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Resident Evil e The Last of Us: due modi differenti di raccontare un’infezione – #Lore+

Una tematica può essere esposta in molteplici modi differenti poiché ogni opera si prefigge obiettivi unici legati all’approccio creativo dell’autore. Dal cinema alla letteratura, dai videogiochi al fumetto, non si contano più le opere che hanno l’apocalisse zombie/l’infezione pandemica come argomento centrale della propria struttura narrativa, argomento che può essere declinato con più sfaccettature di quelle che si possono immaginare.

Il film o il videogioco “con gli zombie” non è sempre e solo un insieme di scene che riprendono persone impaurite che scappano mentre vengono inseguite da mostri putrescenti affamati; ogni opera ha una propria ragion d’essere che si inquadra nelle finalità ultime dell’autore, il quale può aver deciso di collocare i propri intenti narrativi ed espositivi all’interno di un contesto apocalittico per veicolarli in modo alternativo o, perché no, seguendo anche un trend.

Per fare un paio di esempi, possiamo citare il maestro George Romero e il film coreano Train to Busan. Nella cinematografia romeriana, gli zombie ricoprono un ruolo più complesso dei mostri da cui scappare, soprattutto in Zombie (Dawn of the Dead, 1978) è presente una decisa critica al capitalismo e al consumismo sfrenato, in cui si vede chiaramente che gli zombie, in realtà, siamo noi. Ho banalizzato il concetto per non dilungarmi e per spiegare cosa significa usare l’infezione per veicolare altre tematiche. In Train to Busan (2016) di Yeon Sang-ho, invece, la società viene messa sotto la lente d’ingrandimento e ciò che salta all’occhio non è particolarmente incoraggiante: egoismo, arrivismo e indifferenza nei confronti del dolore altrui.

E poi ci sono effettivamente le opere brutte che parlano solo di zombie e lo fanno anche male. Le possibili declinazioni sono ancora tante e proprio nel mondo dei videogiochi abbiamo due esempi perfetti di come si possa raccontare un’infezione in due modi completamente opposti: Resident Evil e The Last of Us.

RE e TLOU: obiettivi e modelli creativi

Prima di analizzare nello specifico come le due serie affrontino l’argomento, bisogna capire che cosa sono Resident Evil e The Last of Us nel loro modo di proporsi al pubblico e i loro obiettivi, oserei dire, aziendali. Da una parte abbiamo uno dei padri fondatori del genere horror – insieme a Alone in the Dark – che è riuscito a rimanere sulla cresta dell’onda per ventisei anni (1996-2022) e continuerà a farlo dati i progetti già annunciati (remake di Resident Evil 4 nel 2023) e quelli in cantiere (Resident Evil 9). Non sempre Resident Evil ha avuto i favori di pubblico e critica, ma alla fine è ancora qui. Come ci è riuscito? Reinventandosi.

Capcom ha più volte cambiato le carte in tavola calando l’asso in molte occasioni, floppando la mano in altre. Normale. Resident Evil è ormai un franchise di lunga data, pertanto la crescita costante senza intoppi è quasi impossibile considerando che a oggi la serie conta quasi trenta giochi tra titoli principali, spin-off e capitoli che la stessa Capcom non ricorda di aver sviluppato. La storia creativa di questa serie è un continuo saliscendi che ha portato Capcom dalle stelle alle stalle per poi permetterle di tornare a dominare la scena del genere horror (in attesa dei nuovi Silent Hill), nonostante i puristi continuino a non vedere di buon occhio alcune modifiche fondamentali, come il passaggio alla prima persona.

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La stessa visuale in soggettiva potrebbe “rimanere vittima” di un dietrofront nei capitoli futuri (nei remake è ovvio), questo perché una saga che va avanti per così tanto tempo deve rimanere focalizzata sull’obiettivo, ovvero accontentare un po’ tutti per vendere in quanto prodotto, e seguire i trend. Resident Evil, dal punto di vista meramente aziendale, è dunque un franchise che è riuscito a diventare mainstream nonostante il genere horror non piaccia a tutti (le nicchie ormai si sono ingrandite, quindi parlare di nicchia è improprio).

