Osservando la carriera di Tim Burton è impossibile ignorare l’impressionante lista di film dall’incredibile successo inaugurata alla fine degli anni ‘80, decade in cui la mortifera e fiabesca firma del regista americano cominciava a imporsi nell’immaginario popolare grazie all’iconico Beetlejuice.
Da quel momento in poi, Burton darà vita ad una serie di pellicole oggi considerate dei veri e propri classici: titoli che hanno segnato il cuore di intere generazioni, abbastanza da renderlo attualmente uno dei registi più chiacchierati dal grande pubblico. Nel 1989 è riuscito persino a dare nuova forma e dignità al cinema “supereroistico”, grazie al suo splendido Batman ispirato ai grandi capolavori cartacei DC, come The Dark Knight di Frank Miller e Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland.
La cifra stilistica del regista è diventata ormai così iconica da ritrovarci a definire “burtoniani” elementi stilistici e narrativi di prodotti che lo stesso Burton non ha neanche mai sfiorato. Avviene per le serie tv, succede nei film e numerosi esempi li troviamo anche tra i videogiochi.
Il viaggio di oggi comincia da un semplice quesito, una di quelle domande che ogni gamer appassionato di Burton dovrebbe chiedersi almeno una volta nella vita: quali sono i migliori videogiochi per rivivere le magiche e maledette atmosfere del cinema burtoniano? Tra titoli parecchio noti e piccole perle nascoste, andremo alla scoperta delle lande videoludiche più infestate dal carismatico immaginario burtonesque. Si comincia da un tema tanto caro al regista americano: la morte.
Burton e il legame con la morte
Il cinema di Burton ha sempre avuto un legame intenso con la morte, ogni volta rappresentata con un gusto tetro e gotico, ma senza mai rinunciare ad un approccio dissacrante, raggiunto tramite splendidi contrasti che esorcizzano con delicatezza il peso del tema: si parla di morte, è vero, ma con tonnellate di romanticismo, dolcezza e ironia.
La Sposa Cadavere ha un taglio che forse più rappresenta questa peculiare caratteristica: il mondo dei vivi è grigio, privo di colori e movimento, mentre il mondo dei defunti è una coloratissima festa senza fine.
Film come Beetlejuice e Frankenweenie sono altri esempi perfetti in cui ritrovare questi contrasti, mettendo in piedi storie che riescono a meravigliare e divertire anche raccontando un avvenimento amaro come la morte, che sia la nostra o quella dei nostri cari poco importa, Burton riuscirà sempre ad addolcire la pillola più amara della vita. Per quanto riguarda i videogiochi, uno dei titoli che più riesce a incarnare questo stilema burtoniano è sicuramente lo stravagante Flipping Death.
Flipping Death
Sviluppato da Zoink Games, Flipping Death è un puzzle platform 2D con una conduzione artistica fenomenale, fortemente ispirata dai magici libri pop-up e già sperimentata con successo in Stick It To The Man: scorrendo tra le mappe orizzontali di Flipping Death non è difficile avere l’impressione di star interagendo con un un mondo fatto davvero di carta.
Il gioco uscito nel 2018 racconta la storia di Penny, una stravagante ragazza che per una serie di sfortunati eventi morirà a seguito di un incidente, finendo così nel regno dei morti. Mentre la protagonista è ancora in fase di totale negazione, incontriamo la Morte stessa: il mietitore, pronto ad una meritata vacanza, scambia la ragazza per il suo sostituto e presto ci ritroveremo a giocare nei panni della “nuova Morte”.
Il nostro compito sarà quello di ascoltare e risolvere diverse questioni in sospeso dei fantasmi, buffi e tormentati, che vivono nel regno dell’aldilà. Per porre rimedio a questi rimpianti, il giocatore si ritroverà spesso a impossessarsi dei viventi: l’unico modo che abbiamo per interagire con il mondo dei vivi.
Tra omicidi irrisolti e sogni mai realizzati, sfruttando le abilità dei vari personaggi impossessati riusciremo a soddisfare le varie quest, a patto di avere il “portafoglio” pieno ovviamente. Ogni cittadino che vogliamo sotto il nostro malefico controllo ha infatti un prezzo specifico che dovremo pagare con i token sparsi per il regno dei morti.
