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Speciali

Furi: l’ardua fuga verso la libertà | #indie

Sono ormai passati ben sei anni dall’uscita di Furi, un videogioco che, nonostante non sia stato rilasciato di recente (nel mondo dei videogiochi, sei anni non sono affatto pochi), merita un’analisi all’interno della rubrica dedicata agli indie.

Il titolo indie sviluppato dallo studio francese The Game Bakers, che si è ripetuto con Haven, ha rappresentato una piacevole sorpresa per gli amanti dei videogiochi che mettono a dura prova i riflessi, senza dimenticare, però, il lato più emozionale del medium. Furi all’epoca fu associato, per la sua difficoltà e la massiccia presenza di boss (nel titolo l’unica cosa da fare sarà combattere i boss che ci sbarreranno la strada), ai Dark Souls.

Infatti, in quel periodo, anche se già un po’ meno rispetto agli anni immediatamente successivi all’uscita del titolo From, qualsiasi gioco più difficile della media veniva messo a confronto con Dark Souls, anche se non c’entrava assolutamente nulla. Furi ha qualche sfumatura che può ricordare DS, tuttavia è molto riduttivo parlarne come se fosse un souls indie. Furi ha un’anima propria e la definizione di souls-like gli va troppo stretta. In questo articolo, però, vogliamo soffermarci maggiormente sulla componente narrativa, perché merita notevolmente nonostante il gioco sia gameplay-driven.

Furi: la libertà è un cammino tortuoso

Che cos’è Furi? È la rappresentazione della ricerca della libertà che ogni singolo individuo porta avanti (buono o cattivo che sia – quest’ultima considerazione è legata alla sezione finale del gioco di cui parleremo qualche paragrafo più giù), una ricerca che viene incarnata dal misterioso guerriero che cerca una via di fuga dalla prigione in cui lo troveremo all’inizio del gioco. Chi è costui? Chi è stato a imprigionarlo e perché? Non importa, non ci verranno date spiegazioni, c’è una sola cosa che bisogna fare: combattere per la libertà. Il cammino è tortuoso, ma nel caso di Furi i vari sentieri che incroceremo non saranno di difficile percorrenza, anzi, con la pressione di un tasto sarà possibile eseguire la camminata in maniera automatica. È la quiete che anticipa la tempesta in arrivo, per poi ritornare una volta che essa è passata, in un loop quasi infinito. Furi non è infinito, ovviamente, tutto è concentrato in nove boss fight (più una bonus) divise da altrettante tranquille passeggiate.

La prigione da cui il protagonista vuole scappare è una sorta di matriosca, nove enormi celle si susseguono una dopo l’altra e ognuna è sorvegliata da un guardiano, il boss. Chi sono questi personaggi dalla forza e dalla velocità disumane? Perché cercano di imprigionare il nostro guerriero con tanta dedizione, a costo della loro stessa vita? Anche questo non importa, c’è un solo modo per uscire: ucciderli tutti. Un tratto fondamentale della caratterizzazione dello Straniero è proprio quello di non farsi scrupoli nell’uccidere sebbene abbia perso memoria di ciò che è avvenuto prima della sua prigionia.

Lui è sicuro di essere nella ragione, non si pone domande sul perché si trovi lì, ma solo sul come scappare. Durante le intense boss fight, i vari carcerieri ci parlano in modo sibillino, ma comunque abbastanza chiaramente per farci intendere che l’incedere brutale dello Straniero non è esattamente la marcia trionfale di un eroe senza macchia. Ma noi, come giocatori, cosa possiamo fare se non assecondare la voglia di libertà del protagonista e giustificare ciò che lui fa? D’altronde, ancora non conosciamo i fatti, eppure siamo portati a credere che la ragione sia dalla parte del personaggio che controlliamo noi.

La mia unica chance

Come recita il titolo di uno dei brani della soundtrack del titolo (una delle più belle mai ascoltate in un videogioco), My Only Chance di The Toxic Avenger, l’unica chance di afferrare la libertà è distruggere gli ostacoli; superarli senza mietere vittime non è possibile, bisogna uccidere i carcerieri, perché il carceriere è la chiave. Si suda fin dalle prime battute, il primo boss fa anche da tutorial, ma morire più e più volte è possibile. Nella vita non esistono sfide facili, anche quelle che possono sembrare insignificanti e alla nostra portata possono nascondere insidie. Il primo boss, The Jailer, ce lo ricorda. Abbassiamo la guardia una sola volta e siamo fritti, la libertà ci sfuggirà prima ancora di cominciare e di poter sentire il suo profumo in lontananza.

Una volta superata la prima sfida, quella apparentemente più semplice, potremo iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel, ma non è così, quella luce a volte può essere un presagio sfavorevole. Così The Strap, il secondo boss, una donna con un grosso faro al posto della testa, ci cercherà con il suo accecante bagliore che noi dovremo evitare, perché quella luce, che di solito è simbolo di libertà, ci fa male, troppo. Le sue convulsioni, le sue urla strazianti ci fanno capire, però, che lei stessa soffre e ha sofferto, ma non possiamo avere pietà, siamo noi le vittime, altrimenti perché ci saremmo svegliati incatenati senza un motivo? La vità è così, per cercare la libertà a volte bisogna voltare le spalle alle sofferenze altrui. Questo accade perché il tempo è fondamentale, non possiamo perderne se vogliamo vivere con pienezza. Il terzo boss, The Line, il maestro del Tempo, lo sa bene e cercherà di sfruttare il tempo a suo favore, ma il nostro guerriero ha troppa voglia di continuare il suo viaggio, anche se questo lo portasse ad addentrarsi nella parte più lurida della prigione, le fogne, dove ci aspetta The Scale.

