Mancano dieci secondi a mezzanotte.
Dieci, nove.
Ne è passato un altro.
Dai che finalmente finisce.
Otto, sette, sei.
Un nuovo inizio, che magnifica possibilità.
Cinque, quattro.
Quante occasioni sprecate, giorni di noia, certo anche qualcosina di buono ma…
Tre, due… Manca pochissimo.
Uno, zero.
Musica.
La lancetta completa il suo giro e lo sguardo si distoglie subito passando ai flute tintinnanti, alle facce sorridenti che scambiano auguri, alla festa chiassosa che dà la tv. Il rito è compiuto, la morte e la rinascita, il modo per nulla razionale che ha il mondo di neutralizzare il passato, di darsi speranza.
Sappiamo come nulla cambierà. Eppure sto lì, pregno di un’euforia condivisa dagli altri attorno a me. Mi sento libero. Do un’altra occhiata all’orologio. Mezzanotte e quindici. Stento a crederci. Davvero è già passato un quarto d’ora?
In questo speciale sei mesi dopo trattiamo Xenoblade Chronicles 3 e cercherò di ricamare attraverso le parole la mia personale esperienza col titolo, in un’occasione per parlarne in maniera libera snocciolando alcuni dei punti chiave.
Ci saranno spoiler, ripeto ci saranno spoiler pertanto, se non hai completato la trama principale, metti in saccoccia ‘sta breve cronaca di un mio capodanno di qualche anno fa e ci rivediamo tra un po’.
Per tutti gli altri, tenete questa immagine nella vostra iride ancora per un po’. Finirà per tornarci utile. Che lo sprazzo abbia inizio.
Cercheremo di evitare locuzioni come “l’ultima fatica di Monolith Soft” o simili che abbiamo già ampiamente scritto nella recensione di Xenoblade Chronicles 3, realizzata dall’ottimo Michele Giannini, per concentrarci sull’evoluzione nei mesi, sui risvolti del gameplay ma soprattutto sul lascito emotivo della storia narrata in quella che rappresenta l’ultima fatica del team di Monolith Soft.
Oh crisbio, ci sono ricascato.
Ma perché badare a non ripetermi quando Xenoblade 3 non ci racconta altro che questo? La stessa storia che si ripete uguale a se stessa in una spirale eterna di morte e disperazione.
Questo è il setting, questo è il mondo di Aionios. Questa è la premessa di Aionios, dato che il vezzo autoriale della saga Xeno di partire con una faccia e finire con un’altra è anche qui bello vivo.
E meno male, perchè a proposito di serpenti che si mordono la coda, di grandi storie incentrate su protagonisti che devono spezzare loop da tsukuyomi infinito la letteratura videoludica è piena. In generale, il concetto appartiene tanto alla cultura giapponese e va a braccetto con tutta la narrazione che arriva da quelle coste. Ne riparleremo più in la, magari.
Nel frattempo, quando sento spirale di morte e disperazione il pensiero va automaticamente a Spira, il mondo condannato di Final Fantasy X, al viaggio di redenzione di Yuna e guardiani verso Zanarkand. To Zanarkand, e mentre le note del piano iniziano a scandire nella vostra memoria non serve che aggiunga altro.
Xeno 3 attinge a piene mani da quel racconto e lo omaggia, con grazia, nella figura dei tramandanti e col pellegrinaggio verso Pian di Spada, luogo che fa da spartiacque tra le due metà distinte di storia.
Ecco, io per un sacco di tempo ero rimasto fermo alla prima parte della storia. Le impressioni, i pensieri e i motivi che il vecchio me aveva per rimanere fermo lì sono quelli che ci interesseranno.
Il prologo di Xenoblade 3 è sopra le aspettative. C’è guerra, c’è morte, c’è bene e c’è bene ma messi l’ uno contro l’altro. C’è bianco e c’è nero ma manca il grigio. Le prime ore di gioco sono permeate di un’ostilità quasi fastidiosa.
C’è tutto quello che ci deve essere in uno Xenoblade e col party al completo arriva il resto: un vero nemico, una destinazione e un destino da capovolgere. E poi tanti perché, tanto irrisolto per spingerci nelle vastissime aree aperte colme di collezionabili, colonie da visitare, mostri con migliaia e migliaia di punti vita.