Una volta impossessati, avremo a disposizione tutte le peculiari abilità dei viventi: potremo infatti prendere il totale controllo di dottori, poliziotti, supereroi strampalati ed altri esseri “poco umani” di cui non vi dirò altro, nella speranza che finirete per scoprirli con i vostri occhi! Queste abilità che avremo a disposizione andranno inevitabilmente combinate se vogliamo risolvere gli enigmi, sempre più complessi, che incontreremo nel corso dell’avventura.
Narrazione e meccaniche di gioco a parte, le ambientazioni e i vari character design, oltre ad essere memorabili per l’approccio da pop-up book già accennato, sono un altro elemento che sancisce un fortissimo legame con Burton.
Lo stile burtonesque
Ogni architettura del mondo defunto di FD è caratterizzata da forme distorte e inclinate, completamente prive di angoli retti; caratteristiche che, assieme ai forti contrasti di luci e la massiccia presenza di ombre, si incasellano perfettamente tra gli stilemi del cinema espressionista tedesco. Corrente importantissima per Burton e che spesso ritroviamo nei suoi lavori in più frangenti, prova dell’amore viscerale nato tra i frame del celebre Il gabinetto del gottor Caligari.
Per quanto riguarda i personaggi, ritroviamo anche qui la firma del regista, essendo caratterizzati da peculiari occhi grandi o fisicità scheletriche, proprio come la protagonista Penny, oppure costruiti con anatomie surreali che vanno ad alternare busti tozzi e panciuti ad arti esili e fragili.
Queste caratteristiche burtoniane prettamente estetiche possiamo ritrovarle anche in un altro titolo, dalle atmosfere decisamente più fatate e meno funebri: sempre sviluppato da Zoink Games, stiamo parlando di Lost in Random.
Lost in Random
Il titolo del 2021, pubblicato da Electronic Arts, prende l’estetica bizzarra e fiabesca di Nightmare Before Christmas e le mescola con le atmosfere fantasy di Alice in Wonderland, una volta shakerate per bene avrete Lost in Random: action-adventure 3D con meccaniche building deck, caratterizzato da una squisita veste grafica davvero difficile da dimenticare.
Bastano pochissimi minuti di gioco per sentire quel magico profumo tipico delle produzioni burtoniane, inoltre il comparto artistico sembra fortemente ispirato dalla stop motion, o almeno ai pupazzi con cui veniva realizzata. Mi spiego meglio: la peculiare colorazione dei modelli tridimensionali è carica di sfumature e tonalità, a volte sembra di vedere addirittura delle pennellate.
Questa caratteristica conferisce ai modelli 3D un’estetica da pupazzo colorato a mano, proprio come i pupazzi di Nightmare Before Christmas: ai tempi le stampanti 3D erano parecchio limitate e i modelli dovevano essere sempre colorati a mano da un team di professionisti.
Se l’effetto “puppet” appena citato potrà essere per i più cinici un risultato involontario, una dichiarazione d’amore per il cineasta la ritroviamo innegabilmente nei character design: tutti i personaggi che incontreremo nel corso dell’avventura vi ricorderanno spessissimo una delle stravaganti e carismatiche creature nate dai magnifici disegni di Burton. Se siete fan di Nightmare Before Christmas sappiate che quasi ogni volta che incontrerete un NPC vi riporterà alla mente qualche personaggio strampalato della splendida città di Halloween.
Nel caso di Lost in Random, soprattutto in merito alla forte influenza di NBC, è più che doveroso citare anche un altro regista, importantissimo per la cifra stilistica del gioco: Henry Selick. Selick non è importante soltanto per aver diretto uno dei film in stop-motion più famosi della storia del cinema, senza mai riceverne il giusto merito(si, stiamo parlando di Nightmare Before Christmas), ma anche per essere diventato un baluardo dell’animazione a passo uno.
Per tutta la sua carriera ha continuato a lavorare esclusivamente con questa tecnica, sfoderando negli anni perle del calibro di James e la pesca gigante e il ben più noto Coraline, tratto dal racconti di Neil Gaiman.
