla sarebbe più stato come prima.

Da Breath Of The Wild si aprono due strade

E sono contento della scelta che ho fatto

The Legend Of Zelda: Breath of The Wild è una delle più belle sorprese che i giocatori si siano mai ritrovati tra le mani.
Ampliando la formula classica di Zelda, in cui enigmi, avventura ed esplorazione agiscono in una sapiente sinergia, con il concetto di mondo aperto, il titolo si presentava al giocatore con una bontà ludica precedentemente vista pochissimo.

Il vasto mondo offriva ripetutamente spunti, la fantasia del giocatore veniva continuamente stimolata, la possibilità di poter scalare qualunque albero o montagna senza che vi fosse uno script a deciderlo per noi, la possibilità di interagire col clima e gli elementi naturali e faunistici del territorio.

BOTW divenne in pochissimo tempo il punto di riferimento per gli open world, surclassando anche quello che si pensava potesse essere il suo rivale dell’epoca, ovvero Horizon: Zero Dawn. BOTW impose un vero e proprio standard quasi irraggiungibile per l’universo open world da lì in avanti e, nonostante molti abbiano cercato di emularlo nell’estetica (come Genshin Impact) o nelle meccaniche (vedi il più recente Tchia) nessuno è mai riuscito a regalare quella stessa sensazione di profondità.

Una volta che il titolo era stato assimilato, al netto di tutto ciò che poteva offrire, gli open world avrebbero solo potuto adattarsi al nuovo standard. A mio modo di vedere, da lì due strade sono state percorse, portando a risvolti diversi.

Prima Strada: Tears Of The Kingdom

E questa è una

Dunque chi poteva battere Zelda se non Zelda stesso?
Il 12 maggio 2023 Nintendo rilascia il sequel diretto, The Legend Of Zelda: Tears Of The Kingdom. Le perplessità erano tante: era molto difficile riuscire anche solo a immaginare fino a che punto si sarebbero potuti spingere per ampliare quanto di già visto nel capitolo precedente.

Nintendo però aveva le idee chiare e con TOTK, di nuovo, spacca il mercato, offrendo un titolo dove l’idea di libertà d’azione (oltre che di movimento), di sandbox, viene ampliata a livelli difficili da razionalizzare. Il nuovo titolo di Nintendo, prende quanto di buono fatto dal capitolo precedente, regalando tutto un ventaglio di nuove possibilità, dalla costruzione di armamenti combinando gli oggetti, all’utilizzo dell’Ultramano.

Nuove capacità di movimento per la mappa, dinamismo, miglioramenti nel combat system.
Ben fatto Nintendo.

Ma quando si parla di titoli che hanno cambiato il mercato, la mia mente da appassionato si rivolge sempre ad gioco in particolare, a una software house in particolare: Elden Ring di From Software.

Seconda Strada: Elden Ring

The Helix Tree?

Elden Ring è stato uno dei titoli più attesi e discussi tra quelli pubblicati da From Software. La software house giapponese, dopo aver fatto la sua fortuna grazie a titoli magnifici, inusuali e affascinanti come la trilogia dei Dark Souls, Bloodborne e Sekiro, sapeva di dover costruire qualcosa che riuscisse a sorprendere anche i giocatori più navigati.

Elden Ring è, a sua maniera, riuscito a raccogliere l’eredità di Zelda diventando un nuovo punto di riferimento per gli open world.

Il mondo di Elden Ring, oltre a essere incredibilmente vasto e stilisticamente incredibile, riesce a non far percepire mai la noia al giocatore; ogni angolo di mondo nasconde un segreto, un oggetto, un boss o mini-boss, un sotterraneo da esplorare, un NPC con cui parlare.

A ciò si aggiungeva una profondità di gameplay e combat system che prendeva a piene mani da tutta l’esperienza fatta da From sui suoi titoli precedenti, evolvendo la classica formula dei Souls, offrendo enorme vastità d’approccio al combattimento, molte più possibilità capaci di soddisfare ogni appassioanto non solo dei Souls-like ma anche degli RPG più classici, potendo maneggiare e rimaneggiare la propria build in modi del tutto fantasiosi, riuscendo a cambiare build durante il corso del gioco, provando qualsiasi arma o magia.

Elden Ring riesce quindi a ripulire il suo open world dalle magagne dell’effetto ubisoft perché da al giocatore il controllo delle sue azioni e dei contenuti. Non c’è niente di davvero deciso in quanto non ci sono segnalini, ci sono indizi visivi, ci sono ragionamenti da fare: c’è il senso di scoperta e l’idea che dietro ogni dungeon ci sia effettivamente un tesoro inestimabile da trovare.

