Vi siete mai chiesti come nasce un videogame?
Tutti sappiamo benissimo che soprattutto oggi, nel 2022, il nostro medium di riferimento sia sempre più in fase di avvicinamento al cinema, riprendendone tecnica, stile e narrazione; proprio per questa ragione, è possibile riscontrare non poche somiglianze tra i capolavori di Hollywood e alcune delle produzione AAA degli ultimi anni (soprattutto nella scuderia Sony).
Ma non abbiamo ancora risposto alla domanda: da che cosa si origina un videogioco?
Molti potrebbero rispondere che, trattandosi di un software, un videogame nasca nel momento in cui gli sviluppatori iniziano il loro lavoro di programmazione, dando vita ad un mondo che, fino al momento prima, esisteva solo nelle loro menti.
Questa risposta, pur essendo molto vicina al dato fattuale, non risulta pienamente convincente. Il videogame è un’opera dell’ingegno, è la creatività che, da entità astratta, diventa tangibile (o visibile), è una creazione che nasce dall’intelletto per un solo scopo: lasciare un segno in chi lo gioca. Proprio sulla base di quanto ora affermato, a parere di chi vi scrive la genesi di un videogioco è da rintracciarsi in quella di qualsiasi opera d’arte: nelle emozioni.
Ogni titolo nella nostra libreria nasce da qualcosa che ha influenzato il game designer che lo ha ideato; che si tratti di un’avvenimento, di una relazione sentimentale, del primo film visto al cinema, o anche di un libro letto e mai dimenticato: la fiamma dell’immaginazione può celarsi ovunque.
Ci sono però delle emozioni che ciclicamente tornano alla ribalta, vuoi perché si tratta di sentimenti che accomunano ogni essere umano, vuoi perché c’è stato qualcuno che è riuscito a cristallizzarle grazie alla maestria della propria penna.
In questi casi, non è inusuale trovare delle somiglianze tra due opere totalmente diverse come un videogame ed un libro, scorgendo un filo rosso che ne accomuna protagonisti e tematiche. È il caso di Kratos e Frankenstein, due personaggi concepiti a quasi 200 anni di distanza, totalmente differenti per caratteristiche fisiche e pathos ma che, ad un’attenta analisi, presentano non pochi punti di contatto.
Se God of War non ha certo bisogno di presentazioni (se non lo avete ancora fatto, leggete la nostra recensione di Ragnarok), forse Frankenstein avrebbe bisogno di un paio di righe. Spieghiamoci meglio: chiunque ha sentito menzionare l’opera in questione ed avrà assistito alla proiezione di uno dei suoi innumerevoli adattamenti cinematografici, ma probabilmente non tutti avranno letto “Frankenstein o il moderno Prometeo”, il libro di Mary Shelley che ha dato origine ad una delle creature più iconiche del fantastico.
Sviluppato in forma epistolare, il romanzo parla di Victor Frankenstein, uno scienziato di Ginevra che, al culmine dei suoi studi di filosofia naturale, da vita ad una creatura tanto deforme quanto dotata di intelletto e di una forza tremendamente superiore a quella di qualsiasi essere umano. Tuttavia, alla vista della mostruosità che gli si para innanzi, il dottore scappa via, lasciando il mostro libero di vagare per il mondo.
A distanza di poco tempo, però, la creatura torna a bussare alla porta di suo “padre”, chiedendogli conto delle sue azioni, che tanta sofferenza hanno generato, iniziando a massacrare brutalmente tutte le persone a lui più care ed esprimendogli un unico desiderio: avere una compagna di vita. Al rifiuto del dottore, seguirà un’ultima, sanguinosa uccisione, che darà il via ad un inseguimento tra il mostro ed il suo creatore, che culminerà con la morte di entrambi, nelle gelide lande del Polo Nord.
Come avrete potuto notare, fino a questo momento God of War e Frankenstein sembrano essere distanti quanto il giorno e la notte: da una parte abbiamo un essere umano asceso al rango di divinità, dall’altra invece troviamo una creatura mostruosa che proviene dalla materia inanimata; da una parte c’è un il fuoco della vendetta allo stato più puro, dall’altra il desiderio di trovare il proprio posto nel mondo.
Eppure, ad un’analisi più attenta, le due opere presentano diverse somiglianze, ed la prima di queste può essere reperita all’interno del titolo del romanzo di Mary Shelley, in quel “Moderno Prometeo” che ha dato il La alla nostra analisi.
Ma cosa c’entra Prometeo con Frankenstein? Per rispondere alla domanda bisogna rispolverare il “Titanismo“, un termine forse sconosciuto ai più ma che, dalla fine del ‘700 in poi, ha rappresentato il fulcro di uno dei principali movimenti culturali europei: lo Sturm und Drang.
