BeccoGiallo Edizioni è una casa editrice italiana – trevigiana d’origine, padovana di residenza – che certamente risulterà già nota a una parte dei lettori. Attiva dal 2005, si è fatta notare per i suoi fumetti di graphic journalism e biografie, il cui fil rouge è rappresentato dai temi sociali e politici delle vicende narrate. La strage di Bologna e quella di Capaci, la vita di Anna Politkovskaja, Sòcrates, Rosa Parks, questi alcuni dei soggetti per il publisher premiato nel 2007 come Migliore Iniziativa Editoriale dell’anno a Lucca Comics & Games.
E adesso arriviamo ai videogiochi.
Da qualche anno Beccogiallo dedica dei volumi di natura enciclopedica al mondo dell’intrattenimento, dell’audiovisivo, e più in generale alla cultura pop.
Rientra in questo piano editoriale Il mio primo dizionario dei Videogiochi Cult, testo di 440 pagine di dettagli e curiosità su 25 titoli di culto del medium videoludico, partendo dagli anni ’70 per giungere ai giorni nostri.
C’è forse qualcosa di dissonante in un’enciclopedia cartacea di videogiochi: sarà per il distacco atavico tra i due media, il dato di cellulosa contro quello digitale, il vecchio che cerca di imprimere il nuovo attraverso l’inchiostro quando il sapere videoludico è reperibile facilissimamente online, eppure si svela presto il rimando a quell’antico tratto genetico quasi del tutto perduto del videogiocare che è il libretto di istruzioni, guida di sopravvivenza, glossario rivelatore, strumento a volte indispensabile di completezza ludica e narrativa.
Ed ecco, è proprio così che vuole porsi Il mio primo dizionario dei Videogiochi Cult, come uno spesso manuale di istruzioni per l’appassionato che voglia conoscere, ricordare, o riscoprire alcuni dei giochi che, nell’opinione dei due autori, hanno lasciato un’influenza importante sul mondo del gaming. Vediamo come.
Sfogliando il libro notiamo subito che non sono solo parole a riempirlo. Insieme agli scrittori Luca Bagnasco e Andrea Stella, i credits del lavoro sono da attribuire a Tommaso Calzavara, disegnatore: ogni capitolo infatti si apre con un’illustrazione che trasporta i soggetti del gioco trattato all’interno di una cameretta o di una sala giochi – i due templi del gaming.
I disegni, linee leggere in bianco e nero, raffigurano i personaggi e gli elementi principali che verranno approfonditi nei paragrafi che seguono, e il risultato è efficace e piacevole da vedere. Lo stesso non può dirsi della copertina, per rimanere in campo grafico: poco armonica, confusionaria nel layout, trasmette un’impressione di superficialità che cozza col validissimo contenuto del volume – e lo sappiamo che non si giudica un libro dalla copertina, ma è anche vero che abbiamo tra le mani un connubio di testo e immagini, viene quindi difficile non farci caso.
I capitoli procedono in ordine cronologico: il primo gioco a figurare è il mitico e mitologico Space Invaders di Taito, l’ultimo è Death Stranding, in mezzo ci sono quarant’anni di un medium che passa dalla nicchia ai luoghi pubblici al mondo intero. Per ogni titolo, cinque sezioni d’analisi: Tutorial, Lore, Gameplay, Eredità, Fun Facts – tutte interessanti e stimolanti, tranne una.
Tutorial ci presenta non solo il gioco, ma anche il contesto storico videoludico all’interno del quale è stato creato, incipit stimolante e necessario, a sottolineare come il videogioco non sia e non sia mai stato un mero oggetto di consumo fuori contesto, ma piuttosto un’opera di ingegno che incarna ed esprime il suo tempo e che partecipa passivamente e attivamente agli eventi del mondo.
