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Speciali

Alla scoperta della setta dietro la nascita degli Assassin’s Creed | #Lore+

E’ il 28 aprile del 1192 e Corrado di Monferrato celebra, a Tiro, la sua incoronazione come re di Gerusalemme. Un titolo formale, dato che la città santa è stata espugnata ed occupata da Saladino, ma Corrado è un guerriero: ha ottenuto il trono riconquistando San Giovanni d’Acri e persino Riccardo Cuor di Leone ha dovuto inchinarsi. Riprenderà Gerusalemme, costi quel che costi.

Riceve con due emissari che devono recapitargli un messaggio urgente, sono musulmani, indossano abiti bianchi ed oro. Legge il messaggio, non si accorge che i due hanno estratto delle lame nascoste nelle maniche. I colpi sono precisi, Corrado può sentire solo una lama attraversargli la gola, non può urlare per chiamare aiuto e, in pochi secondi, il re di Gerusalemme smette di respirare. Prima ancora che le guardie si rendano conto i due emissari sono scomparsi nel nulla, lasciando solo un cadavere sul trono.

Sembra il trailer di un nuovo Assassin’s Creed, ma è quanto accadde quel giorno. Così il mondo occidentale conobbe per la prima volta la setta degli assassini.

Le origini: agire nell’ombra per servire la luce

La storia degli assassini inizia con la nascita della religione musulmana.

Dopo la morte del profeta Maometto la nuova religione da lui fondata subì un profondo scisma: da un lato i Sunniti, legati ad una interpretazione letterale e chiusa del Corano, e, dall’altra, gli Sciiti, più progressisti ed aperti.

Ismailiti ricevuti a corte

Quest’ultimo creò la setta degli Ismailiti. Si trattava di una rete di spie ed agenti sparsa in tutto l’Islam: carpivano informazioni sugli attacchi dei Sunniti, sabotavano, raccoglievano consensi e, se necessario, uccidevano.

Credevano che con le loro azioni avrebbero portato giustizia e pace nel mondo islamico, liberandolo dagli oppressori Sunniti ed inaugurando una nuova era di equità e di luce.

Gli Ismailiti, pur di inseguire i loro obiettivi, non disprezzavano anche la collaborazione di cristiani ed ebrei. Anzi, si dimostravano più tolleranti con le altre religioni che con altri musulmani di dottrine differenti.

Malgrado i loro sforzi, però, gli ismailiti non riuscirono ad arginare il potere sunnita. I selgiucidi, antica dinastia turca, si convertirono all’Islam ed abbracciarono la dottrina più repressiva e chiusa. Grazie alla loro influenza, nella seconda metà dell’XI secolo, tutto il Medio Oriente venne controllato dai sunniti.

Il primo Mentore

In quegli anni uno studente diciassettenne originario della Persia, Hasan-i Sabbah, si poneva le prime domande sulla fede e sul suo posto nel mondo. Conobbe un missionario ismailita e fu subito attratto da quel culto così misterioso, quasi eretico in quei tempi bui, che parlava di costruire una nuova era di pace a qualunque prezzo.

Hasan-i Sabbah

Si unì alla setta e, grazie al suo acuto intelletto, scalò in soli 6 anni i ranghi della gerarchia ismailita. Si trasferì al Cairo, dove i capi del culto mantenevano una fragile influenza. Hasan capì subito che quella dottrina che aveva abbracciato con tanto ardore stava morendo: l’Egitto era afflitto da anni di carestia e povertà, l’ultimo baluardo degli ismailiti stava crollando.

Così partì per ritornare in Medio Oriente con la ferma convinzione di riconquistarlo. Passò 10 anni in Persia, raccogliendo seguaci, informazioni ed alleati. Si sa poco di quel decennio e di cosa fece per guadagnare potere, ma, di fatto, in quel periodo conquistò il soprannome di “Signore delle daghe”: ci sono pochi dubbi sui suoi metodi…

Hasan riapparve nel 1090 quando con un manipolo di ismailiti conquistò il castello di Alamut, una inespugnabile fortezza in cima ad una catena montuosa nell’odierno Iran. Il nome stesso della roccaforte significa, in arabo, “Nido delle aquile”.

Alamut fu conquistato senza alcuna battaglia, nessun assedio. Per mesi gli uomini di Hasan si fecero strada nelle fila nemiche con omicidi e corruzione. Quando il condottiero prese possesso della sua nuova dimora la guarnigione sulle mura non fece altro che aprirgli le porte e salutarlo come nuovo leader.

