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Speciali

La manovella gira: analizziamo Playdate, la folle nuova console portatile

Mattina, suona il citofono.
Conosciamo tutti la regola non scritta dell’universo riguardo alla ricezione di una spedizione, di conseguenza il sottoscritto non poteva trovarsi in nessun altro luogo sul pianeta se non in bagno.

E quindi via di imprecazioni muovendomi con difficoltà, su i calzoni, e di corsa per le scale per non fare attendere il fattorino, che la vita è già abbastanza dura anche per lui. Afferro il pacchetto di cartone, e sorrido per la fine di un’attesa iniziata circa tre anni fa.

Viene dall’Oregon, uno stato degli USA silenzioso che ha dato i natali al creatore dei Simpson Matt Groening, a Phil Knight e alla sua celeberrima azienda con lo swoosh, ai tamarrissimi Red Fang.

E a Panic.

Videogiocatori atipici

Dopo due decenni passati a produrre programmi per Mac e iOS, la software house di Portland si è fatta conoscere tra i videogiocatori per l’intimo e interessantissimo Firewatch, e per Untitled Goose Game, stealth pennuto e fuori di testa. Entrambe le produzioni hanno messo in mostra la spiccata creatività del team e la loro estetica minimale ma riconoscibile. Appariva insomma chiaro almeno dal 2016 che in Panic le idee non mancassero, ma ciò che venne annunciato il 16 maggio 2019 era decisamente imprevedibile.

Oggi, dopo oltre quattro anni di lavoro a opera di un ristretto e talentuoso team interno, siamo entusiasti di presentare Playdate, una console portatile nuova di zecca.

Ai tempi non tutti percepirono la piccola rivoluzione di questa uscita.
Distribuire una console con software e parco giochi originali al giorno d’oggi è tutt’altro che una passeggiata: fra le tre big dell’hardware videoludico, i PC, e la moltitudine di dispositivi mobile e simili con il loro esercito di casual game, trovare spazio senza rischiare il fallimento rappresenta una sfida concreta e delicatissima. Ma ai nostri, lo abbiamo detto, l’inventiva non mancava.

Tutto ciò di cui avevano bisogno era un’idea più audace delle altre, serviva qualcosa che facesse girare gli ingranaggi – una manovella, insomma.

Playdate è subito diventata la console con la rotellina, e a ragione, dal momento che la crank è di certo la prima componente a saltare all’occhio. Ma appare subito evidente come la piccola portatile gialla poggi su un proprio ecosistema, un minuscolo mondo curato in ogni dettaglio da Playdate, e popolato da una community piccola ma molto partecipe.

Così la console rivela il suo leitmotiv nel proprio nome, l’appuntamento di gioco, ossia un intervallo di tempo dedicato, fatto di scambi, e non un servizio multimediale passivo: au contraire, Playdate richiede un gioco attivo, rifugge alcune delle comodità tecnologiche alle quali siamo abituati, non a casa l’appuntamento di gioco rimanda all’infanzia, a un’esperienza più manuale, un esercizio di sperimentazione.

Proprio per questa sua natura, Playdate non è una console per tutti.

Unboxing emotivo

È arrivato il momento di aprire il pacchetto.

Quella viola è la confezione della violissima cover magnetica.

Il packaging fa trasalire un presagio riguardante la cura per i dettagli che Panic ha infuso in tutta questa sua specialissima produzione: minimale e incisivo, ordinato all’interno, con la chicca di un breve testo indirizzato ai gamer posto sul retro.

Il primo impatto con la consolina è estremamente positivo: il colore è sgargiante e allegro, e i materiali trasmettono al tatto il senso di una rifinitura di pregio; il click dei due bottoni A e B e della croce direzionale è soddisfacente; la manovella, estraibile dal lato destro, gira che è una meraviglia, solida e reattiva. Dopo alcune ore di utilizzo, sembra certosino il lavoro compiuto da teenage engineering, l’azienda svedese specializzata in hardware audio alla quale Panic si è affidata.

Tre forellini su altrettanti angoli, tasto d’accensione/stand-by con spia luminosa sulla parte superiore, bottoncino per le funzioni di pausa, volume e screenshot alla destra dello schermo, sopra a una sottile linea per l’uscita audio, ingresso cuffie e USB-C sul lato inferiore, accelerometro a tre assi. Playdate dà l’idea di un giocattolo speciale, un minuscolo quadratino delle sorprese (in millimetri, 74 × 76 × 9) pronto a rivelarsi nelle nostre mani.

L’altra evidente peculiarità della console rappresenta anche il suo punto più critico. Lo schermo LCD 400x240p in bianco e nero creato da Sharp contribuisce fortemente all’identità del progetto, il cui minimalismo coinvolge così anche la resa video. Una poetica espressa all’estremo, che influenza il videogiocare drasticamente: ciò a cui puntiamo gli occhi è infatti un display senza retroilluminazione.

Una console radicale

Trovarmi di fronte a uno schermo piccolo e senza luce mi ha dato la mesta impressione di una conquista perduta, dal momento che la retroilluminazione sta alle console portatili come il fuoco sta all’uomo; per quanto sia appassionato di retrogaming, non morivo dalla voglio di tornare al 2001, almeno tecnologicamente parlando. Eppure anche questo fa parte del gioco, anche questa scelta rientra nel manifesto ludico di Panic.

