Il mondo dei vampiri ha terrorizzato ed affascinato il mondo da quando Bram Stoker pubblicò, nel lontano 1897, il suo “Dracula“.
La cultura di massa ha trasformato il demone succhiasangue delle leggende popolari in un anti-eroe tormentato, guidato da pulsioni feroci e, spesso, vittima della sua stessa condizione di immortale.
Alcuni videogiochi sono riusciti nel cogliere appieno queste sfaccettature trasformando il giocatore in un signore della notte, donandogli poteri e tormenti di un vero vampiro.
Oggi vediamo 5 titoli stand alone, da cui (ancora) non è nata alcuna saga per provare l’ebrezza di entrare all’interno di un corpo assetato di sangue.
Sin dal suo annuncio Code Vein, sviluppato da Bandai Namco, non nascondeva la sua natura: un videogioco particolarmente derivativo che prendeva a piene mani dai titoli From Software per quanto riguardava il gameplay e dalla serie God Eater per lo stile e la resa scenica. Non a caso molti finirono per definirlo “Dark Souls, ma in stile anime”.
Quello che colpì, oltre alle meccaniche souls-like, fu subito un pesante fan-service in puro stile nipponico che, tradotto, significa numerose signorine procaci vestite di stracci senza apparente motivo. Con la sua uscita, nel maggio del 2019, Code Vein ha confermato tutti i sospetti, ma ha anche dimostrato che oltre alle apparenze c’era molto altro.
In un futuro distopico la Grande Rovina sta decimando l’umanità. Per ridurre le perdite medici e scienziati provano ad impiantare un particolare parassita nel corpo dei defunti. Funziona: i morti si rialzano e, a quanto pare, continuano a farlo indipendente da quante volte vengono uccisi.
L’immortalità di questi Redivivi, però, ha un prezzo molto alto: ad ogni rinascita il soggetto perde frammenti di memoria e, alla lunga, finisce per perdere il senno e diventare una bestia incapace di discernere il bene dal male, amici e nemici, arrivando ad uccidere persino le persone che ama di più.
L’unico modo per evitare il decadimento mentale è nutrirsi costantemente di sangue umano. Nonostante i pericoli i redivivi vengono schierati sul campo di battaglia, in guerra contro una misteriosa entità chiamata Regina. Sconfiggendo l’essere, però, la situazione precipita ancora di più: una foschia rossa imprigiona la capitale rendendo impossibile scappare.
Umani e redivivi si trovano confinati in un unico luogo e, ben presto, la fame dei non morti prende il sopravvento. Gli umani vengono decimati, i pochi superstiti imprigionati ed utilizzati come bestie d’allevamento per sfamare i redivivi più potenti e violenti.
Il nostro protagonista senza nome e (come tradizione giapponese) senza voce è un redivivo come tanti che, tuttavia, nasconde alcune doti uniche: può assorbire il DNA di altri redivivi e, soprattutto, può purificare alcune fonti di sangue sparse per tutta l’area di prigionia. Quest’ultima dote è vitale, con il nostro contributo i redivivi potrebbero avere cibo a sufficienza da evitare ulteriori conflitti e la prigionia degli umani.
Una storia sul vampirismo particolare anche solo per l’ambientazione: un futuro post apocalittico con moltissimi tratti steampunk. I canini aguzzi sono sostituiti dai “veli di sangue”, estensioni artificiali come artigli o code con cui i redivivi possono prosciugare qualunque avversario.
Il gameplay pur se, come detto, particolarmente simile ai Souls, con combattimenti all’arma bianca guidati dalla stamina, offre una meccanica unica legata proprio alla dote del nostro personaggio. Raccogliendo codici genetici in giro per il mondo o dai ricordi perduti dei proprietari è possibile apprendere ed immagazzinare poteri di ogni tipo: da sfere di fuoco da scagliare sui nemici a boost alla velocità.
La build stessa non è legata a punti da assegnare ad ogni livello, ma varia in base al codice genetico “equipaggiato”. In ogni momento della partita è possibile cambiare improvvisamente, ad esempio, dall’essere un veloce e fragile incantatore al divenire un resistente tank in grado di incassare decine di colpi.
Un’innovazione nella progressione che offre un tratto distintivo alla produzione e che riesce a trasmettere il vero senso del vampirismo: nutrirsi di altre creature per acquisire maggior potere. Il giocatore viene travolto dalla voglia di immagazzinare qualunque potenziamento, anche il più superfluo, con la conseguente voglia di raccogliere i ricordi ed i resti sparsi in giro per la mappa.
