C’erano una volta le espansioni, ci sono oggi i DLC.
Le differenze tra queste due tipologie di prodotti, all’atto pratico, sono limitate; quelle ideologiche possono essere più profonde. Una volta il DLC era pensato come un prodotto per far continuare il ciclo di vita di un videogioco, magari riciclando alcune idee e livelli scartati durante la fase di produzione del titolo, magari per mettere al lavoro delle nuove leve entrate da poco all’interno della software house in questione.
Quello che è certo è che da quando Bethesda si è fatta venire in mente l’idea di creare il primo leggendario DLC puramente cosmetico il mondo dei videogiochi non è più stato lo stesso.
Questo perché tale mossa ha sostanzialmente confermato al resto delle aziende che in videogiochi trattano un elemento molto semplice: i videogiocatori sono disposti a spendere molti soldi anche per sforzi produttivi di entità minore se il gioco base è solido.
Non solo: diverse software house hanno giocato sporco con l’utente letteralmente tagliando segmenti del gioco originale per venderli come DLC: è successo con Asura’s Wrath ad esempio, il cui finale era giocabile soltanto previo pagamento dell’obolo, è successo in parte in Mass Effect 3, è successo anche con diversi altri titoli di cui però oggi eviteremo di parlare.
Si perché l’obbiettivo di questo articolo è dire che anche i DLC hanno fatto cose buone. Diverse software house hanno utilizzato in modo virtuoso questo genere di pubblicazione, dando modo al loro estro e alla loro creatività di sfogare.
All’interno di questi articolo cercheremo di citare i DLC più interessanti che ancora oggi risultano disponibili sulla piazza, di quelli che ti fanno rendere conto di aver speso “decentemente” i soldi.
Unico appunto: questa lista è basata sulle esperienze di chi scrive l’articolo e non vuole fregiare titoli che non sono stati personalmente giocati dall’autore stesso.
Per questo motivo dentro non troverete cose presumibilmente di qualità come i DLC di Fallout New Vegas, i DLC narrative driven di Bioshock Infinite, il DLC systemshocckiano di Bioshock 2, alcuni DLC di Skyrim e diverse altre cose.
Chissà che in futuro non ci sia modo e spazio per realizzare un nuovo articolo simile a questo.
Andiamo quindi alla scoperta dei migliori esempi di quella che è una pratica tristemente mal utilizzata ai giorni nostri.
Tiny Tina’s Assault On Dragon Keep è un DLC molto particolare. In primis è un esempio di DLC che riesce talmente bene da convincere i developer ed i publisher a pubblicare un gioco tutto nuovo basato sull’universo presentato (anche se con un certo ritardo), in secondo luogo è qualcosa che consiglio personalmente di vivere a tutti con un gruppo ben affiatato di amichetti.
Borderlands 2 è un titolo che fa della sua ambientazione post-apocalittica un vanto, facendo muovere il giocatore all’interno di un coloratissimo ed affascinante mondo desertico in bilico tra Mad Max e qualche tossica fantasia radioattiva. Il titolo ha avuto un supporto post-lancio non esattamente banale, con una pletora di DLC sempre ambientati all’interno dello stesso universo. Esplosioni, botte, ancora esplosioni, mostri giganteschi e poteri psionici sono tra gli elementi più riconoscibili dell’intera saga.
Con Tiny Tina’s Assault On Dragon Keep le carte in tavola sono state cambiate in maniera piuttosto importante: il DLC in questione infatti mette da parte l’ambientazione originale del titolo per trasportare giocatori e personaggi all’interno di un…fantasy medievale.
Convinti dal simpatico personaggio di Tiny Tina a vivere una splendida campagna del loro Dungeons & Dragons, Assault on Dragon Keep chiede al giocatore di usare fucili, granate e pistoloni per andare a massacrare scheletri, maghi, draghi, lich, zombie, ratti e altre diavolerie simili.
L’alchimia del gioco originale viene lasciata del tutto intatta in termini di gameplay loop e tutte le licenze poetiche prese dagli sviluppatori vengono utilizzate al meglio per mettere assieme un’esperienza di gioco di primissimo livello. La ciliegina sulla torta, però, è rappresentata dal solito caustico e stupidissimo umorismo della serie che all’interno di questo rinnovato contesto riesce a fare ancor di più faville.
Molte delle quest secondarie di questa espansione rompono la quarta parete e prendono in giro tanto il giocatore quanto i videogiochi: i riferimenti a saghe fantasy famose si sprecano, così come fanno molto ridere citazioni dirette ad elementi provenienti dall’internet culture dei primi anni dieci. Il finale, molto rocambolesco e spettacolare, si può raggiungere in mezza dozzina di ore ed è in grado di assicurare le risate più grasse a tutto il party.
Tra i DLC più sorprendenti della recente storia videoludica, sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista della rivoluzione non possiamo fare a meno di citare Mooncrash, unico contenuto post-lancio rilasciato da Arkane per il suo Prey (uno dei giochi più sottovalutati dal pubblico della recente storia videoludica). Se Prey non è altro che un immersive sim di elevatissima qualità inserito all’interno di un contesto fantascientifico, con un mondo aperto da esplorare ed una trama di elevata raffinatezza, Mooncrash offre un’esperienza davvero agli antipodi di ciò, almeno per struttura.