Dall’altra parte, invece, abbiamo The Last of Us, un’opera più giovane che conta, escludendo le riedizioni, due capitoli più un’espansione, Left Behind. Le iterazioni della serie di Naughty Dog possono essere considerate un corpus unico, con una storia semplicemente divisa in parti che può essere recuperata in una sola volta senza dover star dietro a cambi di passo e di genere come avviene in Resident Evil. The Last of Us è un’esclusiva console e presenta un maggiore focus sulla narrativa e sulle caratteristiche proprie dei kolossal che difficilmente perdurano per vent’anni attraverso nuovi capitoli diversi gli uni dagli altri. In quanto tale, TLOU è considerabile come una serie maggiormente targettizzata, ciò non significa che sia di nicchia e per pochi (le copie vendute dicono ben altro), tuttavia presenta attributi e proprietà specifiche che non cambiano nel tempo perché, appunto, non deve durare per sempre.

Sono due modelli creativi e di business differenti, nessuno dei quali è migliore o peggiore dell’altro. The Last of Us è il cinema d’autore, Resident Evil è il blockbuster, due modi diversi di concepire l’intrattenimento. Basti pensare a quanti prodotti crossmediali sono stati tratti dal gioco Capcom e quanti di questi abbiano raggiunto l’eccellenza per poi confrontarli con il poco che si è visto della serie tv di The Last of Us della HBO che già solo dai trailer sembra di un altro livello, anche se prima di dare giudizi categorici bisognerà aspettare la sua effettiva uscita completa.

RE e TLOU: infetti a confronto

Ora entriamo specificamente nel racconto che TLOU e RE fanno dell’infezione in modo da esaminare come una tematica possa essere esposta in modi così diametralmente diversi attraverso lo stesso medium. In primo luogo, va chiarito che parliamo di due tipologie completamente agli antipodi di infezione perché diverse sono le modalità di trasmissione e le ragioni per cui questa è avvenuta.

In Resident Evil, il concetto di zombie non è aderente in alcun modo a quello presente nella cultura haitiana, in cui lo zombie è una persona schiavizzata e resa inerme, in uno stato simile alla letargia, dall’azione, secondo il folklore dell’isola centroamericana, di un bokor, uno stregone in grado di catturare l’anima degli individui. E non è neanche paragonabile alla figura creata da Romero perché i morti viventi dei suoi film tornano in vita per effetto delle radiazioni emanate da una sonda spaziale (almeno se prendiamo in considerazione solo La notte dei morti viventi del 1968 che ha dato inizio al fenomeno cinematografico).

La natura dell’infezione di Resident Evil è artificiale perché deriva da agenti patogeni, ma questi sono stati creati e, soprattutto, diffusi dall’azione senza scrupoli dell’uomo, da organizzazioni criminali che operano nel campo delle armi biologiche, insomma, l’Umbrella Corporation per chiarire il concetto, anche se non è l’unica corporazione rea di aver contaminato varie parti del mondo. Le scoperte in ambito scientifico e medico, camuffate da propositi farmacologici inesistenti e vendute al miglior offerente per scopi militari, rendono l’infezione narrata da Capcom una sorta di accusa nei confronti della società guerrafondaia di cui abbiamo esempi lampanti in tempi moderni e contemporanei, durante i quali si è coniata la definizione di Equilibrio del terrore, ovvero la corsa agli armamenti nucleari per non rischiare di essere in posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi.

In Resident Evil avviene lo stesso: le armi biologiche vengono usate come deterrente, anzi, nel settimo capitolo si raggiunge addirittura uno step successivo con gli esperimenti sulla Necrotossina-E che rende addirittura obsolete le armi bio-organiche sostituite dalla possibilità di manovrare come marionette i corpi ospiti attraverso un effetto della tossina equiparabile alla telepatia.

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Inoltre, lo zombie non è altro che la manifestazione base dell’infezione in Resident Evil. I puristi più intransigenti affermano che se non ci sono gli zombie non può esistere Resident Evil. Questa affermazione è oggettivamente falsa perché gli zombie sono i nemici più iconici, essendo stati i primi a mostrarsi, ma non gli unici e soprattutto non i principali. Come abbiamo detto poco prima, sono le Bio Organic Weapon a rappresentare la minaccia vera e propria nell’universo narrativo del gioco.

