I TGA devono decidere cosa vogliono fare da grandi

cosa sono i game awards, il caso stray

Sono stati rivelati i candidati per tutte le categorie in gara ai The Game Awards, evento a cui potremo assistere l’8 dicembre. Come è normale che accada, le nomination non hanno lasciato tutti soddisfatti, soprattutto se si guarda alla categoria più attesa, quella da cui uscirà il miglior videogioco dell’anno 2022. Il pomo della discordia ha la coda, è pelosetto ed è perso in un mondo cyberpunk popolato da robot, è un povero gatto randagio, è Stray. L’inserimento del “videogioco del gatto” pubblicato da Annapurna nella categoria più importante della rassegna ha fatto storcere il naso ai più e deve farci porre delle domande sui The Game Awards, sul loro ruolo e sul loro vero significato.

Detta così sembra che sia successo il finimondo, che sarà mai? Hanno solo inserito un gioco non eccelso nella categoria miglior videogioco dell’anno, a discapito di altri che avrebbero meritato di più, certo, però si passa oltre e la vita va avanti. Senza dubbio è così, la vita va avanti, ma se esiste la critica videoludica allora bisogna farla e questa non può limitarsi al dire quanto sia bellina la grafica e a un freddo elenco di meccaniche che compongono un gioco. Il medium ha raggiunto ormai una maturità che impone di fare delle riflessioni che in altri ambiti sono all’ordine del giorno. Attenzione, il medium l’ha raggiunta, non certe persone che vi ruotano attorno, tra cui giocatori e “professionisti” del settore.

Noi parliamo di “giochini”, come direbbe qualcuno, ma i giochini esistono da più di quarant’anni e rappresentano un mercato che, nonostante la sua relativa giovinezza, ha già superato cinema, televisione e musica per costi di produzione e distribuzione, stando a un report dal titolo lunghissimo, Global Video Game Market Size, Share & Industry Trends Analysis Report By Type, By Device, By Regional Outlook and Forecast. Non si tratta dunque di una polemica sterile, come ne nascono tutti i giorni intorno ai videogiochi, ma di un tentativo di analisi, seppur limitata, di un fatto concreto: quello che vuole indentificarsi come main event dell’industria dei videogiochi non è in grado di tenere il passo di una forma di intrattenimento che cresce di giorno in giorno.

Le ultime nomination pongono l’accento su due argomenti fondamentali: uno è la meritocrazia, l’altro riguarda l’obiettivo dei The Game Awards che, a distanza di anni, non è ancora del tutto chiaro.

Tanto va la gatta al lardo…

Partiamo da un presupposto: decidere quale videogioco sia meglio di un altro non è semplice perché si tratta di opere molto differenti le une dalle altre, se quindi è possibile scegliere il miglior rappresentante di un genere specifico, lo è molto meno se si guarda alla categoria miglior videogioco dell’anno, perché lì vengono inseriti titoli di generi, target e costi di produzione diversi. Dei parametri veramente oggettivi forse non esistono, esiste però il riconoscimento del valore artistico di un’opera. Nel momento in cui decidi di organizzare annualmente un evento con la pretesa di decidere quale opera abbia il valore artistico/di intrattenimento maggiore, sai anche che ti stai prendendo una grossa responsabilità, perché tutto ciò che riguarda i videogiochi non è più “roba per ragazzini”, sebbene qualcuno si comporti ancora come tale.

Se organizzi una kermesse di questo tipo, devi farlo con serietà e con criterio. È possibile, con criterio, decidere quale videogioco sia più bello dell’altro? È irrilevante, perché nessuno ti ha imposto di creare i The Game Awards. Una volta che il dado è tratto, bisogna solo capire se le scelte operate possano avere un benché minimo senso, e l’inserimento di Stray tra i migliori sei videogiochi dell’anno (perché in categoria sei ce ne sono), ne ha poco. Non per il valore in sé del gioco, ma perché per meritocrazia altri avrebbero avuto più ragioni di essere al suo posto. Prima di chiarire quali potessero essere questi titoli più meritevoli, bisogna rispondere a una, giustissima, provocazione: esattamente che lì ci sia Stray o un altro gioco, a noi cosa importa?

Nel senso, invece di Stray puoi anche metterci Pierino torna a scuola, tanto non vincerà mai. È palese che, a meno di colpi di coda strani, a uscire vincitore sarà o Elden Ring (qui la recensione) o God of War: Ragnarok (qui la recensione). Verissimo, allora facciamo solo un testa a testa e torniamocene a casa. Non funziona così. Quando si decidono le categorie, è necessario inserirvi titoli che, per un motivo o per un altro, possano effettivamente rivaleggiare tra loro. Non è un girone di Champions che viene sorteggiato. Il videogioco, in quanto tale, non ha solo un valore artistico, altrimenti sarebbe un quadro o una scultura, ha anche meccaniche ludiche, deve possedere qualità narrative, di game design, interessanti possibilità di interazione, etc., tutte cose che rendono il videogioco un prodotto complesso.

Stray ha tutte le carte in regola per stare lì in mezzo? A nostro parere, no. Ci sono giochi che possono maggiormente fare bella figura tra quei due colossi? A nostro parere, sì. Poi non vincerebbero, perché vincerà o Elden Ring o God of War: Ragnarok, lo ribadiamo, ma ribadiamo anche che non funziona così. E badate bene, non è una filippica contro il videogioco di Annapurna, lo stesso discorso si potrebbe fare per A Plague Tale: Requiem, la cui presenza è stata anch’essa criticata.

Chi al posto di Stray?