Il perché è presto detto: Mooncrash è innanzitutto un videogioco con una forte base procedurale, in bilico tra un roguelite ed un immersive sim normale. A rimanere intatto di volta in volta è l’aspetto del mondo di gioco, imperturbabile e ancora una volta caratterizzato dal level design sopraffino di Arkane; a cambiare invece sono le sfide proposte, i personaggi da utilizzare, le abilità da masterare per cercare di arrivare in fondo.
Di qualità anche il tessuto narrativo, solo parzialmente legato alla storyline principale. In Mooncrash il giocatore vestirà i panni di un hacker informatico ricattato da una megacorporazione nel tentativo di abbattere le difese di un altra megacorporazione.
Storie di capitalismo insomma, ma anche di emotività e difficoltà umane.
Purtroppo il già scarso successo commerciale di Prey ha inficiato sulla risonanza mediatica avuta da Mooncrash che si è presto ritrovato infilato a forza nel dimenticatoio, a far compagnia ad uno dei migliori giochi recentemente realizzati. Un gran peccato, specie se consideriamo che al giorno d’oggi ci sono DLC più costosi che offrono molti meno qualità di questo.
The Ringed City, ultimo DLC di Dark Souls 3 è il perfetto esempio di come creare un prodotto in grado di dare un meraviglioso senso di chiusura ad un epopea e ad una saga di epiche proporzioni. The Ringed City non aggiunge niente di nuovo all’alchimia del titolo originale, anzi, ricicla in maniera molto intelligente qualche asset per tirare fuori una delle ambientazioni più bizzarre e apocalittiche della storia del brand, giusto poi per controbattere con un altra location, stavolta nei piani alti di ciò che è venuto in mente ai creativi di From.
Nel mentre c’è tutta l’arte e l’abilità dei giapponesi: bossfight di dimensioni incredibili, level design di qualità che veicola una narrazione diegetica piena di stile e colpi di classe. The Ringed City è tutto ciò che gli appassionati di soulslike potrebbero mai desiderare da un prodotto che segue determinati stilemi: contenuti, tanti, realizzati con qualità, tanta anche questa.
Uno dei grandi pregi del gioco è il suo declinare in maniera intelligente e interessante tutte quante le tipologie di bossfight che hanno fatto la fortuna della saga. I principi demoniaci rappresentano forse la migliore gank bossfight della saga, offrendo uno scontro epico come poche altre cose all’interno di un contesto di ottimo combat design, Gael è uno scontro dal respiro epico, in cui viene massimizzata la spettacolarità dello scontro risultando comunque estremamente divertente (grazie alle dimensioni contenute dell’avversario), Midir rappresenta il nemico colossale definitivo, di quelli che vanno sconfitti abbandonando l’autolock della telecamera in favore del puro intuito. Mezzaluce, infine, è la pecora nera della produzione ma rimane una gimmick bossfight molto interessante, capace di sorprendere anche i giocatori più navigati grazie alla sua integrazione con il multigiocatore
Tutti i DLC precedenti a questo hanno livelli di qualità elevatissimi se non proprio paragonabili a questo (e ne vedremo uno dopo): la città ad anelli con la sua storia e le sue intuizioni (come uno splendido richiamo visivo ad uno dei personaggi chiave dell’ispirazione Miyazakana aka Guts) finisce per essere la summa di un discorso stilistico che è stato solo parzialmente ripreso da Elden Ring.
Come abbiamo visto nell’introduzione di questo articolo se al giorno d’oggi abbiamo rinunciato al termine “espansione” in favore di downloadable content la colpa è tutta di The Elder Scrolls IV Oblivion. Oltre alle armature per cavalli, fortunatamente per noi,la Bethesda dell’epoca decise di inserire all’interno della produzione anche diverse altre opportunità mediamente più interessanti./imm
Tra dungeon per ottenere artefatti daedrici rarissimi, nuove quest, libri magici e chi più ne ha più ne metta di carne al fuoco non ne mancava. L’azienda, all’epoca ancora piuttosto capace e priva dei problemi organizzativi odierni, riuscì nel creare un DLC davvero figlio della qualità che l’aveva in precedenza con Morrowind (e con le sue splendide espansioni Bloodmoon e Tribunal).
Shivering Island è, se vogliamo definirla come tale, l’ultima espansione realizzata da mamma Bethesda prima di ragionare i DLC insieme al videogioco stesso, proprio in termini di cut content.Per essere stato il canto del cigno di un certo ciclo produttivo non c’è niente di cui lamentarsi visto che, ancora oggi, parliamo di un prodotto di assoluta eccellenza che compete con tranquillità con diverse delle migliori cose fatte dal colosso americano.