Le pagine di Lore si concentrano sull’esposizione degli elementi che formano l’universo di gioco, i temi ricorrenti, la storia, i personaggi; Eredità cerca il lascito dell’opera, tanto all’interno dell’eventuale serie che come influenza per altri lavori; Fun Facts chiude con leggerezza ogni capitolo attraverso curiosità e dettagli particolari.
Tutto è scritto con dedizione ed entusiasmo, la divulgazione è eccellente e il testo si rivela un ottimo strumento di conoscenza. C’è una sezione che non ho ben compreso ed è Gameplay la quale, è evidente, tenta di spiegare le meccaniche ludiche.
Qui la dissertazione ha utilità altalenante: ha senso quando è meno tecnica, meno matematica, e ambisce a incuriosire affrescando un quadro generale coi tratti contraddistintivi del gioco (vedi il capitolo su Monkey Island, uno dei più brillanti della raccolta); appare invece goffa quando interpreta la spiegazione in chiave didascalica, si sofferma sui controlli, un esercizio d’istruzione superfluo che poco ha, paradossalmente, di ludico.
Immaginiamo di dover illustrare il gioco del calcio a una persona che non ne abbia mai sentito parlare: accenderemmo la sua curiosità parlandogli dello slancio acrobatico del portiere, della corsa per il campo, degli stadi urlanti nelle città, o tentando di spiegargli il 4-4-2 e la marcatura a zona?
Il videogioco, come diversi altri mezzi ludici, rifugge spesso la scolarità; è esperienziale e quindi fonte di una conoscenza empirica, intuitivo anche nel più complesso dei casi: tanto Mortal Kombat quanto Metal Gear Solid sono più comprensibili provandoli, giocandoci, che attraverso istruzioni. I
l motivo per cui Il mio primo dizionario dei Videogiochi Cult indugi in questi dettagli è presto detto, intuibile fin dal titolo.
Il target al quale il libro si rivolge: da una parte ammicca ai nostalgici che con almeno una parte dei 25 giochi cult scelti sono cresciuti, agli appassionati avidi di conoscere quanto più possibile sui loro amori digitali; dall’altra punta ai più giovani, a chi invece quei giochi non li ha mai provati, ed è su questo piatto che la bilancia riceve un peso maggiore.
Dovendo istruire dei lettori con poca esperienza nelle dita e ancora poche letture in testa, lo stile della scrittura si modella a semplicità, accompagna con troppa presenza, indugia nella didattica, e così facendo non osa.
Esulando dal libro in questione e parlando in generale, si tratta a mio parere d un vecchio problema dell’informazione videoludica, che appare spesso ossessionata da quei modi remissivi tipici dell’immaginario dei primi nerd da console. Il pubblico è invece in continua evoluzione, proprio come la società digitale in cui viviamo e proprio, guarda caso, come i videogiochi: il pubblico è mutato e muta.
Gli autori hanno scritto bene, con tanto di quell’amore per il videogioco da poterci riempire altri dieci libri, il loro lavoro si legge che è un piacere, straripa di dettagli e aneddoti che hanno lasciato sorpreso anche un veterano del joypad come il sottoscritto: sarebbe allora potentissimo se osassero di più, al di là del target di riferimento principale, se abbandonassero l’accondiscendenza esplicativa in nome di un maggiore impressionismo, di una più spiccata personalità stilistica.
Il mio primo dizionario dei Videogiochi Cult è un testo che farebbe bella figura nella biblioteca di qualsiasi gamer, una collezione di dati e nozioni notevole, opera di videogiocatori-scrittori appassionati e competenti che hanno saputo trasmettere conoscenza ed entusiasmo riguardo a questo nostro grande amore, il loro, il mio che scrivo questo articolo, il vostro che lo state leggendo. Un ottimo punto di partenza dal quale sviluppare altri lavori, con la stessa encomiabile dedizione, per diffondere il meraviglioso verbo videoludico.
This post was published on 22 Ottobre 2022 12:30
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