Da non sottovalutare anche la narrazione che, pur se in molti tratti prolissa e non particolarmente brillante nella resa, offre punti di vista veramente interessanti, colpi di scena inaspettati ed approfondimenti emotivi inaspettati che potrebbero suscitare ben più di un brivido.
Dopo grandi saghe è il momento di parlare di un piccolo titolo che negli ultimi mesi ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con un concept semplice quanto geniale.
Vampire Survivors, ancora in accesso anticipato su Steam, è frutto del lavoro di Luca Galante, sviluppatore italiano ormai trasferitosi in Inghilterra da oltre dieci anni.
Richiama molto i primissimi Castlevania sia per la pixel art che per l’impatto visivo: un protagonista che a colpi di frusta tiene a bada orde di demoni. Del resto, è stato composto con asset riutilizzati proprio dai Castlevania in 2D e da elementi di RPG Maker. Un budget bassissimo, quindi, che ha ripagato con un successo mondiale.
Il gameplay consiste in un roguelike in cui il giocatore deve fare un’unica cosa: spostare il personaggio attraverso lo schermo cercando di evitare l’attacco di mostri e creature che lentamente, quanto inesorabilmente, invadono tutto il campo visivo.
Il personaggio attacca automaticamente. Per potenziare i colpi è possibile trovare, uccidendo le creature, upgrade di ogni tipo: si va da semplici oggetti che velocizzano il ritmo dei colpi a nuove armi che si aggiungono alla principale, fino ad arrivare a creare, con un minimo di esperienza, sinergie uniche tra i vari strumenti di morte.
Lo scopo del gioco è quello di resistere alle orde per 20 minuti o più, talvolta raggiungendo determinati punti della mappa per sbloccare personaggi, armi ed arene successive.
Quello che sembra un loop ripetitivo e fin troppo semplice si trasforma, pad alla mano, in una vera e propria droga. I minuti del cronometro passano senza che il giocatore se ne renda conto, troppo preso dal cercare potenziamenti o ad evitare le orde di mostri che si avventano sul personaggio.
Ogni partita è unica in base alle combo di strumenti recuperati e ogni Game Over porta con sé la malsana voglia di iniziare un’altra partita.
Il senso di progressione è più che concreto visto che ad ogni nuova run si accumulano soldi utili a sbloccare nuovi personaggi e poteri, potenziando anche protagonisti ed oggetti per la partita successiva.
Si aggiunge, e non è da sottovalutare, lo spirito italiano che pervade l’opera: così i Belmont diventano i Belpaese, uno scheletro è chiamato Mortazzo ed è possibile scagliare letali pozioni chiamate “La Borra”.
Dettagli che strappano inevitabilmente un sorriso al giocatore italiano, soprattutto pensando a quanti stranieri leggano i nomi inconsapevoli della loro profonda e recondita lore.
Associare Skyrim ai vampiri non è un collegamento immediato. Eppure, il grande successo di Bethesda offre ben più di una semplice soddisfazione a tutti gli appassionati delle sanguisughe.
C’è da premettere che nella versione vanilla del titolo, pubblicato nel 2011, il vampirismo non era una meccanica che balzava all’occhio facilmente. Mentre per diventare licantropo bastava seguire una delle primissime quest, diventare vampiro aveva un procedimento che il giocatore poteva non apprendere mai.
Nelle lande di Skyrim, di notte o in qualche grotta, era possibile affrontare gruppi di vampiri aggressivi. Prevalentemente stregoni reietti con un particolare potere in grado di assorbire la salute dell’avversario. Se colpito per troppo tempo da questo potere il personaggio poteva contrarre il morbo dei suoi aggressori.
Fortunatamente era piuttosto raro che questo avvenisse perché diventare vampiro garantiva quasi esclusivamente malus per il giocatore.
Se il personaggio non riusciva a nutrirsi di un essere umano ogni giorno i suoi lineamenti cambiavano e questo rendeva aggressive guardie e popolani rendendo impossibile il normale proseguimento e garantendo qualche freccia nel ginocchio. Sfamarsi non era così semplice, pur guadagnando il potere di sottomettere comprimari per renderli docili al morso: la procedura doveva avvenire di nascosto o il risultato sarebbe stato comunque una freccia nel ginocchio da qualunque guardia.
Inoltre, conveniva spostarsi solo la notte perché con il sole le barre di magika e stamina non si ricaricavano lasciando il personaggio privo di qualunque difesa in poco tempo. In aggiunta c’era anche una maggior debolezza al fuoco… che per un gioco in cui i nemici principali sono draghi non è un gran biglietto da visita.
