C’è chi direbbe che la pubblicità è l’anima del commercio, secondo un vecchio e consolidato adagio. E cosa ci sarebbe di male, in fondo? Se ho creato un prodotto, se lo distribuisco, la società mi concede e si aspetta che io lo spinga, lo metta sotto la luce migliore, per convincere i consumatori di essere la risposta alle loro preghiere. È il mio prodotto, ciò che cercate. Ciò di cui avete bisogno.
Ma quello pubblicitario è il tipico ambito tardo-capitalista in cui la confezione supera in essenza ciò che custodisce, e il monaco è esattamente l’abito che indossa.
Domanda: possono esistere presidi di pubblicità etica, composta da addetti ai lavori che credano fortissimamente in ciò che sponsorizzano, e solo a condizione che si tratti di beni o servizi realizzati secondo criteri di sostenibilità e rispetto della filiera produttiva e degli acquirenti?
Chi ha il coraggio di rispondere sì?
Nel 2023, sotto la dittatura dopante di una comunicazione ininterrotta e implacabile, la pubblicità è tutto, il microfono è più forte del messaggio, e non vediamo l’ora di schiattare per farci seppellire dalla nota azienda di servizi funebri romana.
Nonostante lo smascheramento, le pubblicità continuano ad avere un’influenza enorme sulle nostre coscienze economiche e di costume. Di conseguenza, una volta immagazzinate come un meccanismo quotidiano della nostra esistenza, abbiamo sviluppato la capacità di distinguere tra belle pubblicità e brutte pubblicità, che funzionano o che lasciano indifferenti.
Insomma, ci sono pubblicità che ci piacciono, e pubblicità che non ci piacciono.
Anche nei videogiochi.
Volenti o nolenti, le nostre teste sono dei centri Blockbuster di spot promozionali. Alcuni sono rimasti nell’udito, altri nelle immagini, molti coi loro slogan sopravvivono come anatemi nella nostra memoria. E quelli che riguardano i videogame non sono pochi, in alcuni casi mantenendo connotati locali specifici ed esclusivi. Italiani, nel nostro caso.
Per dare la giusta direzione a questo articolo ho deciso di partire col top, con una scelta di marketing che ai nostri occhi di abitanti del terzo millennio non può che causare giramenti di testa: quella di Sega di eleggere come volto per il mercato italiano Jerry Calà.
L’ora 72enne showman è impresso nell’immaginario collettivo dello stivale tra i simboli degli anni Ottanta e Novanta. Lungo una carriera fatta di sketch comici in tv, commedie per il grande schermo (Yuppies, Vado a vivere da solo) e prove registiche (Vita Smeralda, ma anche l’incredibile Chicken Park), nei tempi in cui la SErvice GAmes ancora produceva console, lo sguardo furbesco dello showman era una presenza costante per i telespettatori.
A pensarci, il personaggio di Jerry Calà, improntato a una bonaria malandrineria, poteva ben rappresentare lo spirito dell’azienda giapponese e della sua mascotte Sonic, proiettate verso un’attitudine e un pubblico che si distaccavano dall’immagine più innocua di Nintendo. Ma i risvolti realizzativi vanno oltre ogni più rosea previsione, col nostro che abusava del proprio ego catodico e delle proprie catchphrase ad ogni occasione.
Qui ad esempio Jerry se ne frega bellamente della prima in sala di un suo nuovo lungometraggio, perché c’è Castle of Illusion da giocare. Libidine!
Che occasione: i primi 500 a inviare la prova d’acquisto di un Sega Master System II riceveranno un Game Gear in regalo. Affrettatevi, lettori di Player.it: l’offerta è valida fino al 30 giugno 1992. Doppia libidine!
Il comico siculo-veronese partecipò anche alla più grande iniziativa di marketing della storia videoludica di questo paese. Sto ovviamente parlando del Sonic badge.
Come funzionava: con alcuni prodotti SEGA si otteneva una spilla elettronica del porcospino blu la quale, mediante un pulsante sul retro, poteva essere impostata su una modalità tv. Magia: durante alcuni spot televisivi la spilla poteva suonare, segnale di vincita di altri prodotti di Giochi Preziosi.