Il sistema di combattimento è tra i più complessi visti in vita mia: classi, abilità cancellabili, trasformazioni, cambio dei personaggi in tempo reale: non saprei che differenza fa tra una tecnica magistrale e una tecnica personale, a volte mi perdo e in generale l’impressione è che sia tutto troppo impegnativo da padroneggiare fino in fondo. Più che altro, le battaglie sono spettacolari ma un bel po’ caotiche e comunque belle difficili, quando i mostri caricano in branco sono tosti.
Da fan della saga so dove troverò un’ancora. Le cut-scene. I filmati non deludono, scritti, diretti e recitati in maniera emozionante, con musiche sublimi a fare da miccia. E di scene ce ne sono un sacco in questo gioco; ad ogni checkpoint i protagonisti si scambiano punti di vista contrastanti e si ammorbidiscono a vicenda.
Purtroppo.
Come dire, per via del potere Ouroboros che consente di entrare in sintonia profonda, le loro posizioni si conciliano insolitamente presto. Ciò li porta ad agire come fossero mossi da un’unica mente con un solo scopo comune, il che è molto bello ma finisce per appiattire un po’la tensione del gruppo, perdendo sprazzi di imprevedibilità.
Spieghiamo meglio. La caratterizzazione dei personaggi è più che decente: saprei dire che Noah è calmo e determinato, Lanz vuole fare il duro ma in fondo è un cucciolone, Yunie è un sacco figa oltre che fr*gna. Sena è dolcissima, Myho è un sacco materna ed è quella più prossima alla fine del suo ciclo di vita mentre Tayon è quello intelligente ma che alle volte ci pensa troppo.
E’ quando si tratta delle scelte che questi personaggi prenderanno nel loro viaggio che il saper dire anticipatamente risulta essere un problema.
Tante sono le tappe alle colonie di strada.
Qui si incontrano i vari eroi da arruolare come settimo membro e come insegnanti di nuove classi. La reazione chimica tra questi ultimi e il nostro party innesca spesso episodi significativi, momenti di confronto profondi e toccanti intermezzati dallo scontro con un Moebius dall’allineamento perennemente caoitc-evil.
Neanche lo scontro con il redivivo Consul J porta stravolgimenti particolari alla nostra resolve. Non spinge di molto oltre il classico momento di riflessione sulle sfaccettature delle relazioni umane.
Senza accorgermene, ho iniziato così a considerare Xenoblade Chronicles 3 una sorta di Camera Cafè con le lacrime al posto delle risate. Mi vivevo un episodio verticale, un momento toccante della storia, poi passavo a una delle apparentemente infinite missioni secondarie sortendo gli stessi effetti.
La differenza con Camera Cafe è che a ridere uno è quasi sempre disposto, per la commozione invece, diciamo che devi essere nel mood. Ne senti l’esigenza più di rado. Quindi ho iniziato a giocare a Xeno nei frangenti in cui dovevo sbollentare il cervello e al posto di fumarmi duecento sigarette mi immergevo nella personalizzazione di classi, gemme, accessori. Tanto pure lì, avrei potuto averne all’infinito senza esaurire la curiosità.
Il problema era che non riuscivo a capire dove volesse andare a parare.
Anche dopo l’arrivo al Pian di Spada. La rivelazione della città e dei numeri primi, i nodi che andavano sciogliendosi, i protagonisti che scoprivano il gusto di una vita diversa da quella del loro loop, gli Ouroboros mancati capeggiati nel loro risentimento dall’invidiosa Shania.
La situazione non cambiava.
Sapevo che una volta fuori mi avrebbe aspettato un’altra secondaria, un’altra classe da provare, magari un mostro unico di cui sbarazzarsi. E nulla più. Ore su ore di dolcissimo intrattenimento, una striscia potenzialmente interminabile, che ci avrei potuto passare la vita in quei panorami immensi se non mi avessero già annichilito.
Da fan della saga, se mi avessero chiesto quale fosse il capitolo meno forte, avrei risposto il terzo.
Confesso di aver smesso di giocarci per un lungo periodo e di averlo ripreso solo per scrivere questo articolo. A riprova del fatto che le cose migliori accadono quando smetti di sperarci.
Al capitolo cinque succede qualcosa cui non eravamo abituati.
