Da brava società ultra-consumista basata su un intrattenimento massivo e ricco di prodotti, ormai da decenni viviamo di veri e propri culti della personalità verso icone quali personaggi di romanzi, fumetti, film e, ovviamente, videogiochi.
Tutti abbiamo le magliette dei nostri supereroi preferiti, dei protagonisti dei nostri videogiochi del cuore, o ancora gli shopper del libro che ci porteremmo su un’isola deserta.
Ci cibiamo di storie e dei loro eroi, li portiamo sempre con noi, e va bene così.
In questo processo, all’interno del quale l’industria del’intrattenimento non deve far altro che sfruttare costantemente i nostri miti per lucrare (nessuna faccia triste, è il loro lavoro!), non mancano però delle complicazioni e degli imprevisti: che succede quando l’Industria va oltre con lo sfruttamento, e fa dei nostri eroi degli utilizzi anomali, magari usandoli all’interno di prodotti “altri” rispetto a quelli per cui erano stati concepiti? Un episodio di qualche mese fa ci dà lo spunto per parlare di questo e di altri argomenti.
Pronti?
“Ehi, quello non è il mio Pyramid Head!”: quando Dead by Daylight “reinventò” Silent Hill
Per capire di che cosa sto parlando, vi racconto una storia di qualche mese fa, ma che è perfetta per lo splendido clima di pre-Halloween di questo bell’ottobre: ad agosto, Masahiro Ito, che è stato il designer di quel capolavoro assoluto che è Silent Hiil 2, si è lamentato via Twiter della scelta del team di Dead by Daylight di includere la versione originale di Pyramid Head (o Executioner, fate voi) come personaggio giocabile.
In che senso “versione originale”?
Ecco, Ito nella sua carriera ha creato due Pyramid Head, due versioni, una “originale” e una “commerciale”. La prima è stata pensata pensata per essere la fantastica icona da psicohorror che infesta la coscienza di James Sutherland (e dunque a tutti gli effetti una sorta di proiezione interiore dal significato profondo) e l’altra sviluppata come “semplice villain brutto e cattivo” per il film di Silent Hill di Christoph Gans e per una comparsata in Silent Hill: Homecoming.
Insomma, una è una versione “di rappresentanza”, ufficiale, con una sua lore ben specifica, e l’altra commerciale, da usare con progetti “alternativi”.
Ecco, a quanto pare, questo deve essere sfuggito ai ragazzi di Behaviour Interactive, che stando al tweet del buon Ito avrebbero utilizzato il “Pyramid Head” sbagliato.
Storia incredibile, vero?
Una particolarissima vicenda di utilizzi impropri di un personaggio pop, per di più abbastanza pregna di significati.
Cioè, pensate a cosa rappresenti Silent Hill 2 per il settore del videogioco horror: la punta più alta del genere? Un gioco particolarmente autoriale che viene utilizzato per parlare di temi pesanti? Forse entrambe le cose contemporaneamente.
E pensate a quanto profondo sia il significato di Pyramid Head, incarnazione del senso di colpa di James per qualcosa di davvero terribile che ha fatto (oh, la storia la conosciamo più o meno, no? In caso contrario, ecco la pagina Wikipedia del gioco).
Pensate allora a questo punto a cosa significhi ritrovarsi un’icona di quella complessità usata come massacratore di malcapitati in un multiplayer che omaggia un horror molto diverso da Silent Hill, quello commerciale degli slasher movie.
E qui veniamo al fulcro del discorso.
La pop culture fra commercialità e autorialità
Appare chiaro come la vicenda di Pyramid Head apra una serie di domande e riflessioni niente male.
Anzitutto, da appassionati videogiocatori saremmo quasi portati a chiederci se operazioni di questo genere, con la commercializzazione di un’icona con significati ben precisi, siano eticamente giuste.
Tuttavia, tagliamo subito via quest’accenno di moralismo: è lecitissimo, ragazzi, perché Pyramid Head nasce già di per sé come prodotto commerciale perché Silent Hill 2, il videogioco di cui è coprotagonista, è un prodotto commerciale già di per sé!
Possiamo girarci attorno quanto vogliamo ma è così, a maggior ragione se pensiamo che stiamo parlando di un “mostro da horror”, uno dei generi più di largo consumo in assoluto.
In secondo luogo, il riutilizzo di “icone” in “commercialate” non è assolutamente una cosa inedita ma anzi.
Solo per rimanere all’interno del videogioco pensiamo a quello che fa Fortnite da anni col suo metaverso in cui approdano personaggi da tantissimi brand famosi: dai supereroi Marvel e DC a John Wick per finire con Star Wars o con Kratos di GoW.
Uscendo fuori dal videogioco e andando con la mente al cinema mi viene in mente l’assurdo cross-over di Freddy Kruger e Jason Voolhrees uscito nel 2004.
Non sempre parliamo di personaggi di spessore, ma vedere il Kratos del 2018 (personaggio profondo, con un background pazzesco e un certo significato) usato come “trovata” per un prodotto come Fortnite (di fatto, il “gioco di product placement” per antonomasia) fa riflettere.
Abbiamo dunque di fronte un quadro molto particolare, in cui commerciale e parti genuine del genio dei vari creativi convivono e quasi convergono in una sorta di macchina che deve bilanciare di continuo l’esigenza di creare qualità con quelle di “incasso”, dando esiti a volte molto particolari.