Stray fu pompato un bel po’ prima della sua uscita, in modo quasi incomprensibile. Fin dai primi trailer si poteva intuire che sarebbe stato un gioco molto carino, con un protagonista che avrebbe fatto felici i gattari di tutto il mondo, ma senza colpi di genio. L’estetica come spesso accade ha anche fatto il suo ingannando il giudizio su un titolo che, a oggi, non ha lasciato ricordi particolari. Stray è un esempio di meme che supera la realtà perché è grazie all’attenzione social che il gioco ha ottenuto una risonanza più ampia di quella che avrebbe meritato.

È un gioco da 7, quindi, è un bel prodotto, tuttavia cosa rammentiamo maggiormente di esso? A parte l’estetica già citata, ricordiamo l’impossibilità di saltare a piacimento e gli enigmi abbastanza sempliciotti. Ah, si può miagolare con la pressione di un tasto. Non è un po’ poco per entrare nelle nomination per il miglior videogioco dell’anno? Ma chi mettere al suo posto? Non pochi coloro che ritengono un’esclusione illustre quella di The Last of Us: Parte I. Bisogna però riconoscere che la sua esclusione potrebbe avere motivazioni più che valide: si tratta del remake di un gioco del 2013 che all’epoca fece già incetta di premi, la cui narrativa non è cambiata e le cui meccaniche sono state sì rifinite e modernizzate, ma sono sovrapponibili a quelle del gioco originale.

Nel 2019, fu candidato il remake di Resident Evil 2, vero, e se non ci fosse stato Sekiro, avrebbe anche vinto. Tuttavia, Resident Evil 2 è il remake di un gioco del 1998 che, se sovrapposto al suo rifacimento, non combacerebbe quasi da nessun lato. Possiamo dunque capire l’estromissione di TLOU: Parte I. Ciò che invece non comprendiamo è perché i giochi Nintendo non siano mai particolarmente presi in considerazione. Quest’anno sono usciti Bayonetta 3 e Mario + Rabbids: Sparks of Hope (leggi qui la recensione), entrambi avrebbero potuto prendere il posto di Stray. Il primo è considerato in maniera unanime come uno dei migliori action game di sempre, mentre il secondo si deve accontentare di una nomination come best family game. Uno strategico profondo come Mario + Rabbids, esattamente, dov’è che sarebbe un gioco per famiglie? È colorato, c’è Mario, quindi è per famiglie. Anche da questi dettagli si capisce che i TGA forse dovrebbero rivedere il loro atteggiamento.

Il gioco che più di tutti avrebbe meritato di essere lì è Immortality (leggi qui la recensione). L’opera più ambiziosa di Sam Barlow (Her Story, Telling Lies) è un simbolo della raggiunta maturità del medium perché la fusione tra cinema e videogioco ivi esposta ha pochi eguali, come ne ha pochi la rappresentazione di uno dei tabù ancori duri a morire nell’industria: il sesso. E proprio Immortality dimostra che le scelte dei TGA non siano spesso a fuoco, dettate più da una volontà di seguire il sentimento popolare e il cliché del videogioco come intrattenimento leggero. Immortality è molto molto molto di nicchia, mentre Stray è il gioco con un gatto, pertanto più adatto a un evento dedicato alla massa di giocatori. Poco importa che Immortality, come valore complessivo, sia dieci spanne sopra.

Cosa vogliono essere i TGA

Quest’ultimo ragionamento ci deve portare a riflettere su un dato: i TGA si basano su dei meccanismi che vanno ripensati perché, ora come ora, riflettono troppo l’industria, ma non dal punto di vista creativo, bensì da quello commerciale. Non è del tutto sbagliato, il videogioco è anche un prodotto commerciale, che sia AAA o indie, a maggior ragione i TGA devono spiegarci allora che cosa vogliono essere e cosa vogliono fare da grandi.

I TGA, da buona “celebrazione” dell’anno videoludico, devono scegliere se essere a tutti gli effetti una marchetta pubblicitaria o se provare a essere portatori di un concetto imprescindibile: esiste della critica da fare e a farla deve esserci in prima linea chi di quell’industria fa parte. Troppo semplice altrimenti pensare che per organizzare un evento così importante sia sufficiente riempire le categorie con giochi pescati a caso, tanto comunque vince il più famoso, autoproclamandosi l’evento per eccellenza sull’argomento.

Se il primo caso è quello corrispondente al vero, allora ha senso parlare di Stray come uno dei migliori videogiochi dell’anno, perché se operazione commerciale deve essere, in quella categoria puoi permetterti di inserire quel che ti pare, non essendoci assolutamente alcuna parvenza di solennità nel tuo evento, ma allo stesso tempo non puoi vendermi la celebrazione come “il momento in cui parliamo dei migliori giochi dell’anno“, Perché non ci credi nemmeno tu.

Se a essere reale è invece il secondo caso, ovvero la volontà di dare credibilità alla rassegna, è necessario che i TGA diano il giusto contesto alle proprie scelte, le motivino in modo deciso, altrimenti questa attendibilità diventa un paravento dietro cui nascondere le vere motivazioni che si celano dietro certe scelte: vendere un prodotto. Vendere se stessi come l’evento videoludico dell’anno, nonostante sia chiaro ormai che i TGA non sono altro che un E3 in forma ridotta durante il quale, tra un annuncio e l’altro, viene premiato un gioco, perché sì, altrimenti il videogioco viene visto come qualcosa di meno potente di un film che invece ha la notte degli Oscar come suo punto d’arrivo.

Sinceramente? Ai giocatori poco importa che God of War: Ragnarok vinca o meno il premio, se il gioco è bello, lo è a prescindere dalla statuetta. Pertanto, i TGA chiariscano cosa vogliono essere: uno show di intrattenimento o un luogo in cui davvero il videogioco viene trattato in modo maturo e gratificante.


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