E’ il punto in cui gli Ouroboros si fingono prigionieri per infilarsi nel carcere del castello degli Agnus e lì incontrare un personaggio con delle informazioni chiave e aiutarlo ad evadere.
Questo personaggio a sorpresa si rifiuta di prestarci il suo aiuto, adducendo al fatto che sia impossibile, a suo dire, distruggere il il “presente infinito“. Lo sbigottimento dei presenti rispecchia quello del giocatore perché è la prima volta, a tre quarti inoltrati di trama, che si fa riferimento con tanta enfasi a questo presente infinito.
Poi si arriva all’evasione.
Va rovinosamente male.
Shania l’invidiosa ci ha venduti al nemico e troviamo tutta la squadriglia dei Moebius ad attenderci, compresi i terribili consul N e M, spaventosamente simili nell’aspetto a Noah e Miyo. Lo scontro è impari. Il sosia di Noah, N, prima ci intima di affrontare la realtà, poi ci rende impotenti e infine decide per noi il verdetto più crudo: reclusione in cella fino al giorno del Ritorno di Miyo, a cui assistere da spettatori inermi salutando ogni speranza di rivederla mai più. E poi giustiziarci.
Segue una lunga scia di cutscene struggenti in attesa della fine.
Shania la traditrice viene a trovarci in cella; lei che è nata libera e che il ciclo di morte e rinascita lo brama, ci mostra di aver scelto di entrarci. E’ privilegio dolce, per chi come lei crede di aver fallito tutto, avere una seconda possibilità.
Sentirsi liberi solo quando si è intrappolati.
Arriva l’esecuzione e Miyo departe sotto lo sguardo impotente dei suoi amici. In quel momento una sequela di filmati va a rivelaci la storia di N, in realtà un Noah delle vite precedenti che stanco di doversi dividere da Miyo ogni fine ciclo stringe un patto con i Moebius. Corrompendosi, assicura un eterno presente per se e la sua amata in cambio di un ruolo da antagonista del mondo. La domanda con cui Z, il capo dei Moebius lo seduce è: hai mai pregato perché il tempo si fermasse?
Capodanno, ore 00:15. Sono con gli occhi sull’ orologio e mi domando come sia possibile. E’ già passato un quarto d’ora ma potrei giurare che un secondo fa avevo brindato la mezzanotte. Quest’anno appena iniziato mi sfugge già di mano. Stavo festeggiando il reset del tempo, l’azzeramento degli errori, la catarsi dei peccati. E intanto il mondo è andato avanti. No, non si può cristallizzare, il tempo andrà sempre avanti.
E così ho capito dove volesse andare a parare Xenoblade 3.
Quando stavo fermo nella prima parte a perdermi tra sub-quest senza una bussola, scegliendo di procrastinare l’andare avanti perché in quel momento c’erano già un sacco di cose belle da fare, che rimandavo anche quelle. Ero libero o ero in trappola? Per il completizionismo, per la paura di perdere ciò che avevo ora, per l’ansia del futuro. Chi bramava un eterno presente, se non io.
Il vero Noah ha assistito al flashback con noi e da la sua risposta. E’ diventato un tramandante per capire come mai chi arriva alla fine ha sempre un sorriso sulle labbra. Per capire chi malgrado se ne stia andando è consapevole di quello che ha vissuto ed è felice. E di ciò che verrà dopo chi lo sa e quanto importa dopotutto.
Al termine della boss fight i personaggi a schermo sono di nuovo fortissimi. Mi sento pieno, camminare per quelle lande immense ora mi sembra bellissimo sotto il cielo stellato.
Per chi gioca ai videogames può capitare di avere questo tipo di timore. Il videogioco in fondo è un posto da abitare dove il divertimento è pattuito. In qualche modo è assicurato.
Se ciò è vero per chi gioca non vi dico per chi ne scrive. O forse sono solo scuse che ancora accampo e queste sensazioni, queste ansie, sono solo mie. Forse dovrei solo andare avanti, come ho fatto nella storia di Xenoblade, anche nella mia vita.
E dopo camminare sotto un cielo di stelle sarà di nuovo bellissimo.
Grazie di tutto, Xenoblade.
This post was published on 4 Febbraio 2023 12:30
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