Se c’è una cosa che amo più dei videogiochi è la musica, e se c’è una cosa che amo più della musica sono i videogiochi. Più che un paradosso, un dolcissimo equilibrio.
Ho l’impressione che la consapevolezza collettiva sia arrivata solo di recente, eppure credo che il videogiocare eserciti una notevole influenza sulla sviluppo di una sensibilità musicale – anche da semplici ascoltatori, s’intende.
Ripenso alla mia crescita: il primo cd lo ricevetti a 11-12 anni (credo fosse All The Hits Now Inverno 2001, con Kylie Minogue, Tiziano Ferro, gli incredibili The Ark), il primo album acquistato coi soldi della paghetta arrivò l’anno successivo (e la situazione era già tragicamente compromessa, trattandosi di una compilation dedicata ai Sex Pistols), e tuttavia credo che sia falso dichiarare che prima di allora fossi indifferente alla musica.
Perché ricordo benissimo quanto venissi trascinato dall’armonia lievemente nostalgica della sigla di Pippo e Menelao, o quando saltavo al ritmo orchestrato da mia madre che metteva sullo stereo di casa Queen, U2 e Depeche Mode, e per qualche motivo piangevo quando mio padre faceva partire i Pooh; ma la mia testa è anche un jukebox schifosamente fornito di canzoni provenienti dai videogiochi coi quali trascorrevo le giornate, il primo a venirmi in mente è quello di Alex Kidd, il platform preinstallato nel mio Sega Master System II, più precisamente il brano del primo livello: tada tudu tada tudu tada tudu ta-ta, tada tudu tada tudu tada tudu ta-ta…
Forse così non rende.
Chiedetemi un mood o un’atmosfera, e saprei far partire il pezzo opportuno. L’ansiogeno tema d’allerta in Metal Gear Solid, il maledettissimo sound design industrial di Yamaoka Akira per Silent Hill, e per carità come non menzionare Lavandonia e i suoi traumi infantili garantiti, il pop ritmato al passo delle movenze di Bayonetta, l’impossibilità di dimenticare, finché non torneremo a essere cenere, il tema del Canale Mii su Wii.
Ora, guardandomi allo specchio, musicista underground di professione duro ad arrendersi, è impossibile non considerare l’impatto che questi ascolti abbiano avuto sul mio sviluppo melodico e ritmico. Proprio pochi giorni fa vi ho parlato dell’album+avventura testuale degli Hyperwülff, ma la lista di artisti del suono affezionati al videogioco è lunghissima e probabilmente destinata ad allungarsi con le nuove generazioni.
Le case di sviluppo conoscono il potenziale delle sette note con un joypad in mano, e infatti abbiamo un intero genere specializzato in questa produzione, i rhythm game. Questi ultimi però prendono una strada precisa, impiegando il suono come un mezzo del fine ludico, il senso dell’udito che prevale sugli altri nel concept del gameplay.
Ciò di cui voglio parlarvi oggi è altro, è la via videoludica al musicista: mi riferisco a quei software che non giocano con la musica, ma che trasformano un dispositivo Nintendo o Sony in un vero e proprio strumento musicale, un fenomeno diffuso ma ancora da scoprire, che può vantare un proprio genere musicale – la chiptune – e anche diversi utilizzatori illustri.
Al mio quattro, fate partire il gioco.
I giapponesi sono maestri nella musica minimal, intendendo tanto la composizione quanto la resa audio. Un’approccio che in alcune manifestazioni ricorda gli haiku, i componimenti poetici diffusisi nel Sol Levante nel XVII secolo, espressi in tre brevi versi (struttura sillabica 5-7-5) che concentrano e scatenano la sensibilità, le impressioni dell’autore. Ecco, Electroplankton è un piccolo gioiello, un’esperienza sonora minimalista, tra sound design e ambient.
Uscito per Nintendo DS nel 2006, è un parto della mente di Iwai Toshio, attivo dagli anni ’80 nello sviluppo di videogiochi ma anche inventore di strumenti musicali. È suo infatti il Tenori-On, sequencer prodotto da Yamaha di forma quadrata, una tavoletta coperta da 256 pulsanti led dotata di 239 voci normali e 14 kit di batteria.
Electroplankton è diviso in sezioni in cui interagire con gli elementi e gli ambienti di gioco, i quali rispondono sempre attraverso il suono. Hanenbow è forse la più celebre e anche la più rappresentativa (potreste ricordarla come stage nella serie Super Smash): una sorta di girino rimbalza sulle foglie di una piantina acquatica, questo contatto produce un suono come di un’arpa o di un koto, e spostando i rami potremo comporre la nostra melodia. Il fine del minigioco sarebbe quello di far fiorire il piccolo vegetale, ma Electroplankton non punta al completamento di task, piuttosto a farci perdere nel suono, per godere dell’atmosfera o anche per creare brevi loop, e qui risiede il suo magnetismo. Un’edizione particolare includeva, saggiamente, un paio di cuffie al fine di ottimizzare l’esperienza.