Fu così che Hasan, da giovane accolito, si trasformò in un Gran Maestro della setta. Da lui in poi la setta iniziò a nutrire una vera a propria venerazione per i propri capi, attribuendo loro poteri mistici ed abilità sovrannaturali.

Per quanto amato e venerato dai suoi seguaci, il Signore delle Daghe era anche spietato e intransigente. Faceva rispettare la legge a qualunque costo, anche pagando con il sangue del suo sangue. Si racconta che giustiziò entrambi i suoi figli, uno accusato di omicidio e l’altro colpevole solo di aver bevuto vino.

Nulla è reale, tutto è lecito

Alamut era solo un piccolo tassello: gli ismailiti non avevano un esercito tale da affrontare in campo aperto i selgiucidi. Hasan non voleva mandare i suoi uomini al massacro e le sue daghe erano ancora molto affilate.

I capi selgiucidi iniziarono a morire uno dopo l’altro in misteriosi attentati. Lo stesso sultano, Malik Shah, si ammalò e morì nel giro di una notte a causa di un morbo misterioso. Le lotte per la successione distrussero quel che restava del regno selgiucide e gli ismailiti tornarono a espandersi, conquistando tutta la Persia senza una singola battaglia.

Intanto, però, anche in Egitto si assisteva a lotte per il potere. Gli ismailiti del Cairo si divisero e Abu Mansur Nizar era il preferito per il trono. Hasan gli giurò la sua fedeltà ed il suo appoggio, ma, nel 1095, il pretendente venne assassinato dai suoi rivali.

Hasan non volle sottomettersi ai nuovi signori degli ismailiti e si allontanò definitivamente dall’antico culto. Il suo nuovo credo prese il nome dal capo assassinato: i nizariti. Ormai staccatosi dal Cairo, il Signore delle Daghe decise di estendere la sua influenza oltre la Persia, in Siria e Palestina.

In quegli anni, però, il mondo subiva un evento che nemmeno il saggio Hasan avrebbe potuto prevedere: le crociate. Con i cristiani in armi in Terrasanta l’espansione dei nizariti dovette subire una brusca battuta d’arresto.

Nel 1124, Hasan-i Sabbah, morì di malattia a oltre 90 anni, nel castello di Alamut che era stato l’origine della sua gloria.

La situazione in Terra Santa rimase in stallo fino al 1160, quando il comando dei nizariti passò a Rashid al-Din Sinan. Si trattava di un asceta, un eremita che fino a quel momento aveva scelto una vita ritirata tra le montagne. I seguaci credevano avesse il dono della preveggenza ed altri poteri magici.

Il Vecchio della Montagna

Di certo “il Vecchio della Montagna”, come venne ribattezzato, vedeva qualcosa in più nell’occupazione cristiana: un’opportunità. Grazie a lui i nizariti iniziarono a stringere accordi con i crociati e divennero persino contribuenti dei cavalieri templari, ai quali versavano ingenti somme di danaro per poter svolgere le loro attività in sicurezza.

Requiescat in pace

Aver scelto la via della diplomazia e degli accordi non significava che le lame dei nizariti si fossero smussate. E’ proprio in quegli anni che la loro fama di assassini spietati ed implacabili si accentuò, arrivando ad affascinare e terrorizzare anche l’Europa.

Il Vecchio della Montagna fosse preoccupato per l’ascesa di Saladino, sultano che riunificò l’Islam e strappò Gerusalmme ai cristiani. Per due volte inviò i suoi sicari, ma il condottiero sventò entrambi gli attentati. Furente assediò il castello di Masyaf, sede operativa dei nizariti in Terrasanta.

Si racconta che, nella notte, Sinan stesso si introdusse nella tenda di Saladino senza essere visto e lasciò accanto al letto del sultano addormentato una daga avvelenata. Di fatto, le truppe di Saladino ripiegarono all’alba ed il condottiero non osò mai più sfidare il Vecchio della Montagna.

I nizariti potevano uccidere chiunque, entrare in qualunque palazzo o fortezza. Spietati e inafferrabili come il fumo. Non c’era conte, re o sultano che poteva sentirsi al sicuro. Il tutto con la tolleranza, mista a timore, di crociati e musulmani.

La setta venne travolta, però, da un nuovo evento storico di proporzioni epocali. Nel 1256 i mongoli calarono sul Medio Oriente e la loro avanzata travolse la fortezza di Alamut. I nizariti sopravvissuti si dispersero in giro per il mondo.