Diabolicamente brillante, convincere un essere umano, mediante un pezzo di plastica, a sorbirsi ore di clip pubblicitarie davanti allo schermo di casa in cambio della speranza di vittoria di altri prodotti. Un gioco di prestigio del marketing, ancora più autentico quando scopriamo che l’operazione altro non era che una farsa: non sembra esistesse alcuna interazione tra la spilla e il televisore, e la vittoria avveniva casualmente attraverso alcuni dispositivi fortunati, come ha scritto Doctor Game.
Cos’è che diceva Bill Hicks sui professionisti del settore marketing?
Jerry venne presto affiancato da celebrità provenienti da un altro mondo che da sempre nel Bel Paese vanta folle di proseliti, quello del calcio.
In questo spot vediamo tre stelle del pallone anni Novanta tricolore: l’interista Walter Zenga, portiere dell’Inter e della nazionale al Mondiale ’90; Gigi Lentini, centravanti di Torino e Milan (e Cosenza), il cui taglio di capelli sopra all’orecchino brillante cozza con un’evidente carriera mancata nella musica pop, o nella criminalità organizzata; infine mister Mancini, coach vincentissimo, ai tempi attaccante della Sampdoria.
Ma il capolavoro Jerry lo firma in solitaria, con una pubblicità per l’impossibile Game Gear.
Ambiente esterno.
Jerry viene fermato da un ausiliare del traffico.
Il motivo è semplice: è pericoloso attraversare la strada mentre si utilizza a una console portatile.
Con una mossa da funambolo della vita, il protagonista convince il dipendente statale a giocare insieme, e tutto finisce a tarallucci e vino. Ma non è il plot a urlare al miracolo, bensì il vocabolario. Jerry Calà infatti si assume una licenza poetica mastodontica e, pronunciando il nome dell’azienda all’americana, trasforma l’espressione lombarda Figa! in Siga!, coinvolgendo sempre il membro delle forze dell’ordine.
Non ho intenzione di commentare ulteriormente.
Jerry si inchina, cala il sipario, si spengono le luci, tutti a casa.
Erano gli anni della dialettica SEGA/Nintendo, è quindi ovvio che anche la casa di Kyōto acquisisse degli spazi pubblicitari sugli schermi italiani – con tanto di vip, è chiaro.
TMC stava per Telemontecarlo, emittente in lingua italiana del Principato di Monaco che ha lasciato molti ricordi nei telespettatori, anche per i programmi musicali e per quelli destinati ai ragazzi. Proprio durante uno di questi ultimi veniva trasmesso uno spot del NES in cui compare una giovanissima Alessia Marcuzzi. Da ammirare la verve con cui vengono pronunziate le espressioni anglofone.
Ma il volto che la Grande N elesse a sponsor dei suoi prodotti fu quello di Jovanotti, poco più che ventenne ma già nazionalmente noto – è facile dire che i giovani non hanno voglia di far nulla quando si fa la grana subito dopo il liceo, vero Lore’?
Partiamo con raccapriccio: Lorenzo Cherubini, immancabile cappello all’indietro e prosodia da amio urbano del secolo scorso, sfrutta la propria console Nintendo per rimorchiare una ragazza. Gestualità ammiccante, primo piano sul lato b della donna, una terrificante allusione al continuo saltare di Mario, linguaggio machista al telefono con l’amico. Wow, Nintendo, ne è passata di acqua sotto ai ponti.
Proseguiamo con uno spot metafisico: scopriamo che Jovanotti è vicino di casa del sosia perfetto di Albert Einstein, ottuagenario al quale il giovanotto si rivolge con un ortodosso Hey, fratello!, dopodiché lo vediamo isolarsi dal party che ha organizzato in casa sua per rispondere alla telefonata di un sedicente signor Nintendo, il quale gli consiglia il gioco delle Tartarughe Ninja. Attento Lorenzo, non esiste alcun signor Nintendo!