Nato in contrapposizione con la superiorità della ragione e dell’intelletto propugnata dall’Illuminismo, lo Sturm un Drang pone al centro del suo universo la sfrenatezza, il sentimento, il genio creativo, la spontaneità, così da fare in modo che l’uomo possa soddisfare la sua sete di possesso e di dominio. L’essere umano proposto dal movimento tedesco è un uomo ardimentoso, desideroso di toccare mete ritenute irraggiungibili e, quindi, di superare i suoi stessi limiti; possiamo trovare esempi di quanto ora detto in opere come “I Dolori del Giovane Werther“, l’ “Urfaust” ed il “Prometheus” di Goethe, ed è proprio sulla figura di Prometeo che lo Sturm un Drang (prima) ed il Romanticismo (in seguito) si concentreranno.
Come in molti ricorderanno Prometeo è un titano che, contravvenendo al volere degli Dei, dona il fuoco (inteso come conoscenza) agli essere umani, ribellandosi così ad un volere superiore e venendo punito con un’eterna ed interminabile sofferenza. È esattamente da qui che la figura del titano viene in evidenza rappresentando al meglio lo spirito di rivolta, materiale e spirituale, a qualsiasi forza che lo sovrasta, anche se questo dovesse portarlo ad un’inevitabile sconfitta.
Quanto ora detto confluirà anche nel concetto di Übermensch, rappresentando quell’uomo che, grazie alla forza del proprio genio, si eleva dalla massa.
In ogni caso, il Titanismo trova un suo spazio anche nel Romanticismo, rappresentando la tensione dell’uomo verso l’infinito e l’illimitato e arrivando ad esaltare quegli eroi che, pur nell’ineluttabilità di un destino che non li vedrà vincitori, combattono fino allo stremo delle forze scontrandosi contro tutto e tutti; forse anche con Dio.
Il Frankenstein di Mary Shelley è senza dubbio un’opera influenzata dai concetti espressi in precedenza, e lo si capisce chiaramente nelle caratteristiche dei suoi protagonisti. Da una parte troviamo Victor Frankenstein, scienziato dalla insaziabile sete di conoscenza che, scosso dalla morte della madre, inizia a studiare alacremente per dare vita ad una creatura capace di superare i limiti della natura umana; dall’altra abbiamo il “mostro di Frankenstein”, un essere tanto deforme e mostruoso quanto forte ed intelligente, che si ribella al suo Dio, chiedendo a colui che, contro la sua volontà, l’ha messo al mondo di dare un senso alla sua esistenza.
Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla
John Milton, “Paradiso Perduto”
di crearmi uomo, ti chiesi io
dall’oscurità di promuovermi…?
Il personaggio di Kratos, invece, parte da delle premesse leggermente diverse. Sappiamo benissimo che l’ex generale spartano ha letteralmente invocato l’intervento di Ares per sopravvivere alla morte in battaglia e che, da quel momento, è diventato una marionetta nelle mani del Dio greco, arrivando a compiere tutta una serie di atrocità, tra cui l’uccisione della propria famiglia. Sarà proprio quello il momento in cui il Fantasma di Sparta aprirà gli occhi ed inizierà la sua rivolta contro Ares (nel primo capitolo della saga) e contro tutti gli Olimpici (nelle successive due incarnazioni della trilogia greca).
Nonostante il fatto che lo spartano ascenda quasi subito al rango di divinità, Kratos rappresenta alla perfezione l’essenza del titano sopra descritto e, seppur animato da un semplice spirito di vendetta, arriva a realizzare l’impossibile: sfidare il pantheon greco, reo di aver dato vita ad una macchina di morte e di averne disposto come un giocattolo.
Quanto finora detto troverà spazio anche nella saga norrena di God of War, anche se in quel caso il tema principale verterà tanto nella ribellione ad un fato che sembra già scritto quanto nell’accettazione di alcune parti di esso.
Ma questa, come avrete inteso, è decisamente un’altra storia.
Come abbiamo avuto modo di constatare fin qui, i punti di contatto tra le due opere sono diversi e tutti piuttosto rilevanti, ma è possibile dire lo stesso anche dei rispettivi protagonisti?
Il “mostro di Frankenstein” è una creatura venuta alla luce letteralmente da “pezzi di cadavere” assemblati tra di loro; egli è di indole buona e gentile ma, a seguito di tutta una serie di rifiuti da parte della società umana (in primis quello del suo stesso “padre”), diviene il più efferato degli assassini animato da due soli desideri: vendicarsi del suo “Dio creatore” e trovare un senso ad un’esistenza che sembra costellata di sofferenze.