Ora, ammesso che tutto è lecito e anche “normale”, la domanda successiva che occorrerebbe farci in merito a queste operazioni di “sfruttamento” è: che conseguenze possono avere?
Keep calm, e ragioniamo attraverso “esiti” di queste dinamiche, come se fossero i finali di un videogioco “old school”, okay?
Bad ending – Banalizzazione e perdita
Partiamo dall’ipotesi peggiore che ci possa essere: poniamo caso che questo genere di approccio all’industria finisca per fare di queste icone banali ingranaggi di un meccanismo (purtroppo diabolico) che li utilizzi soltanto per creare sempre nuove trovate commerciali senz’anima, in modo spietato e mirato solo a far cassa.
Pyramid Head diventa quindi un personaggio da slasher di serie B, il mondo di Metal Gears Solid fa da cornice ad una robetta scialba e terribile come Metal Gear Survive, Kratos va a fare l’attrazione da bimbi in Fortnite e così via.
Icone prima assaporate come cibo pregiato e poi riciclate come parte di una sbobba da mensa in pratica (sì lo so, è una metafora disgustosa!; il rischio è che queste operazioni, portante avanti spesso in modo svogliato, rischino di far dimenticare ai giocatori quanto erano buone le pietanze originali.
Parliamoci chiaro però: questa è l’ipotesi piu’ remota e strana e soprattutto l’unica ipotesi che deriverebbe, piu’ che dalle logiche commerciali che muovono questi progetti, da una mancanza di slancio e brillantezza da parte dei giochi originali.
Mi spiego: se Silent Hill continuasse a non brillare neanche col suo nuovissimo episodio appena annunciato e Pyramid Head continuasse a vivere in modo stabile solo attraverso Dead by Daylight, quest’ultimo non avrebbe colpa della decadenza di quel brand!
Rimarrebbe come sorta di “testimonianza sbiadita” del fasto d’un tempo, un po’ come accade con certe icone del cinema di cui ricordiamo solo le ultime versioni, mediocri, e non gli archetipi gloriosi.
Certo, la tristezza rimarrebbe, ma potremmo sempre recuperarci gli originali (retrocompatibilità permettendo, certo!).
Normal Ending – “Ma scusa, a me che me frega?”
E dopo questa bella iniezione di pessimismo, ragioniamo invece su quello che sembra l’esito più morbido: semplicemente, operazioni come queste lasciano il tempo che trovano, i giocatori di tutte le età si approcciano a esse per quel che sono e magari danno anche una chance ai giochi originali dai quali sono tratti.
Che succede in questo caso?
Niente, per fortuna, le rielaborazioni di questo o quel personaggio convivono felicemente con quello originale e il massimo delle conseguenze negative sono che i giocatori della rielaborazione X non si riverseranno mai mai in Y e viceversa perché appartengono a pubblici diversi (“nah God of War nn mi piace, meglio Fortnite, è online”).
Triste anche questo, ma amen.
Good Ending – E se…
Alla fine di questa riflessione ricca di incertezze e riflessioni cariche di dubbi, però, permettetemi una riflessione un tantino più ottimistica e interessante.
Io ho un nipotino, Gabriele, che quest’anno ha fatto dieci anni, ed è abbastanza fissato con Fortnite e in generale con tutti quei giochi massivi ai quali accennavamo prima.
Qualche mese fa, dopo una sua partita, mi fa “Zio, ma te ce l’hai God of War?”.
Ora, Gabriele non è diventato un appassionato dei classici Sony ed è ancora lungi dal seguire le mie orme come appassionato di giochi action/adventure in terza persona, e anzi ho davvero molti dubbi sul fatto che questo accadrà (ma questa è un’altra triste storia).
Però quel suo interesse improvviso mi dà una piccola speranza: possono operazioni come Fortnite o Dead By Daylight e alcuni personaggi che vi compaiono incuriosire a tal punto un giovane giocatore da fargli venire voglia di passare dai giochi da cui son tratti?
Voglio dire, non parlo di ottimistiche speranze: parlo di cose fattuali, che possono accadere col giusto input, ancora una volta da parte dei creativi.
Torniamo a una cosa accennata nel bad ending: se i creatori dell’”originale” non lavorano bene e lasciano andare la loro creatura, questa può morire (com’è accaduto per Silent Hill per molto tempo, sino all’annuncio del remake del secondo episodio lo scorso 19 ottobre).
Se però gli autori supportassero in maniera abile e intelligente la situazione, facendo “marketing esperienziale” in modo oculato e riuscendo poi a travasare i giocatori di battle royale o multiplayer vari per poi portarli altrove, allora fermi tutti: ben venga la “risignificazione” che diventerebbe questo punto quasi una parte della campagna promozionale del trailer XY.
Per far sì che questo avvenga, certo, le azioni da mettere in campo sono tante: va costruita una campagna marketing adeguata che traghetti i giocatori giusti da X a Y, va creato un gioco che possa abbracciare in modo intelligente anche nuovi giocatori (magari non subitissimo, ma quando saranno pronti).
A quel punto, c’è poco da dire: vince chi pubblica giochi del genere, ma vince anche il videogioco.