Ma è probabilmente il Game Boy a poter vantare il momento più alto di questo paragrafo. È nientepopodimeno che sua Maestà Mario in carne e ossa a consigliare la portatile a 8-bit, e lo fa dagli studi di Striscia la Notizia.
Non state sognando, è realtà, e tutto è impeccabile, dall’accento italoamericano alle espressioni usate, le quali sublimano nel finale «Di videogiochi, modestamente, me Nintendo», una battuta che esplode di Bagaglino berlusconiano.
Lustri più avanti qualcuno dovette pensare che Giorgio Panariello sarebbe stato un buon volto per il marketing di Nintendo DS e Wii. E certo: non capita forse a tutti di collegare Nintendo alla comicità toscana?
Non si tratta tuttavia di un gesto insensato: erano gli anni in cui Nintendo cercava di proporre un gaming universale, inclusivo per genere ed età, attraverso due delle console più casual user friendly di sempre, intuitive all’estremo grazie a due controller inattesi – il pennino e il telecomando. Non deve stupire, quindi, una pubblicità nella quale compaiono solo 40-50enni:
Non credo di essere mai stato un fan del comico versiliese, ma bisogna ammettere che non si trattò di spot malriusciti, un Panariello che con semplicità riuscì a farsi associare a una console che anche in Italia riscosse un enorme successo.
In quegli stessi anni aveva iniziato a partecipare agli spot Nintendo la showgirl di origini brasiliane Juliana Moreira, che per via della sua forma smagliante veniva impiegata per la sponsorizzazione di Wii Sport, collaborazione che prosegue ancora oggi con la modella alle prese, insieme al marito Edoardo Stoppa (Striscia la Notizia che ritorna), con Ring Fit Adventure e con il seguito del titolo per Wii, Nintendo Switch Sports.
Le pubblicità del presente della Grande N mantengono sovente la scelta di una coppia di volti sponsor. Come il duetto tra il conduttore radiofonico Vic e la consulente creativa Sara Waka, o quello ai confini della realtà Maionchi-Donnarumma: come accade che un’anziana produttrice discografica e il portiere più avido della storia recente del calcio trascorrano del tempo insieme? E che giochino a Mario Kart o Arms? Non è dato sapere.
E ritroviamo l’esplosiva Mara Maionchi appena qualche mese fa a pubblicizzare God Of War per Playstation 5, insospettabile paladina nostrana dell’anti-console war, e chi se lo sarebbe mai aspettato. Con chicca finale da nonna sballo convinta, «Va che se ne scoprono di cose sul Twich», wow.
Sony ha proposto al pubblico italiano diversi spot promozionali memorabili, facendo leva sulla giovinezza dell’azienda e apparendo più fresca, più cool, agli occhi del pubblico. Le sue pubblicità davano l’impressione di porsi su un altro piano, prendendosi visibilmente gioco della concorrenza.
È sufficiente menzionare l’emblematica clip Ricchezza mentale realizzata dal poliedrico artista britannico Chris Cunningham, autore, tra gli altri, del video di Come to Daddy di Aphex Twin, il che è tutt’altro che un caso. Trenta secondi indimenticabili nei quali la alien girl interpretata dall’attrice Fiona MacLaine pronuncia un discorso che parla di conquiste umane, di desiderio di scoperta, e che non menziona neanche minimamente i videogiochi perché non ce n’è bisogno, perché si capisce che il messaggio è lo slogan Non sottovalutate la potenza di PlayStation. Il filmato è ancora più impressionante sapendo che l’attrice, scozzese, ha recitato direttamente in varie lingue tra cui l’italiano – ed è attraverso questo sotterfugio che posso inserire il video nell’articolo.
Chiudo così allora, con questo mezzo minuto autoriale che supera mediante la visione artistica lo spessore della mera pubblicità, la quale ha nella stragrande maggioranza dei casi l’unico fine di spillarci soldi dal portafogli, lo sappiamo.
Di nuovo, cos’è che diceva Bill Hicks?
This post was published on 21 Febbraio 2023 12:30
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