Per arrivare all’obiettivo bisogna saper sporcarsi un po’ le mani, gli schizzinosi rimangono indietro. La boss fight che ci vede contrapposti a The Scale (ma non è l’unica che si basa su questo concept) si basa sulle meccaniche degli shoot’em up bidimensionali a scorrimento, i cosiddetti bullet hell in cui lo schermo si riempie di proiettili e laser da evitare. La difficoltà di questa sfida è tra le più frustranti.

La vita è un cecchino infallibile

Saltiamo al settimo boss, The Burst. Arrivati fin qui, ne avremo viste di tutti i colori, ma quando si è molto vicini alla meta, iniziano a mancare le energie ed è lì che la vita cerca di farti lo sgambetto. La vita è un cecchino infallibile, proprio come The Burst, una “fanciulla” completamente nascosta in un abito viola, veloce, letale e con una mira di “kojimiana” memoria. Se Sniper Wolf, The End e Quiet, mitici cecchini della saga di Metal Gear Solid, ci hanno fatto penare, The Burst non sarà da meno. Questo boss è vulnerabile solo ad attacchi corpo a corpo, vista anche l’impossibilità del protagonista di eseguire attacchi da lontano. Proprio come la vita, anche The Burst va presa di petto, lei cercherà un punto ben nascosto per colpirci, ma noi, imperterriti, non possiamo lasciargliela vinta, arrivati così lontano sarebbe da stupidi.

Eccoci allora, lanciati con furia cieca verso di lei, brandendo la nostra spada e la nostra voglia di uscire anche da quella prigione, per continuare il nostro faticoso ed epico viaggio. Difficilmente lei sbaglierà un colpo, quindi, anche noi dovremo essere bravi a non sprecare ogni singola occasione di renderle pan per focaccia.

Frank, sei tu?

Chi ricorda Frank, l’inquietante figura di coniglio che ”accompagnava” le vicende di Donnie Darko? Anche in Furi, non saremo del tutto soli nel nostro viaggio, ma verremo accompagnati da uno strano personaggio dalle sembianze di un coniglio. Molto meno terrificante, c’è da dire, ma ugualmente enigmatico. Perché ci ha liberato dalle nostre prime catene? Perché ci segue, anzi, ci guida cella dopo cella, boss dopo boss, verso il nostro scopo: la liberta?

Durante le fasi calme del gioco, i già citati sentieri che potremo percorrere anche automaticamente come fossero cutscenes, il coniglio ci dirà molte cose, alcune sembreranno superflue, soprattutto per ciò che è il nostro fine. Ma nella vita, bisogna anche saper ascoltare, tendere bene l’orecchio per capire che, a volte, ragione e torto sono divisi da una sottilissima linea. La telecamera, in questi frangenti, cambierà punto di vista molto spesso, rendendoci difficile, se non utilizziamo il comando automatico, la camminata. È difficile andare avanti se non si guardano le cose da diverse prospettive, l’esistenza è fatta di scelte e spesso fare la cosa giusta dipende da quale punto di vista abbiamo deciso di osservare.

Il nostro mentore, accompagnatore, spirito guida vuole che noi facciamo la cosa giusta, perché forse se siamo finiti in quella prigione non eravamo pronti a farla.

E se la nostra libertà…

… facesse del male agli altri? Attenzione, questa parte dell’articolo non è consigliata a chi il gioco non l’ha finito. Furi ci insegna a guardare ogni tanto indietro. Una volta sconfitto anche l’ultimo (?) boss, la valle in cui ci ritroveremo sarà un Eden tanto agognato; ma se, in realtà, non era ciò che desideravamo davvero? Una volta uscito dalla prigione e scrutata la bellezza mozzafiato di quel mondo che ci era stato precluso, il nostro guerriero si rivela per quel che è. Entrato nella sua navicella, eccolo catapultato sulla nave madre, comandata da un’intelligenza artificiale che ci chiederà di fare una scelta: continuare ciò per cui eravamo stati inviati lì (e sempre lì imprigionati dai carcerieri che prima di adesso ci erano sembrati i cattivi), cioè, distruggere il pianeta o mandare all’aria la missione contravvenendo al volere della nave madre, vero ultimo boss del gioco (se si sceglie l’ammutinamento). A noi la scelta di decidere quale sia la cosa giusta.

A questo punto il giocatore capisce di aver empatizzato per un personaggio negativo, di averlo guidato nella sua folle corsa verso una libertà che, a conti fatti, non si è meritato. Il suo intento di distruggere un pianeta e tutte le sue forme di vita merita una punizione. Ma ormai è tardi. O almeno, c’è ancora spazio per la redenzione. Ribellarsi e guadagnarsi così la libertà che prima gli era stata preclusa per giusti motivi.

Libertà, Vita, Scelte, parole che abbiamo scritto tantissime volte nell’articolo. Furi non è solo un bellissimo indie a tema fantascientifico, con un gameplay frenetico, preciso e appagante, una soundtrack indimenticabile, è soprattutto un titolo che racconta l’esistenza e tutti i suoi particolari senza la paura di non essere compreso. Anche i giochi che sembrano a prima vista concentrarsi solo ed esclusivamente sul gameplay possono rivelarsi delle perle dal punto di vista narrativo se si cerca di capire a fondo cosa vogliano raccontarci.

Furi è tutt’oggi uno degli action più interessanti del panorama videoludico, impeccabile sia per le sue soluzioni ludiche sia per le sue scelte narrative.


Coffee Talk: Avere uno Starbucks fantasy non è mai stato così bello | #Indie

This post was published on 28 Novembre 2022 16:00

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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