In The Last of Us l’infezione è naturale perché si propaga con le spore del cordyceps, un fungo che è stato descritto come un parassita vorace in grado di trasformare le persone in creature aberranti prendendo possesso del loro sistema nervoso. Il cordyceps, in realtà, viene utilizzato per i suoi effetti benevoli nella micoterapia, una medicina alternativa derivante dalla medicina tradizionale cinese, inoltre pare che migliori le difese immunitarie e possa agire contro le cellule tumorali (fonte: Humanitas.it). Il cordyceps è chiamato anche parassita d’insetti perché in grado di prendere il controllo di insetti, come formiche, aiutandosi così ad alimentarsi e prosperare.

Quando un frammento di spora entra in contatto col corpo dell’ospite “adeguato”, la spora viene stimolata, germina e penetra nell’insetto, generalmente allo stadio di larva. Il fungo si propaga poi in tutto il corpo dell’insetto e finisce per ucciderlo in pochi giorni. Quando l’insetto è morto, il micelio riempie completamente il corpo, che dall’esterno sembra normale, come mummificato. Il fungo così aspetta che vi siano condizioni favorevoli per fruttificare – Wikipedia

Nell’universo di TLOU la diffusione dell’infezione è dovuta quindi a queste capacità naturali di un fungo, il risultato sono i clicker, gli stalker, i bloater e tutte le altre creature che popolano gli Stati Uniti d’America che sono ben diverse dalle BOW di RE, in quanto non sono il frutto di test, osservazioni ossessive e sperimentazioni non etiche. Il cordyceps ha infatti contaminato i campi di grano in Messico e negli USA e, quando i due paesi hanno commercializzato tra loro questo prodotto della terra, si è propagato a macchia d’olio.

Come ti racconto l’infezione

Il focus dell’analisi riguarda l’importanza che i due giochi danno all’infezione all’interno della loro struttura narrativa. È importante in egual modo, si potrebbe pensare, in realtà non è proprio così. Il ruolo che essa assume varia in base alle finalità che gli autori vogliono dare alle loro rispettive opere. In Resident Evil, il contagio è il punto nevralgico dell’intero intreccio da cui poi si dipanano le vicende dei personaggi, i quali esistono esclusivamente in relazione al contesto epidemico. La trama del gioco Capcom è funzionale, termine con cui si identifica qualcosa che non è eccezionale ma funziona a dovere perché inserito bene nel proprio contesto, a raccontare eventi che non possono mai essere separati dalla tematica dell’infezione.

I personaggi di RE, il loro modo di approcciarsi al problema, gli scontri con i boss, le sezioni più action e, sì, anche un po’ trash, formano un insieme che funziona per come Capcom vuole raccontare una situazione di crisi. L’approccio, da molti considerato erroneamente da b-movie, il cui termine non identifica un prodotto mediocre, ma una pellicola girata sfruttando il set di film ad alto budget girati precedentemente, è di chi si prende sul serio ma fino a un certo punto. Resident Evil è volutamente esagerato e in quanto tale non costruisce la storia sulla caratterizzazione impeccabile dei personaggi, sulle relazioni che intercorrono tra loro e sull’approfondimento umano e ambientale, ma sul contesto generale, quindi l’infezione, la macchinazione delle grandi multinazionali, la credibilità delle spiegazioni pseudoscientifiche volte a giustificare ciò che avviene su schermo.

Di Chris Redfield, Leon Kennedy, Jill Valentine, Ada Wong, Albert Wesker si ricordano maggiormente i momenti più insensati, un po’ come se la struttura narrativa di RE si reggesse su dei meme che, però, inseriti nel racconto dell’infezione tracciato da Capcom assumono maggiori senso e credibilità. In RE le creature sono più importanti dei protagonisti, infatti la loro genesi gode di una rappresentazione e di un’esposizione talmente accurate da superare di gran lunga la caratterizzazione dei personaggi umani.

The Last of Us propone un approccio totalmente differente: nel gioco Naughty Dog l’infezione è un pretesto narrativo. Se eliminiamo il contesto pandemico e spostiamo tutti i personaggi di TLOU in tutt’altro ambito, lasciando intatto il loro approfondimento umano, il gioco funzionerebbe ugualmente. Naughty Dog non vuole raccontare l’apocalisse in quanto evento catastrofico, ma in relazione al comportamento umano.

