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Speciali

Schiavi dei brand: i consumatori con Pokémon Scarlatto e Violetto

Venerdì scorso, 18 novembre, sono usciti i due nuovi episodi della saga Pokémon, Scarlatto e Violetto, su Nintendo Switch.
Andando a memoria, uno dei lanci peggiori che io riesca a ricordare, per almeno due aspetti.

Trema la terra

Uno, l’informazione specializzata, che ha accolto i giochi in maniera quanto meno tiepida: una media del 7,5 rappresenterebbe un buon punto di partenza per una saga neonata, o un ottimo risultato per un indie, ma non venitemi a dire che chi ha i mezzi di Nintendo, The Pokémon Company e Game Freak possa andare fiero di una valutazione sotto l’eccellenza per un titolo di punta dell’offerta aziendale.

Soprattutto perché, va notato, per arrivare al 76 di Metacritic si passa aritmeticamente dal 6 di IGN e dal 3/5 di GamesRadar+ per menzionarne un paio, redazioni che non sono certo arrivate ieri nel settore. Qui non siamo a scuola, dove i voti altro non sono che un sistema di inquadramento del comportamento sociale – la critica videoludica (beninteso: quando è libera) può raggiungere (ed ha raggiunto, in diversi casi) livelli di altissima raffinatezza analitica; il giudizio su un prodotto elettronico risponde a criteri quasi universalmente riconosciuti dagli esperti.

Due, la risposta del pubblico.

È da poco meno di una settimana che è possibile testimoniare una fila lunghissima infuriata di acquirenti delusi dalla scarsa qualità del prodotto, e non si parla solo di mancanza di idee e di scarsezza tecnica (come se già non bastasse), ma di un gioco infestato dai bug e dai glitch al punto che YouTube ne raccoglie già dei best of:

Non c’è due senza tre

Non è passata neanche una settimana, dicevo.

Eppure, già si parla di record. Perché all’accoglienza della critica e del pubblico ne va ovviamente aggiunta una terza, la quale ha il potere unico e dispotico di confermare o ribaltare la situazione: l’accoglienza del mercato.

È qui che si svela l’ultimo valore rimasto ai Pokémon, ancora una volta: è notizia di oggi come Scarlatto e Violetto siano diventati il miglior lancio nella storia di Nintendo. Neanche una settimana, 10 milioni di copie, più della metà delle quali all’esterno del paese natio. Ancora una volta ha vinto l’homo oeconomicus e i dirigenti della casa di Kyōto staranno pensando di aver ragione, mentre fanno contare gli incassi ai contabili.

Ma come è possibile? Siamo davvero una mandria di corpi lamentosi che barcollano da un prodotto all’altro senza capacità di discernimento, vittime di un hype e di un’affezione create a tavolino? Cerchiamo di rielaborare la situazione, mentre riecheggiano le parole di René Ferretti.

Nascondi i cocci sotto al tappeto

Nonostante la curiosità per l’open world, l’atmosfera intorno a Scarlatto e Violetto non era quella del capolavoro in arrivo. Sarebbe d’altronde stato difficile, dati alla mano: Spada e Scudo, Leggende Pokémon: Arceus e i due Let’s Go sono stati titoli divisivi, capaci di polarizzare le opinioni.

Sta accadendo anche con gli ultimi due episodi, ma in una dinamica comica e invero pericolosa: da una parte ci sono le basse recensioni e le lamentele dei gamer, dall’altra un’azienda che si permette di negare l’evidenza: sembra infatti che i dipendenti dei call center Nintendo siano tenuti a dichiarare di non aver ricevuto alcuna lamentela su Scarlatto e Violetto.

Siamo ormai abituati al protezionismo della Grande N – caratteristica riscontrabile in tante multinazionali nipponiche – ma la sfacciataggine è in questa occasione ancora più evidente.