Nonostante le immagini appaiano fluide e brillanti, lo schermo del Playdate è uno degli elementi aut aut della console, prendere o lasciare. E tuttavia non credo trovi troppo senso l’accostamento, riscontrato in diversi commentatori del settore, all’esperienza ludica del Game Boy: non siamo negli anni Novanta, nel 2023 un’illuminazione sufficiente per poter godere del Playdate è rimediabile dappertutto, da casa al treno al bus al proprio smartphone, e il sottoscritto ad esempio non sta riscontrando troppi ostacoli alla fruizione del prodotto.

Può forse aiutare una correzione lessicale: per costituzione e fruizione, Playdate è definibile come un videogiocattolo, meraviglioso nella forma, ben costruito, capace di stupire e di far sognare, e comunque limitato alle sue regole e caratteristiche.

L’audio mi ha dato invece un’ottima impressione: esce bene, il minuscolo speaker è sorprendentemente chiaro, è ovviamente possibile attaccare degli auricolari, e il dispositivo è inoltre munito di microfono.

L’irresistibile Playdate Stereo Dock è il prossimo accessorio in arrivo.

Non si cada però nell’errore di reputare Playdate un marchingegno arretrato: la consolina è dotata di un sistema operativo è semplice e intuitivo (disponibile solo in inglese), di un’ottima batteria ricaricabile da 8 ore di gioco, di connettività Wi-Fi e Bluetooth. Playdate è assolutamente dentro al suo tempo, soprattutto grazie ai supporti digitali che Panic ha messo a disposizione, ennesimo motivo di encomio di una produzione meticolosissima.

Il sito play.date è un autentico laboratorio digitale per l’utenza, fornitissimo di software che interagiscono con la console mediante USB-C o il proprio account Playdate. Un valido strumento è Mirror, che permette di utilizzare la console sullo schermo del proprio computer, trasformandola in joypad (o usandone un altro), fornendo inoltre una funzione integrata di cattura video.
E nella condivisione Panic si esalta ulteriormente. SDK è il dev kit fornito gratuitamente dall’azienda, al quale si affiancano Pulp, un game editor online, e Caps per i font. Il risultato di questi sforzi è la nascita di una community di sviluppatori che sta arricchendo enormemente l’offerta Playdate: esplorando il forum ufficiale o il sito itch.io è possibile procurarsi software di ogni tipo per trasformare la console in un lettore musicale, un metronomo, una sveglia – oltre, ovviamente, a numerosi giochi, altro ambito nel quale Panic ha dettato una visione specifica e controcorrente.

L’interfaccia di Pulp

Una console è niente senza giochi, lo sappiamo. Va da sé che la forte unicità espressa da Playdate in quasi ogni dettaglio debba passare necessariamente anche dal proprio parco titoli, il quale deve proporre lavori che si adattino alla struttura del dispositivo e, soprattutto in questo caso, ne rispecchino la visione.

Videogiocattolare

Coerentemente col proprio imprinting, Panic ha deciso di affidare lo sviluppo dei primi giochi per la propria console a diversi sviluppatori provenienti dal panorama indie – il più noto dei quali è sicuramente Keita Takahashi (qui al lavoro col team Uvula), papà dei due Katamari di Namco per PS2. Lo stesso accesso ai giochi di discosta dalla consuetudine, in nome di una serialità rilassata: 24 titoli (di cui 3 sviluppati internamente) inclusi con l’acquisto della console, divisi in 12 “spedizioni” da 2 giochi. Intendo dire che dopo i primi due titoli disponibili dopo l’accensione di Playdate, ogni lunedì riceveremo un pacchetto regalo virtuale con all’interno 2 giochi, per tre mesi.

Una modalità che invita il gamer a rallentare, a concentrarsi, per provare e approfondire ogni singolo lavoro – sempre al netto del proprio gusto personale, s’intende. È un tentativo – a mio parere, riuscito – di ridurre il rischio di una fruizione superficiale che svilirebbe il senso della proposta di Playdate, i cui giochi si prestano al casual gaming, e sono in molti casi completabili in poche ore. Di questi 24 titoli vi parlerò più avanti, una volta analizzati tutti; posso però anticiparvi che già due dei primi quattro che ho avuto modo di giocare mi hanno catturato con la loro semplicità.

Playdate è una piccola epistola gialla, il veicolo di un messaggio. È una lettera d’amore verso il videogiocare, o più correttamente il giocare, quel modo di scoprire e meravigliarsi così necessario all’esperienza umana. È un messaggio all’industria del gaming, un’alternativa folle dalla forte identità, che mescola passato e progresso in un’espressione unica. È un manifesto poetico, un insieme di menti indipendenti al servizio di una creatività curata nei minimi dettagli. Playdate dice a chi la stringe tra le mani di continuare a portare avanti le proprie passioni.

$179 mi sembra un prezzo più che conveniente per tutto questo (oppure $199 per la versione console + cover magnetica). Sarà importante vedere le modalità e la longevità del supporto che Panic vorrà dedicare alla sua incredibile console: i segnali fanno pensare con ottimismo, e la community creatasi intorno al quadratino giallo rappresenta già dopo pochi mesi dal lancio un ulteriore importantissimo sostegno.

Playdate è un’opera di pregio che non teme di palesare le proprie ruvidezze, non adatta a tutti. Ma è unica, e questo nessuno potrebbe contestarlo. E in un mondo di copie, di serie, di zombie, quanto può valere l’unicità?

This post was published on 27 Febbraio 2023 12:30

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