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Speciali

I giochi AAA sono cattivi, gli indie sono buoni. La smettiamo di dire fesserie?

Certe battaglie nascono nel giusto per poi accartocciarsi su loro stesse perché chi le porta avanti si scaglia contro le persone sbagliate o porta a sostegno della propria tesi esempi non del tutto a fuoco. Negli ultimi mesi si sta facendo accesa una “industry war” che ha preso il posto della classica console war. I giocatori hanno posto come bersaglio l’industria dei videogiochi AAA, rea di aver ammazzato il medium con la sua mancanza di passione e di averlo piegato alle più becere logiche capitaliste.

Al contrario, l’industria indie è sana, non ha scheletri nell’armadio, oggi per essere videogiocatori consapevoli bisogna giocare agli indie, altrimenti si è schiavi del sistema. Diciamocelo, è un insieme di fesserie. Non tanto per il concetto in sé, ma per come questo viene portato avanti, per i modelli di riferimento che questi giocatori vogliono farci credere siano irreprensibili e ligi al dovere (quale poi non si sa).

L’industria AAA è vista come la cattiva del mondo dei videogiochi a causa del suo modo di operare in modo capitalistico, mentre gli indie sono visti come i buoni perché al di fuori, appunto, delle logiche capitaliste. Tuttavia, questo mito può essere sfatato attraverso l’analisi dei dati che dimostrano come anche i videogiochi indie oggi abbiano assunto una notevole rilevanza grazie proprio all’industria AAA.

Per capire meglio questo fenomeno, è importante definire, anche se sembra un’ovvietà, cosa si intende per “industria dei videogiochi AAA” e “videogiochi indie”. In generale, badando al succo, i videogiochi AAA sono quelli che hanno un budget elevato, un team di sviluppo ampio e una distribuzione su larga scala. Sono prodotti da grandi aziende del settore, come Electronic Arts, Activision Blizzard, Ubisoft, Square Enix, e spesso sono basati su franchise di successo o hanno potuto contare su una campagna marketing per la quale non si è badato a spese.

Al contrario, i videogiochi indie sono generalmente prodotti da team di sviluppo senza vincoli, spesso composti da un numero molto ridotto di persone, non hanno budget elevati e, come pensiero comune ci rende noto, si basano su meccaniche di gioco creative. Non hanno la stessa distribuzione dei videogiochi AAA e spesso vengono pubblicati su piattaforme digitali. Uno dei motivi per cui gli indie sono visti come i buoni del mondo dei videogiochi è perché vengono percepiti come più autentici e meno “commerciali” rispetto ai videogiochi AAA. Inoltre, molti giochi indie sono realizzati, sempre stando al pensiero comune, da team che lavorano in modo passionale, senza preoccuparsi dei profitti.

In realtà, molti videogiochi indie oggi hanno raggiunto un notevole successo commerciale che gli ha garantito una considerevole quantità di guadagni. Un esempio è Minecraft, un gioco indie diventato un fenomeno mondiale e acquistato da Microsoft per 2,5 miliardi di dollari. Altri esempi di indie di successo sono Terraria, Stardew Valley e Undertale.

Inoltre, quelli che oggi consideriamo indie vengono abitualmente pubblicati da grandi aziende del settore, come Microsoft o Sony, che offrono supporto nella distribuzione e nella promozione dei prodotti. Questo significa che anche i videogiochi indie possono beneficiare delle logiche capitaliste, pur mantenendo la loro indipendenza creativa. Molte piccole case di produzione o sviluppatori indipendenti hanno avuto la possibilità di far conoscere i loro giochi e di raggiungere un pubblico più ampio grazie alla visibilità e al supporto forniti dalle case di produzione che regolano il mercato. Molti videogiochi indie oggi hanno budget significativamente più elevati rispetto al passato, il che rende difficile definirli come “indipendenti” nel vero senso della parola. Ad esempio, Obsidian ha sviluppato il gioco di ruolo Pillars of Eternity con un budget di 3,5 milioni di dollari, finanziato attraverso una campagna di crowdfunding. Tuttavia, il loro ultimo gioco, Pentiment, è stato sviluppato con il supporto di Microsoft e ha avuto un budget di tutto rispetto.

Leggi anche: Sette videogiochi indie (per davvero) da recuperare

I videogiochi indie sono spesso considerati i “buoni” del mondo dei videogiochi, lontani dalle logiche capitaliste, ma sono proprio i giocatori che combattono questa battaglia ad aver affibbiato il ruolo di buono a titoli che non c’entrano nulla con il concetto di indie. Infatti, negli ultimi anni è diventato sempre più difficile parlare di videogiochi indie come di una categoria a sé stante, poiché molti di essi sono stati pubblicati e promossi dalle aziende cattive cattive.

Questa nuova “war” contro l’industria AAA ha fatto proseliti prendendo come modelli di riferimento i titoli sbagliati: Kena: Bridge of Spirits e Stray, ad esempio, hanno anche vinto dei premi ai Game Awards nella categoria indie, mentre Pentiment è stato eletto in modo unanime baluardo dell’industria indie. Se non fosse per un piccolo particolare: i giochi appena citati non sono indie. Non sono videogiochi indie perché sono stati sviluppati con un ampio budget di produzione messo a disposizione, indovinate un po’, dalle aziende cattive che pensano solo a fare soldi a discapito della povera gente.

Non avrei mai proposto lo sviluppo di Pentiment senza il Game Pass. Letteralmente, non sarebbe potuto esistere, credo proprio che non sarebbe stato possibile

A dirlo è stato Josh Sawyer, director del bellissimo gioco investigativo medievale, il quale ha riconosciuto l’importanza del Gamepass. E non ci pare che questo servizio sia stato creato senza scopi di lucro.