Eppure, nonostante la loro formale scomparsa, per secoli continuarono a girare voci su di loro. Ci sono persino fonti secondo cui nel 1270 Edoardo I di Inghilterra, in procinto di condurre la nona crociata, fu raggiunto da alcuni “messaggeri” nizariti e, subito dopo l’incontro, decise di rinunciare alla sua campagna e tornare in patria senza alcuna conquista.

Assassini o drogati?

I nizariti non vengono definiti i primi “assassini” solo per le loro particolari abilità, ma anche e soprattutto perché la parola stessa ha origine da loro.

In molte fonti la setta viene definita col termine al-Hashīshiyyūn che in arabo significa “coloro che sono dediti al consumo di hashish”. Cosa c’entra la droga con una setta religiosa?

E’ molto probabile che i nizariti, prima di missioni particolarmente impegnative, facessero largo uso di oppiacei per alleviare il dolore e rafforzare la propria convinzione. Non sarebbe un evento raro nella storia: i berserker vichinghi assumevano allucinogeni per continuare a combattere anche se feriti a morte e come non ricordare l’LSD diffuso in tempi molto più recenti ai soldati in Vietnam.

Ad accusare i nizariti di abuso di hashish fu anche Marco Polo che ne “il Milione” racconta anche della sua visita al castello di Alamut. Secondo il racconto del veneziano la fortezza era un vero e proprio paradiso terrestre, con lussi di ogni tipo. Il capo, conosciuto come “Vecchio della Montagna”, era il primo a costringere i suoi uomini ad assumere stupefacenti per affrontare la paura della morte.

Tuttavia, il viaggio di Marco Polo si svolse tra il 1271 ed il 1295, quindi molti anni dopo la caduta di Alamut. E’ improbabile, quindi, che il mercante veneziano abbia potuto visitare un castello caduto in mano ai mongoli 20 anni prima e, soprattutto, che fosse guidato da Sinan, il Vecchio della Montagna, vissuto oltre un secolo prima.

Probabilmente Polo ha raccolto una serie di leggende e voci raccolte percorrendo quella terra e le ha riportate come attuali e vissute in prima persona.

Non sapremo mai se i nizariti fossero o meno drogati, ma, ormai, la parola “assassino” è entrata nell’uso comune grazie a questa leggenda metropolitana ante litteram.

Batman, l’ultimo nizarita

La storia dei nizariti ha ovviamente influenzato la cultura di massa e la serie “Assassin’s Creed” ne è l’esempio più lampante. Tuttavia, la saga Ubisoft non è l’unico universo in cui il fascino degli assassini ha lasciato il segno.

Già nel 1968 la DC Comics introduceva, nella serie Strange Adventures, la “Setta delle Ombre” o “Lega degli assassini”. Si tratta di un gruppo di fanatici pronto a tutto pur di portare la pace, anche a costo di compiere massacri, e punire il male. Nascono proprio con lo scopo di porre fine ai conflitti in Medio Oriente.

In tutto e per tutto la setta ricorda molto quella dei nizariti, sia per i metodi utilizzati sia per gli ideali perseguiti. E’ evidente l’ispirazione alle antiche storie del castello di Alamut e dei suoi assassini.

Il loro capo è Ra’s al Ghul, immortale, spietato e dotato di innaturali poteri mistici. E’ una delle nemesi principali di Batman, ma, in molte linee narrative, è anche il maestro del Cavaliere Oscuro.

Infatti, anche la trilogia di Nolan mostra che il giovanissimo Bruce Wayne, deciso a vendicare la morte dei genitori combattendo il crimine, raggiunge una catena montuosa in Iran ed entra a far parte della setta di Ra’s al Ghul.

Qui viene addestrato al combattimento e temprato nello spirito, anche con l’aiuto di sostanze stupefacenti (ecco che ritorna l’hashish tanto caro alla setta). Quando il futuro difensore di Gotham si rende conto dei metodi spietati del suo mentore decide di prendere una strada diversa e contrastare la setta.

Ra’s al Ghul è anche uno degli antagonisti principali nel videogioco “Batman: Arkham City”, dove, in generale, la setta ha un ampio spazio narrativo. Filone che si conclude solo nell’ultimo capitolo della saga Rocksteady, con un DLC apposito in cui il giocatore dovrà scegliere il destino di Ra’s e del suo culto.

A quanto pare, che indossino una maschera nera o un cappuccio bianco, che usino batarang o lame celate, i nizariti continuano a sopravvivere nella nostra cultura. Una prova concreta del terrore e dello stupore che sono riusciti a suscitare nei due secoli in cui hanno “agito nell’ombra per servire la (loro) luce”.

This post was published on 27 Dicembre 2022 12:30

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