Per quanto riguarda gli scenari e le architetture di Lost in Random, anche se riprendono gli stilemi del cinema espressionista tedesco, non risultano tetre e orrorifiche come la città di Halloween e hanno un aspetto più fiabesco del regno dei morti visto in Flipping Death. Nonostante gli edifici distorti e inclinati, l’atmosfera rimane magica e avventurosa: una fiaba contemporanea, slegata dagli stilemi più tradizionali ma senza rinunciare ad una storia universale e popolare, proprio come Alice in Wonderland.
Il paese delle delusioni e dei successi
A proposito del film del 2009, c’è un prima e un dopo Alice in Wonderland: non solo per Burton, ma per l’intera industria cinematografica. L’ennesimo adattamento del libro leggendario di Lewis Carroll darà inizio ad un fenomeno che colpirà tutti i successivi progetti del cineasta: il film ha avuto un successo enorme al botteghino, ma ha diviso il grande pubblico generando un abbagliante entusiasmo da una parte e aspre critiche dall’altra.
Lamentele mosse sia dagli amanti dei romanzi sia dai fan di Burton, con i primi che criticavano le sensibili differenze con l’opera originale, mentre i secondi trovavano il prodotto fin troppo “Disney” e poco “Burton”, senza considerare la lecita delusione di chi ingenuamente sperava di ritrovare la vena orrorifica tipica del regista.
Nonostante tutto, è stato un titolo importantissimo per il mercato cinematografico: grazie all’enorme successo la Disney metterà in produzione una lunga lista di adattamenti live action, dando vita ad una serie di blockbuster che ancora oggi riempiono le sale di tutto il mondo.
Riscrivere un classico: vizio o vocazione?
Alice in Wonderland non è il primo grande classico rilanciato dal cineasta, e non sarà neanche l’ultimo, portando Burton ad imporre la propria visione in ogni occasione e implementando diversi inediti elementi in tutti i suoi rimaneggiamenti.
Titoli come Planet of The Apes, La Fabbrica di Cioccolato, Sweeney Todd, Dark Shadows e Dumbo, palesano tutti delle differenze con l’opera originale, che sia cinema, teatro o letteratura poco importa: qualcosa Burton deve sempre cambiarla. E quel qualcosa spesso si nasconde nei personaggi, nel loro passato e nelle loro motivazioni, elementi cruciali per l’occhio burtoniano.
L’ultimo caso in cui vediamo riaffermarsi questa inclinazione è la recente Mercoledì, la prima serie tv firmata da Burton: nonostante diversi “tradimenti” nei confronti della famiglia originale, in poche settimane è diventata una delle serie più viste di sempre su Netflix. Ma come già citato pochi paragrafi fa, non sempre i suoi cambiamenti riescono a far breccia nel cuore del pubblico.
Un altro autore che si è trovato nella stessa situazione, rimaneggiando come Burton i romanzi di Lewis Carroll, è il game designer American McGee. I videogiochi creati da McGee non solo hanno tutti gli ingredienti per stuzzicare i fan di Burton, ma si rivolgono anche a tutte quelle persone che speravano di ritrovare in Alice in Wonderland un tocco più gotico e tetro: qualcuno l’avrà sicuramente già capito, stiamo per parlare di American McGee’s Alice e Alice: Madness Returns.
American McGee’s Alice & Alice: Madness Returns
American McGee’s Alice è un action adventure in terza persona sviluppato da Rogue Entertainment, con sezioni platform e meccaniche da shooter. Il gioco uscito nel 2000 si pone come un sequel della storia originale di Carroll e sebbene le intenzioni di partenza siano le stesse di Burton, ovvero un’opera a metà tra tradizione e innovazione, il videogioco di McGee prende una direzione decisamente più audace.
Ambientato durante gli anni sessanta dell’800, American McGee’s Alice propone una trama dai toni lovecraftiani, dotata di atmosfere orrorifiche cariche di un macabro surrealismo. Come potete immaginare, l’Alice di questa storia è ben diversa dalla controparte cartacea, la ragazza è infatti in stato catatonico all’interno di un manicomio: la salute psicologica di Alice è andata in frantumi dopo la morte dei genitori, rimasti uccisi in un incendio che inghiottì la casa.