Di Joel, Ellie, Abby, Dina non ricordiamo dettagliatamente come abbiano ucciso un clicker o come siano riusciti a scappare da un luogo infestato dagli stalker, ricordiamo il loro modo di affrontare la situazione di crisi nei panni di esseri umani, con le loro paure, i loro desideri per il futuro, le loro relazioni. TLOU è una storia che parla di speranza, vendetta, egoismo, redenzione, tutta una serie di tematiche che vengono sviscerate attraverso gli occhi dei protagonisti mentre intorno c’è l’inferno. Quell’inferno però è un involucro, al cui interno gli esseri umani mostrano cosa sarebbero disposti a fare per salvare se stessi e gli altri, nel bene e nel male.

Questo approccio è in linea con una delle caratteristiche dell’opera delineate prima, cioè il non doversi preoccupare di raccontare una storia che perduri nel tempo. Una volta esaurita la trattazione delle vicende umane di quei personaggi, il compito del gioco è terminato, che ci sia o meno ancora un’infezione.

La dimostrazione di questa diversa modalità di contatto con la tematica appare ancora più chiara analizzando il modo in cui i due giochi informano i giocatori su tutto ciò che riguarda l’infezione. I capitoli di RE sono infarciti di documenti, diari e note che spiegano nel dettaglio ogni singolo elemento costitutivo dell’universo di gioco, con date, avvenimenti, luoghi che vengono descritti con attenzione scrupolosa a non tralasciare nulla. Infatti, se c’è una cosa che possiamo affermare con una certa sicurezza è che, sebbene la trama dei vari RE non sia nulla di eclatante, la lore è di un livello superiore rispetto a tanti titoli ben più narrativi. La lore, intesa come l’insieme degli aspetti caratterizzanti del mondo di gioco, della serie Capcom è fuori scala per la quantità e la coerenza delle informazioni a cui il giocatore può attingere.

Questa ricchezza contenutistica forma le due basi su cui poggia l’attendibilità del contesto costruito da Capcom: la pseudoscienza e la fantamedicina. L’infezione di RE si presenta sotto varie forme, abbiamo infatti le varianti del virus, il T e il G, le forme parassitarie come Las Plagas, l’Uroboros di RE5, il Cadou dei capitoli più recenti, ma non sono elementi scollegati e messi alla rinfusa. Tutto viene contestualizzato e spiegato attraverso la fantamedicina e la pseudoscienza le cui basi scientifiche attingono dalla realtà per poi essere trasposte e manipolate per rientrare perfettamente nella struttura narrativa. In RE non c’è la magia, tutto ciò che avviene è giustificato dalla scienza creata apposta per il gioco. Alcune spiegazioni sembrano tirate per i capelli, ma è normale perché, come accennato più volte, la serie dura da ventisei anni e riuscire a incastrare tutto in modo logico e congruente non è semplice.

Per approfondire: Resident Evil Village: Identikit di un’infezione

In TLOU invece l’infezione appare più “realistica”, per quanto sia ovvio che il cordyceps non sia in grado creare quei danni, il gioco immagina uno scenario il più verosimile possibile nel caso più pessimistico, e meno costruita ad hoc. Questo avviene perché l’opera di Naughty Dog non ha come obiettivo raccontare la pandemia in sé, ma l’umanità durante un’emergenza globale. Ciò si riflette nel fatto che in TLOU c’è una minor quantità di informazioni sull’infezione, anzi, quasi nulla, i documenti e i diari si contano sulle dita di una mano, non viene creato un contesto dettagliato della pandemia.

Sebbene TLOU sia narrativamente più impostato e più preciso nella narrazione centrale, ovvero la trama, non raggiunge i livelli contenutistici di RE perché non è necessario che li raggiunga. Non importa come, quando, perché sia scoppiata l’infezione, non importa come il cordyceps vada a colpire il sistema nervoso, quanto tempo ci metta e perché non tutte le persone si trasformino nello stesso tipo di creatura.

TLOU racconta una storia di esseri umani in un mondo ostile, RE mette al centro della sua narrazione lo scenario apocalittico. Entrambe le opere svolgono egregiamente il proprio lavoro a dimostrazione che si possono creare universi così vicini e così lontani allo stesso tempo.

This post was published on 4 Dicembre 2022 11:22

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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