Preservare l’apparenza immacolata del prodotto è vitale e necessario nella società tardo capitalistica, un aspetto questo che si ripercuote in tanti ambiti del quotidiano; basti pensare alla religione instaurata da social come Instagram e Tik Tok che predicano il rituale del filtro, del sorriso, le good vibes, affinché tutto sia perfetto – non importa se vero o falso, né importa il come.

Mi viene allora in mente il concetto di Grande Altro, per il quale bisogna far riferimento a Lacan, a Žižek, e a Mark Fisher, dal quale cito:

In un certo senso il Grande Altro potrebbe essere descritto come il consumatore delle pubbliche relazioni e della propaganda, la figura virtuale a cui viene chiesto di credere anche quando nessun individuo potrebbe credere davvero.

Se lo riferisco al nostro tema, il Grande Altro è allora chi valuta Pokémon Scarlatto o Violetto acriticamente, chi lo difende nonostante le evidentissime mancanze creative e tecniche, perché Pokémon esiste, Pokémon è il simbolo, e bisogna offrirgli fede – bisogna credere in Pokémon, al di là di tutto.

I risultati saranno due: un’utenza che investe il proprio tempo libero in un’esperienza videoludica di basso livello, e tre aziende che godono di profitti evidentemente immeritati.

Il trionfo osceno del tardo capitalismo.

Anzi, credo che la società attuale sia in uno stato di assuefazione ancora più cronico.

Perché se Fisher includeva una condizione in cui il Grande Altro, quando svelato, perdeva la sua efficacia, nel 2022 siamo giunti allo step successivo: se domani uscisse un gioco chiamato Pokémon Me**a, e Nintendo ammettesse in conferenza stampa

«Abbiamo sviluppato il peggior episodio di sempre.
Buon divertimento!»

beh, quel gioco venderebbe ugualmente milioni di copie.

Com’è che si dice? The best is yet to come 🙂

Non vi sentite presi per il cu*o?

La speranza è solo nel cuore di chi lotta

Anche solo riferendovi al passato recentissimo, provate a pensare a tutti i titoli di buona fattura che non hanno ovviamente ricevuto la considerazione riservata a un marchio potentissimo come quello di Pokémon – annoverato in più occasioni come il brand più redditizio al mondo, è bene ricordare.

Ma anche rimanendo internamente a Nintendo: davvero l’ultimo prodotto Game Freak ha meritato più attenzione dei vari Mario, Zelda e compagnia?
Non scherziamo.

Neanche l’argomentazione legata ai limiti tecnici della console regge: nel 2017 uscivano Odyssey, Breath of the Wild, Xenoblade Chronicles 2: giochi limitati?

E lo so che è un ragionamento naive ma non mi arrenderò mai al fatto che le logiche di mercato schiaccino la bellezza di un lavoro d’ingegno ben costruito. Ed è sintomo di una coscienza in salute sentirsi arrabbiati o traditi davanti a casi del genere; e qui mi collego alla community, concludendo.

I videogiocatori sono spessissimo dipendenti dall’hype, prede ridicolmente facili del marketing, individui chiusi nella propria comfort zone.

citazione dell’autore di questo articolo da leggere a voce alta

Dobbiamo purtroppo ricordarlo, per il nostro bene: Nintendo, Sony e Microsoft non sono fabbriche di sogni ma multinazionali di prodotti di largo consumo come tantissime ce ne sono.
Noi siamo i loro portafogli ambulanti, braccia e gambe intorno a un portamonete di stoffa.

Certo, producono contenuti che contribuiscono al nostro benessere personale ma questo non significa che ci tengano al guinzaglio: sono piuttosto loro a essere attaccati alle mammelle dei consumatori, senza i quali non riceverebbero il nutrimento che li rende i colossi che sono.

Noi siamo una componente imprescindibile della loro forza.
Ecco, teniamolo a mente: cerchiamo di influenzare con lucidità il mercato, piuttosto che correre dietro a tutto ciò che sembra luccicare.

I risultati potrebbero essere meravigliosi.

This post was published on 25 Novembre 2022 19:00

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