Tutto succede proprio mentre la ragazza stava dormendo, persa nel sognare il magico Paese delle Meraviglie. Sebbene riesca a salvarsi, Alice riporta gravi ustioni ed enormi danni psicologici, così profondi da portarla a tentare il suicidio con un cucchiaino.
Tali eventi condurranno la ragazza al manicomio Rutledge, dove diversi anni di cure non riusciranno a scalfire in alcun modo il suo stato catatonico. Il gioco comincia quando il peluche di Alice, un coniglio bianco ovviamente, sembra animarsi per chiedere il suo aiuto, portando così la mente della ragazza a rintanarsi ancora una volta nel Paese delle Meraviglie, ormai pesantemente sfigurato dalla sua condizione psicologica.
Il nostro compito sarà quello di liberare il regno dalla tirannia della Regina di Cuori e uccidere letteralmente i nostri incubi interiori. Il gioco purtroppo non è facilissimo da reperire, a differenza del sequel more of the same intitolato Alice: Madness Returns, disponibile per PC e Xbox: il titolo si rivela un’ottima alternativa se siete rimasti affascinati dalla trama o dalle immagini di questa distorta versione del Paese delle Meraviglia, che sono giusto un assaggio dell’egregio lavoro svolto dall’ispiratissimo comparto artistico.
La trama del seguito non si discosta molto dalle dinamiche del primo, a differenza del combat system decisamente più dinamico e spettacolare, dotato anche di un variegato numero di armi stravaganti, ma è anche vero che entrambi i titoli palesano diversi difetti, accusando soprattutto una certa ripetitività: questo non ha impedito al franchise di conquistare il cuore dei giocatori di tutto il mondo.
Ancora oggi, infatti, un’affiatata fanbase segue costantemente le avventure del creatore, ancora impegnato a riportare in auge la serie con un terzo capitolo. Proprio negli ultimi tempi, dopo anni di continui tentativi, è stato annunciato l’inizio della produzione di una serie tv tratta dai videogiochi di McGee, una notizia che potrebbe facilmente portare alla chiusura della trilogia con l’arrivo del tanto atteso Alice: Asylum.
Il violento e cattivo Tim Burton
Chiudiamo il capitolo del Paese delle Meraviglie e andiamo a scomodare il Burton degli anni ‘90, periodo nel quale realizzerà alcuni dei film più violenti della sua carriera, come l’horror storico I Misteri di Sleepy Hollow. Tre anni prima del film mistery con Jhonny Depp, il cineasta americano aveva riversato tutta la sua misantropia e infatuazione per i b-movie in uno dei suoi progetti più eccentrici.
Un titolo atipico, carico di cartoonesca violenza, sprezzante, dissacrante e soprattutto critico nei confronti degli Stati Uniti e tutta la cultura occidentale. La messa in scena è sgargiante, luminosa, a volte patinata, come la società che puntano a distruggere gli alieni che invadono la terra.
Chiunque sia fan di Burton avrà capito che stiamo parlando di Mars Attacks!, ma un videogiocatore degli anni 2000 sa bene che ogni parola scelta per descrivere questo folle film potrebbe essere serenamente utilizzata per raccontare il sadico e coloratissimo Destroy All Humans!
Destroy All Humans! & Destroy All Humans! 2: Reprobed
Ambientato negli Stati Uniti degli anni ‘50, il gioco è un action adventure grottesco che comincia con una flotta di dischi alieni che attaccano la terra. Noi giocheremo nei panni degli alieni e il nostro scopo sarà quello di trucidare centinaia di essere umani, tutto per recuperare dal loro codice genetico alcuni frammenti di DNA alieno.
Frammenti segretamente infusi nel gene umano millenni prima, durante il primo contatto con la razza aliena protagonista del franchise: i Furon, già allora tecnologicamente avanzatissimi. L’alieno che utilizzeremo, oltre a un forte disprezzo per l’umanità, è dotato di abilità psichiche come la telecinesi e una vasta gamma di pericolosissime armi da fuoco, una combinazione letale che vi farà sentire crudele e potente come quel bastardo adorabile di Rick Sanchez. Ovviamente tra i veicoli che potrete guidare ci sono i dischi volanti, comodissimi per demolire gli edifici a suon di laser.