Vogliamo davvero parlare di videogiochi indie? Bene, allora andiamo a cercare quei prodotti che non conosce nessuno, presenti su piattaforme che non godono della luce dei riflettori, ad esempio itch.io (quest’ultima inglobata da Epic Games, azienda cattiva cattiva di Fortnite) e Gamejolt. Su queste piattaforme ci sono i veri giochi indie che andrebbero presi come punti di riferimento per combattere certe battaglie e che spesso vengono dimenticati. E sapete perché? Perché sono indie, appunto, non fanno “figo”. Troppo semplice nascondersi dietro Pentiment e pensare di essere diventati i proletari dell’industria dell’intrattenimento. La realtà è che parecchi giocatori vogliono sentirsi importanti prendendo a cuore casi che andrebbero effettivamente analizzati e affrontati seriamente, ma lo fanno approfondendo poco la realtà dei fatti, puntando il dito verso un nemico comune senza pensare però anche alle ripercussioni nella vita reale.

Una delle colpe che viene addossata i titoli AAA è il fatto che siano realizzati con lo scopo di generare profitti. Che è ciò che permette a chiunque di sopravvivere. Chi lavora come operaio in fabbrica, perderebbe il lavoro se quella fabbrica non generasse utili. Questa critica, oltretutto, non tiene conto del fatto che i giocatori stessi vivono in una società capitalista e sono parte integrante di essa (le console, i PC da gaming e gli smartphone glieli ha portati la cicogna?). Inoltre, è importante considerare che i videogiochi AAA sono spesso il risultato di un lavoro di squadra di centinaia di persone, molti dei quali dipendono da questi progetti per guadagnare il loro sudato stipendio. Sostenere che questi videogiochi siano “cattivi” perché sono stati creati per fare profitti equivale a negare il lavoro e il talento di queste persone.

Si vuole dunque affermare che non esistano pratiche poco chiare nelle politiche di certe aziende? Assolutamente no. L’etica e il buonsenso non dovrebbero mai mancare e in queste settimane abbiamo avuto un esempio di come queste qualità a volte manchino alle grandi aziende. Troviamo ingiustificabile che Horizon: Burning Shores venga venduto solo su PS5, lasciando a bocca asciutta chi ha comprato il gioco principale su PS4. Si tratta palesemente di una politica capitalista che costringe i possessori di PS4 a passare alla generazione successiva. Pratica che avrebbe senso per un gioco base, visto che prima o poi la old gen dovrà spegnersi, ma non ce l’ha per un DLC di un titolo nato cross-gen.

Il fenomeno più grave che getta un’ombra sull’industria AAA è il crunch, una vera e propria violazione dei diritti dei lavoratori. Eppure, sebbene in modalità diverse e notevolmente ridotte, il crunch è un problema comune anche nell’industria indie dei videogiochi. A causa della natura spesso più piccola e meno strutturata delle aziende indie, i dipendenti possono essere soggetti a carichi di lavoro eccessivi e a un’elevata pressione per completare i loro progetti in tempi ristretti.

Nel tempo, ci sono stati sforzi per affrontare il problema del crunch anche nell’industria indie dei videogiochi. Ad esempio, alcuni sviluppatori hanno adottato pratiche di gestione del tempo più sane e hanno promosso l’importanza di un equilibrio tra vita lavorativa e personale. Inoltre, alcune organizzazioni e gruppi di sostegno hanno offerto risorse e supporto per aiutare gli sviluppatori indie a gestire il loro tempo e il loro lavoro in modo più efficace.

Detto questo, va riconosciuto che i videogiochi AAA spesso rappresentano una forma di intrattenimento popolare e accessibile per milioni di persone in tutto il mondo. Offrono ai giocatori la possibilità di immergersi in mondi immaginari e di vivere esperienze uniche e coinvolgenti. Non dovrebbero essere etichettati come “cattivi” solo perché sono stati realizzati all’interno di un sistema capitalista.

Infine, è importante considerare che i videogiochi non sono l’unica forma di intrattenimento che fa parte del sistema capitalista. Film, musica e libri non sono certo usciti dai cespugli, essi nascono e vivono in un sistema che fa del profitto la prima ragione della loro esistenza. Anche di queste forme artistiche e di intrattenimento esiste la “variante indie” e non sono certo rari gli scrittori in erba dall’enorme talento o i musicisti che non riescono ad ottenere ciò che meriterebbero. Eppure non mi sembra che si scenda in piazza per questo. Se decidessimo di boicottare tutte queste forme di intrattenimento AAA a causa della loro natura capitalista, ci troveremmo con pochissime opzioni per il nostro tempo libero.

Purtroppo, non viviamo in un mondo ideale in cui tutti i meritevoli ricevono la loro ricompensa, una cosa che possiamo fare è cercare di dare spazio nella nostra vita a figure meno conosciute del mondo della musica e dei videogiochi e di farle conoscere, nel nostro piccolo, anche agli altri. Questo non significa che tutto ciò esce da un sistema più complesso, più organizzato e dai margini di guadagno più alti sia il male. Ricordiamoci sempre una cosa: il potere d’acquisto ce l’abbiamo sempre noi e se certe logiche non ci piacciono, possiamo smistare i nostri soldi su altro cercando di lanciare un messaggio. Ma se compriamo con il dito puntato, non possiamo lamentarci.


Leggi anche: Si può fare retrogaming grazie ai videogiochi indie

This post was published on 21 Dicembre 2022 14:40

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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