L’origine di questo articolo risale a un po’ di tempo fa, circa un mese per essere precisi.
Vi erano i saldi di Steam e nel miasma dei mille giochi in offerta, del battle pass di Dota 2 e del Natale avevo voglia di giocare qualcosa senza eccessivo impegno.
Nonostante avessi comprato Elden Ring non volevo iniziarlo nelle feste sapendo che avrei avuto molto poco tempo per giocarlo con continuità. E si sa, quando abbiamo tra le mani il gioco dell’anno come Elden Ring non vogliamo mica prendere pause di cinque giorni!
Dunque alla modica cifra di 4 € si palesa, come un’offerta fatta dal diavolo in persona, Jedi Fallen Order. Faccio mente locale e ricordo che ha uno stile di combattimento un po’ souls-like ma più facile e così decido di fare il grande passo: lo acquisto e ci gioco.
Non mi ci vuole molto per accorgermi che il gioco non è The Legend Of Zelda: Breath of the Wild, né Elden Ring o God of War Ragnarok, ma nel suo piccolo riesce a divertirmi e a sfidarmi il giusto riempiendo così le mie vacanze natalizie con la Forza e Schwoooom (Onomatopea della spada laser!).
Alla fine delle mie 25 ore sonanti di gioco mi accorgo però di una cosa: Il gioco, valutabile oggettivamente per un valore numerico pari al 7 o al 7.5, è carino ma non innova né eccelle in nessuna delle sue componenti.
Eppure…
Eppure mi ha ha divertito e intrattenuto molto di più di quanto mi aspettassi.
Questo ragionamento è stato il semino che mi ha portato a coltivare un pensiero molto più radicato e interessante; un ragionamento che è arrivato solo dopo ad una conclusione abbastanza interessante: i giochi discreti sono BELLI.
Giochi come Jedi Fallen Order, Pillars of Eternity, ma a modo suo lo fa anche il nuovo Warzone (qui l’articolo di Graziano a riguardo), sono giochi che offrono qualcosa che a me piace definire come: giocare sereno.
Il giocare sereno è quella sensazione che si prova quando si apre il gioco con l’idea esattamente chiara e precisa di ciò che ci aspetta e ci diverte esattamente per questo.
Non vogliamo e non ci aspettiamo che ci sorprenda; vogliamo esattamente quello che il gioco promette e ciò ci permette di rimanere in una zona di comfort fatta di relax e di serenità.
Ciò è dovuto all’esecuzione quasi clinica di ciò che le regole di design suggeriscono per tali categoria (e guai a chiamarli generi!); come nell’articolo appena citato quindi diventa tutto un discorso di promesse ed aspettative.
Per quanto siano i capolavori siano esperienze epocali, di quelle che sorprendono di continuo il suo utente offrendo, nel mentre, esperienze belle e uniche non possiamo far finta che queste non siano anche intense e stancanti. Gli studi di narratologia suggeriscono che ogni buona storia alterni momenti di climax ad altri di quiete e ciò può essere detto anche per le emozioni che si provano videogiocando; questo parametro andrebbe tenuto in considerazione anche quando scegliamo cosa giocare di nuovo.
Provate a giocare Elden Ring, The Legend Of Zelda: Breath of the Wild, The Witcher 3 e Persona 5 di fila e man mano che procederete noterete una specie di fatica videoludica accumularsi. Sono giochi grandi e bellissimi, ma che vi terranno occupati probabilmente verso le 100 ore. Videogiocare a titoli di questa entità, inevitabilmente, finirà per generare stanchezza.
In termini di pura semiotica del design videoludico è possibile fare un ragionamento simile: per la salvaguardia è importante che i videogiochi non puntino tutti a innovare un genere. Se tutti i videogiochi sperimentassero tutto sarebbe liquido (per citare un termine caro a Bauman) e non avremmo più nemmeno quelle che oggi consideriamo ovvietà come la lista dei nostri giochi preferiti divisa per genere o categoria.
Questo significa che al fronte di un ottima esecuzione un videogioco può tranquillamente evitare di stravolgere o innovare la sua categoria di riferimento: può adattare caratteristiche tematiche a dei descrittori e può puntare sul concedere un’esperienza meccanicamente familiare all’interno di un contesto conosciuto.
Per proseguire il discorso sul diritto di non innovare, tutto ciò trova anche una forte ragione nel marketing.
Vi faccio un ragionamento banale: per ogni categoria/genere di giochi vi sono dei giochi capostipite, come Divinity 2 per i cRPG o Dark Souls per i souls-like che rappresentano l’esperienza prima e l’esecuzione più alta del genere. Ma questi giochi finiscono e lasciano dietro di loro una scia di giocatori affamati per certi tipi di esperienze, le quali giochi come Pillars of Eternity e Jedi Fallen Order forniscono in attesa del prossimo nuovo capostipite del genere.
È forse uno di quei pochi punti in cui un marketing funzionante e i bisogni dei giocatori si incontrano facendo felici tutti quanti.
Ciò rappresenta una vera e proprio logica di domanda e offerta, ed è forse buona parte della ragione dietro il risorgimento di generi quali gli RPG tattici: giochi come XCOM, Wasteland 2, hanno lasciato dietro di sé una fetta di marketing allargata in cui la domanda è maggiore dell’offerta.
E così io dopo anni di fame videoludica per il genere mi ritrovo sommerso!
Perché poi non fare un’ultima lode ai giochi discreti?
Essi sono ottime palestre per nuovi studi o per vecchi studi per esplorare nuovi generi e nuove fette di mercato. Per esempio ora che Respawn si è affacciata al genere con Jedi Fallen Order, stabilendo un gameplay solido e appurando l’interesse di una fetta di giocatori copiosa, può tranquillamente puntare sull’innovazione nel prossimo capitolo della saga Jedi: Survivor.
Non possiamo sfuggire dalla realtà: l’ottimo design è figlio dell’iterazione e se non lasciamo gli studi sperimentare, iterare ed rilasciare giochi più o meno discreti, non avremo mai i capolavori. Le vecchie saghe, quali ad esempio Mass Effect e Dragon Age, ma anche i Batman Arkham, sono l’esempio di un continuo perfezionamento del design.
Ciò ha anche un peso sul costo e sul business sostenibile, non tutti hanno i fondi per reiterare a oltranza. E reiterare troppo senza prendere una forte decisione può spesso portare a una perdita di direzione, finendo nell’insipido, non sapendo né di carne né di pesce (Cyberpunk 2077, sto proprio parlando di te).
Sotto questa ottica tutti i giochi con una produzione mediocre, che sono tali per ragioni che spaziano dal budget ridotto, alla grafica più semplice al design e il contenuto limitato, sono necessari per far proseguire l’industria. Portano progresso sia artisticamente, poiché spesso si inventano soluzioni originali, sia economicamente, perché esistono proprio per generare introiti con cui poi costruire il prossimo gioco o correre ai ripari da un fallimento.
Insomma, i giochi discretamente belli sono necessari e giusti, aumentano il nostro parco videoludico, ci divertono, offrono piccole lezioni, supportano l’industria, supportano gli sviluppatori.
La prossima volta che vi ritrovate davanti a un gioco discreto e lo snobbate, ricordate che è necessario alla crescita, e magari vi divertirà più di quanto possa sembrare. E se lo fate e vi sorprende, ricordatevi di questo articolo!
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This post was published on 29 Gennaio 2023 12:30
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