L’unico bonus era il potere di assorbire l’energia vitale dai nemici, ma abbastanza mediocre come potenziale offensivo. Per fortuna la cura era relativamente facile da ottenere.
L’arrivo dell’espansione Dawnguard, nel 2012, ha cambiato tutto.
Il DLC è completamente dedicato ai dawnguard, cacciatori di creature della notte. Il giocatore ora può scegliere se schierarsi con questi eroi armati di argento e balestre, oppure tradirli unendosi al castello di lord Harkon, signore dei vampiri.
Con questa scelta il personaggio può ricevere anche una nuova trasformazione in “Signore dei Vampiri”. Questa meccanica è molto simile alla trasformazione in licantropo: una volta al giorno si può utilizzare il potere e diventare una creatura mostruosa con ali da pipistrello, una stazza superiore a qualunque essere umano e poteri magici avanzati, tra cui il consueto risucchio vitale.
Il signore dei vampiri non deve sottostare agli stessi malus dei comuni succhiasangue, il sole non lo danneggia se non quando è trasformato e la sua malattia non è visibile dai comuni abitanti di Skyrim. Inoltre, con l’espansione il giocatore può facilmente trovare comode pozioni che, se bevute, sostituiscono in tutto e per tutto il sangue senza dover rischiare la reputazione mordendo passanti.
La quest di Harkon fornisce anche armi ed armature a tema, oltre ad un arco leggendario che se puntato verso il sole può oscurarne la luce garantendo alle creature della notte di poter agire indisturbate.
Quel che è più importante è che Dawnguard costruisce una lore ed una narrativa al vampirismo ispirando nel giocatore la malsana voglia di bere sangue corrotto e terrorizzare il mondo.
In tema di espansioni anche The Witcher 3: Wild Hunt basa un intero contenuto aggiuntivo sui vampiri.
Il titolo principale, pur narrando la storia di un cacciatore di mostri in un medioevo fantasy, ha trattato solo in maniera tangente. Il giocatore affronta qualche creatura minore come una Bruxa, progenie vampirica priva di intelletto, ma mai un essere eterno e razionale. I vampiri superiori restano figure quasi leggendarie.
L’espansione “Blood and Wine”, pubblicata nel 2016 dopo un anno dal capolavoro di CD Project Red, ha aggiunto ore di contenuto, un’intera regione da visitare, una nuova storyline principale, sub-quest e tantissimi nuovi equipaggiamenti.
La trama è ambientata dopo le vicende del gioco base. A Geralt viene offerto un contratto dalla duchessa Anna Henrietta, governante di Toussaint, un ducato famoso per i suoi vigneti e le esportazioni di vino ed ispirato, ovviamente, alla Francia medievale. Due cavalieri di Toussaint sono stati assassinati in strane circostanze e Geralt ha il compito di trovare e uccidere il mostro responsabile della loro morte.
Le indagini, però, portano Geralt ad affrontare un vampiro superiore, Dettlaff van der Eretein, “la Bestia” che compie gli efferati omicidi per tutta Toussaint. Così lo strigo è costretto a inoltrarsi nel mondo delle tenebre alla ricerca della storia del nuovo rivale e le motivazioni che lo spingono a mettere in ginocchio un intero ducato.
E’ proprio qui che la storia diventa appassionante, ben più articolata della trama principale del titolo. Analizzando l’antagonista è impossibile non empatizzare con lui, non arrivare a comprendere quello che fa, persino quando scatena un’orda di demoni sulla capitale. Dettlaff incarna in tutto e per tutto la visione moderna e tragica del vampiro, un essere eterno con sentimenti ancora umani, ma amplificati.
Chiunque si sia emozionato sentendo, nel “Dracula” di Coppola, “Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti”, non può non amare il personaggio e la sua storia. Per fortuna il gioco offre delle belle scelte morali che cambiano molto l’esperienza.
L’introduzione delle creature della notte arricchisce anche il gameplay. Rispetto alle altre creature affrontate nel gioco base, i vampiri e la loro progenie sono avversari agili e letali, bastano pochi colpi per finire k.o. ed è particolarmente difficile colpirli. Uno stacco netto che porta nuovo interesse verso il combat system del titolo che, concludendo tutta la campagna principale, potrebbe risultare ripetitivo e monotono.
Quando DontNod, software house resa celebre da “Life is Strange“, annunciò lo sviluppo di un titolo prevalentemente action a tema vampiri le preoccupazioni furono maggiori delle aspettative: si trattava della prima prova in un videogioco d’azione.
Vampyr uscì nel 2018 e, malgrado i difetti annunciati, si rivelò essere uno dei titoli più immersivi basati sui vampiri, pur se ancora oggi molto sottovalutato e generalmente ignorato.