Per la prima volta nella storia del brand il giocatore ha modo di vedere da vicino il reame daedrico di Sheogorath, il principe daedrico della follia. Questa caratteristica del principe, tra le altre cose, si riflette perfettamente nell’ambientazione assolutamente sopra le righe e completamente fuori di melone: le Shivering isles sono una coppia di isole che rispecchiano in maniera ravvicinata la personalità borderline del principe daedrico, con da una parte una vegetazione lussureggiante, esagerata, sovraeccitata e dall’altra un luogo cupo, depresso, terribile e spaventoso.
Nel mezzo poi ci sono i contenuti: una ventina di ore tra quest originali, tutte ben scritte e ben realizzate e nuovi luoghi da esplorare. Di aggiunte meccaniche al core del gioco c’è poca roba ma alla fine della storia che importa se il worldbuilding riesce nel rispettare criteri qualitativi e originalità mai più poi toccati dai contenuti sviluppati internamente da Bethesda?
Outer Wilds è un gioco molto particolare: una specie di avventura grafica con gameplay dinamico all’interno di un contesto open world. Outer Wilds è però anche un gioco che parla di sistemi e di come questi interagiscano tra di loro: la gravità, le leggi della fisica tradizionale, il tempo che scorre, le reazioni tra diversi elementi, la fisica quantistica e così via. Per poter arrivare a vedere la conclusione del gioco è necessario possedere un certo livello di maestria con tutte queste, affinandole durante il corso di una quindicina di ore.
Ecco, ora prendiamo invece in esame Echoes Of The Eye che assorbe tutte le nozioni apprese in Outer Wilds, le contestualizza all’interno di un ambiente nuovo e costringe il giocatore ad aggiungere altra carne al fuoco, mettendoci in mezzo ancora meccaniche e sistemi. Nel fare ciò la software house dimostra l’elevatissimo livello di comprensione della grammatica tanto del game design quanto della narrazione, riuscendo a mettere in piedi situazioni di un fascino davvero alieno grazie a diverse trovate non definibili diversamente da veri e propri colpi di genio.
I colpi di genio, senza voler fare spoiler perché questa è una delle poche avventure in cui la narrativa ha valenze di gameplay, prevedono una destrutturazione approfondita degli elementi minimi con cui il giocatore interagisce con il mondo, una rimozione delle regole prima faticosamente apprese in favore di un’elasticità senza precedenti; tutto ciò viene contestualizzato all’interno di un gioco di rimandi, esche e trabocchetti con pochi precedenti nella storia dei videogiochi. Il tutto viene armonizzato in maniera eccellente anche e sopratutto dal punto di vista narrativo con il giocatore stesso attraverso la sedimentazione di esperienze, indizi e suggerimenti.
Echoes Of The Eye, quindi, finisce all’interno di questa lista per essere un esperienza cruciale tanto quanto il gioco originale (che di per sé può vantare un livello qualitativo al di fuori di ogni sacrosanta discussione). Chi è alla ricerca di un prodotto in grado di lasciare a bocca aperta per la bontà delle idee esse in campo non avrà di certo alcun dubbio riguardo la qualità dell’opera e la bontà della sua rappresentazione.
Bloodborne di base è un gran buon gioco ma con il suo DLC, The Old Hunters, raggiunge vette precedentemente insperate per la saga stessa. A partire dal sistema di ingresso del DLC, reso in maniera diegetica sfruttando una particolare animazione di morte con rilevanza all’interno del tessuto narrativo, The Old Hunters riesce a limare via via tutti i piccoli difettini della versione originale del titolo inserendo un sacco di nuovi contenuti e, sopratutto, tantissime nuove armi.
Senza il DLC Bloodborne può essere tacciato di una leggera monotonia in termini di equipaggiamento; con il DLC la situazione si ribalta grazie all’immissione nell’economia di gioco di 11 nuove armi (il gioco base ne ha 14). A questo va aggiunto un grandissimo lavoro fatto tra ambientazione e worldbuilding, offrendo al giocatore informazioni preziose per decifrarne la lore e per avere un contesto maggiore all’interno della narrativa del gioco base.
Le intuizioni narrative poi proseguono oltre, dando al giocatore il modo di vivere vicende incredibili all’interno di diverse delle ambientazioni più belle mai realizzate nella saga. Se l’incubo del cacciatore rappresenta un perfetto esempio di reimagining di una zona già vissuta dal protagonista, con le due ambientazioni successive (che evitereremo di spoilerare per mantenere alto il livello di sorpresa) From Software dimostra la maestria raggiunta tanto nella definizione di ambientazioni goticheggianti quanto nella digestione delle influenze lovecraftiane, mai state così decise e ben realizzate.
La ciliegina sulla torta è rappresentata dai boss presenti all’interno di quest’avventura, magari corta per alcuni giocatori ma senza dubbio impossibile da dimenticare grazie alla presenza di battaglie di un certo livello. Delle 5 bossfight presenti, tre vengono continuamente tirate fuori da critici e appassionati come alcune tra le migliori di tutta la serie e di tutto il mondo dei videogiochi; se non è qualcosa questo diteci voi cosa dovremmo prendere in considerazione quando parliamo di bei DLC.
This post was published on 20 Dicembre 2022 12:00
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