La vittoria come Gioco dell’Anno ai The Game Awards 2022, aiuta sicuramente a identificare l’entità dell’operazione Elden Ring, che ha visto coinvolto tra le altre cose, George R.R. Martin alla scrittura di certe parti di storia ambientale dell’Interregno.

Elden Ring è come un buon caffè

E loro sono dei pasticcini

Elden Ring, come sempre più spesso accade con le opere di From Software, ha avuto l’effetto che un buon caffè ha su una persona appena sveglia: inizi ad aprire gli occhi, notando un rivolino di luce che infastidisce il tuo risveglio, poi assaggi quel caffè. Sorso dopo sorso, il corpo si risveglia, la mente realizza di avere più forza di quanta ne sentiva solo pochi istanti prima.

Una volta finito quel caffè, sai di poter trovare da qualche parte la forza per attraversare la giornata.

Una volta abituati a quel caffè giornaliero però, si rischia di soffrirne la mancata assunzione. E a distanza di più di due anni dall’uscita di Elden Ring, i giocatori appassionati, iniziano a sentire il bisogno di un’altra dose di quel mondo, di quelle storie, di quel combat system. I giocatori hanno bisogno di From Software.

Con l’annuncio del DLC, Shadow of the Erdtree, la macchina immaginifica ha ripreso, necessariamente, a muoversi e a fantasticare. E allora una sola domanda si è levata dal web: “From, quando lo facciamo sto Elden Ring 2?”.

From Software deve imparare dalla sua storia

Il Tower Knight originale!

Ripercorriamo un attimo la storia più recente di From Software, dal punto in cui bene o male tutti hanno iniziato a seguirne le vicende con attenziona crescente.

Era il 2009 e in Giappone e Corea viene pubblicato per la prima volta Demon’s Souls, un titolo per PlayStation 3. Il titolo presenta meccaniche inusuali, appare pesante e difficile da giocare già ai primi playtest del Tokyo Game Show del 2008.

Persino Shuhei Yoshida, presidente di PlayStation, darà un parere negativo, ricredendosi qualche anno dopo:

Con Demon’s Souls non abbiamo potuto provare il gioco a fondo. C’erano problemi di frame-rate e il network non era funzionante. Abbiamo sottostimato la qualità del gioco e, ad essere onesti, lo hanno fatto anche i media giapponesi. Nelle fasi finali dello sviluppo l’ho provato per quasi due ore e, dopo quel periodo, ero ancora fermo all’inizio del gioco. Mi sono detto ‘questo è un gioco incredibilmente pessimo’ e l’ho messo da parte. Fortunatamente publisher third party come Atlus in Nord America e Namco in Europa hanno visto il suo potenziale (fonte: Game Informer)

Da quel momento in poi, grazie alla mente incredibilmente produttiva di Hidetaka Miyazaki e a un pubblico che, nonostante non fosse numerosissimo in prima istanza, divenne una nicchia decisamente rumorosa, i titoli From sono diventati delle pietre miliari del videogioco, tanto da ridefinire l’immaginario “dark fantasy” e aiutare nel conio del termine “Souls-like”, per identificare titoli che da Souls hanno mutuato alcune dinamiche.

Da gicoatore dei titoli From Software della (quasi) prima ora, mi sento però di fare una considerazione: From Software non è una software house che dovrebbe fare dei sequel per i suoi giochi.

Perché From non dovrebbe fare un sequel di Elden Ring?

Due capolavori

From Software ha al suo interno, dei creativi in grado di concepire mondi e storie incredibili da vivere. Non tanto per intrecci narrativi particolari, ma per profondità di scrittura dei personaggi e delle situazioni. Quella che spesso pare partire come una supercazzola fantasy, si rivela poi essere una storia molto umana, al cui cardine possono stare temi come l’amicizia più profonda e devota (vedi Siegward e Yhorm di Dark Souls III), l’avida ambizione umana, che sia di potenza o di conoscenza (Re Vendrick e Aldia di Dark Souls II), l’amore fraterno 00 (Artorias e Sif di Dark Souls).

L’impressione che ho però, da appassionato di questi incredibili mondi, è che le buone idee di From Software abbiano una forza tale da risucire a sostenere un solo gioco per volta.
Mi spiego meglio.

Dark Souls, il primo, ha una storia che può essere fruita in maniera totalmente staccata dai due sequel. La storia ha un antefatto, un inizio e una sua conclusione. Tuttavia, il primo Dark Souls ebbe un buon successo, creando il desiderio di un seguito. E Dark Souls II lo ricordiamo tutti no?