Destroy All Humans! è un titolo nato tra le scrivanie di Pandemic Studios e pubblicato da THQ per PlayStation 2 e Xbox, il successo è stato tale da portare Pandemic a lanciare un sequel appena un anno dopo: un piacevole more of the same anche in questo caso, ambientato negli anni ‘60. Nonostante la scalata al successo non sia continuata con un terzo capitolo, nel 2016 è uscito un remake del primo DAH!, mentre nel 2022 è arrivato il remake del secondo.
I due remake hanno cercato di proporre un rifacimento parecchio fedele e con poche aggiunte, soffrendo inevitabilmente di alcune meccaniche attempate, ma non fatevi intimorire. Le novità riguardano per lo più nuove armi e potenziamenti, una distruzione ambientale più curata e una veste grafica piacevole e coerente con il materiale originale.
Entrambi i titoli possono regalare una decina di ore di spensierato svago, soddisfando chiunque sia in cerca di un gioco immediato dai toni esageratamente scanzonati, assolutamente perfetti se il Mars Attacks! di Burton è entrato nel vostro cuore. Come DAH! l’ultimo videogioco che andremo a trattare è legato specificatamente ad unico film di Burton, ovvero lo splendido e sanguinario musical sul diabolico barbiere di Fleet Street.
Ravenous Devils
Sviluppato dal team marchigiano di Bad Vices Games, Ravenous Devils è un gioco 2.5D di simulazione di cucina, un punta e clicca caratterizzato da tinte horror che sfociano in uno splatter esilarante, interamente ispirato alla malatissima impresa a base di carne umana nata dalla collaborazione tra Mrs. Lovet e Sweeney Todd.
I protagonisti del gioco, ambientato nella Londra vittoriana del XIX secolo, sono un sarto e una cuoca che si aiutano a vicenda all’insegna di un letterale “non si butta mai niente”. Mentre Percival è impegnato a cucire abiti su misura e sgozzare qualche cliente, Hildred cucina quello che può in attesa di qualche corpo umano da macellare.
Proprio come nel film di Burton, le due attività sono collegate da una botola, sfruttata da Percival per trasferire i cadaveri alle cucine sotterranee, quest’ultime munite di un gigante tritacarne utile a fornire la carne macinata con cui realizzeremo le nostre prelibatezze. Il nostro compito, in questa sorta di scorrettissimo Overcooked! splatter, sarà quello di arricchire le tasche della coppia e, attraverso delle semplici e piacevoli meccaniche gestionali, migliorare le nostre due attività.
Tra i tanti miglioramenti disponibili, oltre a nuove attrezzature che sbloccheranno diverse ricette a base di carne umana, possiamo aumentare i manichini della sartoria o decorare la locanda, rendendo più piacevole l’attesa: i nostri clienti saranno così più pazienti e avremo più tempo per macellare o cucinare qualche pasticcio di carne.
Mentre gli ortaggi possiamo coltivarli, concimando la terra con del liquame (estratto dai cadaveri delle vittime ovviamente), l’unico modo per procurarsi della carne è uccidere i clienti: l’omicidio è di fatti l’unica via per arrichirci e procurarci tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Un capitalismo letale, spietato e assolutamente divertente.
La formula imbastita da Bad Vice Games non solo convince, ma grazie a un ritmo ben serrato e una spietata vena dark humor, il titolo riesce a creare una vera e propria dipendenza, in grado di far leva sullo spirito più sadico del giocatore. Il gioco è inoltre impreziosito dalle illustrazioni e dalla direzione artistica di Mirco Pierfederici, abile ed esperto disegnatore che ha collaborato in numerose occasioni con la Marvel(e non solo).
Ravenous Devils è l’ennesima dimostrazione di come i team di sviluppo italiani riescono sempre più spesso a sfoderare prodotti memorabili in grado di conquistare i mercati esteri. Se siete rimasti affascinati dal titolo sappiate che potete trovarlo più o meno ovunque: Ravenous Devils è disponibile su PC, Switch, PlayStation e ovviamente Xbox.
La nostra avventura tra le lande videoludiche burtoniane finisce qui, almeno per ora. Appena finiremo le danze con il diavolo nel pallido plenilunio cominceremo un nuovo viaggio assieme ad altri noti registi, e chissà tra quali videogiochi finiremo per rovistare!