Kratos, come detto in precedenza, è un guerriero nato nella città più aspra dell’antica Grecia e, forgiato dalla durezza dell’agoghé spartana; egli sa che in battaglia e nella vita c’è spazio solo per la forza, fisica o caratteriale che sia. La vendetta è ciò che animerà i passi dell’ex generale nei primi tre capitoli del franchise targato Santa Monica; tuttavia non sarà raro imbatterci anche in un suo lato più sentimentale, sia quando il protagonista si imbatterà nello spirito di sua figlia Calliope nei Campi Elisi, sia nel suo legame con Pandora, l’unico personaggio a cui Kratos si legherà. Il Fantasma di Sparta, quindi, è monolitico solo all’apparenza.
Se le differenze tra i due protagonisti sono evidenti, altrettanto può dirsi delle somiglianze. Siamo al cospetto di due esseri creati da entità esterne, usati per dimostrare la superiorità di queste rispetto agli altri comuni mortali, salvo poi essere ripudiati. In entrambi i casi, questo abbandono ha segnato l’inizio di una ribellione contro l’ordine naturale dell’universo, con l’intento di sovvertirlo e di piegarlo al proprio volere, anche se questo avesse significato il compimento dell’estremo sacrificio. Sappiamo benissimo che Victor Frankenstein non sia affatto una divinità, ma egli ha proprio quel ruolo agli occhi della sua creatura, la cui rabbia è praticamente identica a quella che Kratos riversa sugli Olimpici.
Non v’è bisogno né della tua morte né di quella di chiunque altro per chiudere il ciclo della mia esistenza […]; serve solo la mia. […] È morto chi mi ha messo al mondo e quando anche io non ci sarò più, ben presto svanirà il ricordo di entrambi.
Mary Shelley, “Frankenstein o il moderno Prometeo”
Infine, sia il mostro di Frankenstein che il Fantasma di Sparta sanno benissimo quale sarà l’esito delle loro rispettive vendette. Il primo, con il monologo che chiude il romanzo, quasi si commuove alla vista delle spoglie del suo creatore, decidendo di erigere un rogo dove anche lui troverà la morte, ponendo così fine alle sue sofferenze e facendo sì che le fiamme consumino il suo corpo; così facendo, infatti, nessun’altro potrà riprodurre l’esperimento che l’ha portato in vita, scongiurando così la nascita di nuovi esseri tanto superiori quanto destinati al dolore.
Anche Kratos, una volta compiuta la sua vendetta, decide di togliersi la vita, trafiggendosi con la Spada dell’Olimpo, sia per evitare che qualcuno potesse ambire ai suoi poteri divini, sia perché con la morte di Zeus, la sua intera esistenza ha perso di significato esattamente come avviene in Frankenstein.
Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto dirci che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avremmo visto il guerriero greco ma, ancora una volta, questa è un’altra storia.
Volendo tirare le somme di questo discorso lungo ed articolato, è bene ricordare che in nessun momento abbiamo voluto affermare che God of War sia una riproposizione del romanzo di Mary Shelley: troppo diverse sono le premesse, troppo diversi sono i rispettivi contesti culturali e, soprattutto, troppo diversa è l’importanza storica delle due opere.
Metterle sullo stesso piano sarebbe giocare d’azzardo ma, forse, è possibile tracciare una linea di continuità. Seppur in modo diverso, Frankenstein e God of War affrontano gli stessi argomenti, portandoli alle medesime conclusioni, anche se con sviluppi e stili narrativi differenti.
Non possiamo sapere se Cory Barlog e gli sviluppatori di Santa Monica Studio abbiano letto uno dei romanzi gotici per eccellenza, ma forse non ce n’è neanche bisogno: perché determinati temi non ci hanno mai veramente abbandonato.
Il fascino della ribellione e l’amore indiscusso per la figura dell’eroe tragico e del delirio volontaristico di cui si fa portatore sono presenti in ognuno di noi, ed opere come God of War non fanno altro che abbeverarsi ad una fonte nata nella seconda metà del 1700 e che, da allora, non si è mai esaurita.
Sotto questo aspetto, quindi, Kratos è il moderno Frankenstein che, così come Prometeo, è lì per ricordarci non solo l’importanza della rivolta contro le forze esterne che ci opprimono, ma che non è detto che questa abbia per forza un esito drammatico. D’altra parte, il Fantasma di Sparta ci ha insegnato che anche un Dio può essere sconfitto.
This post was published on 7 Gennaio 2023 12:30
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