Come si è soliti dire, quando si cerca di essere più intellettualmente onesti possibile, Dark Souls II non è un brutto gioco ma è un brutto “Darks Souls”. Questo perché, se come gioco di ruolo a se stante ha dei momenti veramente interessanti, va a perdere tante di quelle cose che avevano reso grande il primo titolo della saga, come level design, boss design, coerenza della lore, combat system (questo è chiaramente opinabile).

Dark Souls III poi, cercando di chiudere per sempre il discorso “Dark Souls”, pare riuscirci, regalando ai giocatori il miglior combat system della saga ma perdendosi totalmente per quanto riguarda l’aspetto di chiusura della storia. Il titolo, che dapprima pare voler semplicemente mettere i trattini sulle T a quanto raccontato nel primo titolo, diventa poi un contenitore di storie e idee nuove che non hanno il tempo di venir raccontate, rimanendo semplici echi di cose che sarebbero potute essere, ma che mai sono diventate.

Se pensiamo invece ad altri titoli di From Software, a quei titoli che a oggi vengono ancora ricordati come i veri capolavori, abbiamo solo IP singole: Bloodborne, Sekiro: Shadows Die Twice e, per chiudere Elden Ring.

Ooooooh Agheel

From ha infatti dimostrato talento nel raccogliere ciò che ha seminato: Demon’s Souls è un’evoluzione di King’s Field, saga che non aveva probabilmente più nulla da dire; Dark Souls è l’evoluzione diretta di Demon’s Souls, che ne migliora modo di raccontare, difficoltà e semplicità di fruizione, oltre al level design; Bloodborne è già qualcosa che, per quanto simile a Dark Souls, prende una strada tutta sua specialmente per il combattimento, lasciando quella sensazione di level design frommiamo; poi Sekiro, che cambia ancora le carte in tavola, con un cs che più volte è stato paragonato a un rythm game e che aggiunge la verticalità di movimento.

Poi, Elden Ring.
Elden Ring prende davvero da tutta quella che è la produzione From dal 2009 a oggi. Tutto è però in mano al giocatore, che sceglie che approccio mantenere, in un contesto open world ricchissimo e mai banale, pieno di stimoli diversi in grado di regalare belle sorprese, sia che lo si esplori in maniera completa e precisa, sia che vi si corra dentro noncuranti dei dettagli.

Considerando la storia di From, considerata la densità di Elden Ring e considerata il DLC di prossima uscita, è auspicabile aspettarsi un Elden Ring 2? O è forse più saggio, da appassionati della software house più che delle sue IP, aspettarsi un lavoro nuovo, che attinga da Elden Ring e che crei un mondo nuovo, con nuove regole e che sappia reinventarsi grazie all’utilizzo di meccaniche diverse o più ricche?

Con questo articolo non voglio dare una risposta certa a questa domanda, ma semplicemente far riflettere gli appassionati, gruppo sociale di cui faccio parte, su un aspetto che non si considera così spesso. In tanti ancora chiedono e sperano in un sequel di Bloodborne ad esempio. Io oggi lancio l’amo, chiedendovi si iniziare a sperare in qualcosa di nuovo e diverso, caratteristiche che From ha dimostrato di saper padroneggiare alla grande.

This post was published on 18 Giugno 2023 19:30

Pietro Falzone

Redattore Appassionato di videogiochi sin dal sempre più lontano 2002, quando per festeggiare i 5 anni ricevette una copia di Crash Bandicoot per la prima PlayStation. Il richiamo dell'avventura digitale lo fece innamorare di un mondo fatto di pixel, più o meno definiti. E l'amore non si è mai fermato. Inizia così a tastare tutti gli aspetti del mondo videoludico. Tra le sue più grandi passioni, si piazzano in ordine gli MMORPG (con sempre meno per giocarli, purtroppo), gli sparatutto in prima persona e, doprattutto, giochi di ruolo single player. Così si spiegano le più di mille ore, spalmate sui vari titoli From Software, da Demon's Souls in poi. Dalla fine delle medie, scopre una nuova passione: la scrittura. E come se non bastasse, scopre che nel mondo c'è chi scrive riguardo ai videogiochi, come se fosse un lavoro vero. Cosa fare di due passioni del genere dunque? Inizia così la ricerca disperata del giusto vascello, che riuscisse a convogliare voglia di fare, idee e tempo. Dopo un periodo passato a peregrinare, tra siti e sitarelli, approda su Player.it dove trova una casa in cui convogliare idee e spunti, al fianco di un team solido e costruttivo.

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