Passiamo allora a quei software sviluppati appositamente per produrre musica, e quindi con funzioni e meccanismi specificamente musicali.
A cavallo tra i due millenni i pantaloni calzavano diverse taglie in più, i cd erano un regalo azzeccato per qualsiasi ricorrenza, e un canale televisivo influenzava il gusto musicale di più generazioni. Dalla mattina alla notte MTV – nelle sue declinazioni locali – accompagnava la giornata degli appassionati di musica con il suo palinsesto programmato intorno ai video che venivano trasmessi in heavy rotation. L’offerta era inesorabilmente limitata al commerciale, ma c’erano elementi a sufficienza per cominciare a scoprire la propria sensibilità uditiva: a Christina Aguilera e Nelly Furtado venivano alternati i Subsonica e i Chemical Brothers, c’era Santana, c’erano i Blink-182, ci si spingeva fino ai Korn, e poi i Limp Bizkit, i Limp Bizkit, i Limp Bizkit, i Limp Bizkit, e i Limp Bizkit.
Nell’immaginario collettivo il brand MTV aveva valicato i confini musicali per diventare un adesivo applicato su diversi prodotti per certificarne un’estetica, un mood, riconoscibilissimi, basati su un lifestyle giovanile e divertito.
Nel 1999 il tempismo era dunque azzeccato perché Jester Interactive e Codemasters droppassero MTV Music Generator, uno studio di produzione musicale racchiuso in un cd per PlayStation, un software che mette a disposizione 3000 suoni strumentali e 1500 riff.
Questo il gameplay: joypad in mano, potremo lavorare con note, battute, giri, tempi, per creare i nostri brani. Viene richiesta ovvia pazienza e voglia di apprendere lo strumento, e i risultati sono sorprendenti – date un orecchio a questa cover di Cars di Gary Numan.
La critica accolse positivamente il lavoro della software house di Liverpool, la quale si specializzerà in questo genere di produzioni anche su altre console, casalinghe e portatili, e nel 2001 sfornerà il sequel per PlayStation 2 che potrà vantare al suo interno un brano esclusivo dei Gorillaz.
La lista di software simili è lunga e varia, da O.to.i.Re: Dreamcast Sequencer che può sfruttare il cavo di interfaccia MIDI della console (il 128-bit SEGA resta imbattuto in quanto ad accessori incredibili) a Dreams su PS4, ma su questo terreno la corona appartiene a Nintendo – le cui piattaforme ricoprono un posto privilegiato nella creazione musicale. Più precisamente è il Nintendo DS ha poter vantare nel suo parco titoli un software del calibro di KORG DS-10.
Korg, nata in Giappone nel 1963, è semplicemente una delle aziende leader mondiali nella produzione di strumenti per musicali elettronici, avendo creato cosine come alcuni dei primi modelli di drum machine e sintetizzatori; stiamo parlando di oggetti che hanno contribuito a cambiare la storia della musica. Immaginate quindi l’hype quando nel 2008 venne pubblicato per la portatile Nintendo un gioco in grado di trasformare la console in un sintetizzatore di tale prestigio.
Oltre alla prevedibile qualità del programma di produzione musicale e a una relativa facilità di approccio, contribuisce fortemente alla brillantezza del software la conformazione della console di Kyōto, che attraverso il pennino e sui due schermi si conferma una volta di più un dispositivo dal multiforme ingegno, e non solo nell’impiego ludico.
KORG e Nintendo hanno dato vita ad altri interessanti incroci, su Nintendo 3DS col KORG DSN-12, e su su Switch col KORG gadget, disponibile anche su alte piattaforme.
Se la corona, dicevamo, appartiene a Nintendo, allora è poggiata comodamente sulla testa di un re, anziano, tarchiato, testardamente solido, un re grigio ma con gli occhi verdi.
Nel mondo della composizione musicali attraverso i videogiochi, il Game Boy è più di uno strumento privilegiato, è un simbolo, un’icona. Il fascino di quel sound 8-bit così riconoscibile e l’estetica compatta e affidabile hanno fatto del vecchio mattoncino della Grande N uno degli strumenti più utilizzati dai musicisti e più rappresentativi della chiptune, floridissima anche in Italia grazie a progetti come arottenbit, Kenobit (autore, tra l’altro, di un interessantissimo ciclo di lezioni), b00leant.
Ciò è stato possibile grazie a software capaci di trasformare la consolina in un’arma da live show, come ad esempio LSDJ.
Sviluppato dal programmatore svedese Johan Kotlinski, Little Sound DJ si inserisce in una cartuccia e consente di sfruttare i suoni propri del Game Boy. Quattro canali, tanta meraviglia. Il processo di apprendimento è impegnativo nella giusta misura, e per imparare le basi basta poco; l’approfondimento, invece, apre a un mondo di soluzioni.
Mi sembra appropriato concludere così: con un pezzo dei videogiochi suonato coi videogiochi. Non a caso, un pezzo da combattimento.
This post was published on 25 Gennaio 2023 12:30
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