Siamo nella Londra del 1918. Mentre in tutta Europa la Grande Guerra per le strade si combatte un nemico ancor più letale ed insidioso: l’influenza spagnola. Jonathan Reid, medico specializzato in malattie ematologiche e impegnato sul campo, torna in città per salutare la madre malata.
L’uomo si risveglia improvvisamente in una fossa comune, sua sorella è accanto a lui e si stupisce di vederlo sveglio. Non la riconosce, sente una fame lacerante, un impulso frenetico: azzanna il collo della donna e la dissangua. Resosi conto di quanto accaduto tenta il suicidio, ma sembra incapace anche di morire.
E’ così che il nostro protagonista muove i primi passi come vampiro in una Londra falcidiata dall’epidemia. Jonathan viene catapultato in una vita maledetta, braccato da una setta di cacciatori e senza alcun ricordo di quanto avvenuto prima del suo risveglio.
Il giocatore dovrà impersonare questo medico vampiro mentre da una parte cerca il responsabile della sua trasformazione e dall’altra mette in campo tutte le sue conoscenze mediche per trovare una cura al morbo che lo affligge.
Le indagini di Jonathan sono la parte più riuscita dell’intero titolo. Il neo-vampiro deve incontrare personaggi sparsi in ogni parte di Londra, estorcere loro informazioni e conoscere le loro vite. E’ qui che la fame entra in gioco: Jonathan è costantemente combattuto tra la voglia di prosciugare chiunque incontri ed il giuramento di Ippocrate che gli impone di non ferire nessuno.
Sta al giocatore decidere le sorti di pressappoco tutti i personaggi incontrati, diventando quasi giudice delle loro esistenze. Chi merita di vivere ed essere aiutato? Chi invece è buono solo come pasto? Criminali e corrotti, pazienti in fin di vita e colleghi rivali, solo parlando con loro e arrivando ad una conoscenza completa è possibile prendere la decisione fatale.
Una scelta che ha ripercussioni anche sul gameplay. Bevendo sangue Jonathan può diventare potentissimo anche sul campo di battaglia, acquisendo sempre più poteri vampirici e possanza fisica (che, in game, si traduce in numerosi punti abilità da spendere su uno skill-tree particolarmente ramificato). Viceversa, scegliendo la via del digiuno il medico conserva intatta la sua etica, ma resta debole rendendo ogni scontro molto più complesso e frustrante.
Proprio riguardo le fasi action troviamo le maggiori criticità.
Jonathan nel corso della sua ricerca deve spesso confrontarsi con cacciatori ed altri vampiri o, persino, con entità più potenti. Gli scontri si traducono in combattimenti all’arma bianca che, in parte, emulano il combattimento dei soulslike: fendenti e schivate sono gestiti tramite la barra della stamina. Le armi secondarie offrono una maggiore varietà tra pistole, utili principalmente a stordire gli avversiari (Bloodborne style), paletti da conficcare nel petto dei vampiri e pugnali da lancio.
E’ possibile anche scagliare poteri, ad esempio stalattiti di sangue condensato, che possono essere ricaricati bevendo il sangue dei nemici direttamente sul campo.
Purtroppo, però, le animazioni sono scarne e l’intero sistema di combattimento risulta legnoso. Jonathan è lento e, molto spesso, i combattimenti si risolvono con la pressione ripetuta del tasto di attacco. I combattimenti risultano spesso noiosi intermezzi alle fasi più discorsive e narrative.
Altre pecche vanno sicuramente riscontrate nella grafica, con un comparto tecnico particolarmente anziano, e nella stessa narrazione, troppo spesso affidata solo ai dialoghi con i vari comprimari senza una reale regia. Insomma, i difetti principali di Vampyr possono essere collegati al basso budget a disposizione della casa francese e sarebbero stati risolti con un investimento da tripla A.
Tuttavia, la storia di Jonathan Reid è così travolgente da far dimenticare qualunque difetto. Il giocatore è così assorto nelle scelte morali e nella voglia di scoprire di più sul mondo dei vampiri londinesi che sorvola anche sui combattimenti ingessati.
Vampyr è il primo concreto tentativo di trasportare il vampiro letterario nel mondo dei videogiochi. Il turbamento interiore, la contrapposizione tra potere ed etica, la stessa ambientazione cittadina sono tutti dettagli che sembrano presi direttamente da un romanzo di Anne Rice.
In questo caso, però, è solo il giocatore ad avere l’ultima parola sulla tragica esistenza del vampiro e delle persone che ama.
This post was published on 31 Ottobre 2022 10:30
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