Di videogiochi noir ce ne sono e ce saranno sempre troppo pochi. Dovrebbero farne di più, o forse no, si rischierebbe un’inflazione che ci porterebbe a odiarli… o forse no. Insomma, a me il genere piace in tutte le sue forme, dal cinema alla letteratura passando ovviamente per i videogiochi e per questo vorrei vedere più titoli come L.A. Noire e Heavy Rain, molto diversi tra loro, un open world da un lato, un’avventura lineare con scelte e conseguenze dall’altro. Entrambi particolarmente ispirati nel costruire una storia non inchiodata sui cliché del genere che la massa ha ben stampati in testa: il detective che si dà all’alcol dopo un caso particolarmente sfortunato o una perdita dolorosa, l’ambiente malavitoso degli anni ’30 con i gangster a fare il buono e il cattivo tempo in città, la femme fatale che fa il doppio/triplo gioco.
Se poi vogliamo farci un po’ male coi ricordi, allora facciamolo rivestendo i panni di Max Payne, il poliziotto nato dalla “penna” di Remedy. Max Payne è probabilmente il titolo che ha gettato le basi per il genere noir nel videogioco mostrando maggiormente le sue declinazioni più violente e oscure. Infatti, se vogliamo davvero tornare indietro nel tempo e cercare un noir old school, dobbiamo farlo attingendo dalle avventure grafiche della LucasArts, in particolar modo Grim Fandango che puntellava la sua storia originale proprio con molti dei cliché sopra citati.
Ho citato solo quattro giochi, ma questi sono talmente differenti tra loro da riuscire a proporre quasi tutte le sfumature del genere noir che, a conti fatti, è una variante del poliziesco; questo però spesso e volentieri viene accomunato al giallo e al thrilling che sono ulteriori varianti del noir. Inoltre, in base alla tematica affrontata e a come questa viene proposta può essere ulteriormente suddiviso in altri sottogeneri, come l’hard boiled (maggior quantità di azione e rappresentazione realistica del sesso e dei crimini) e il pulp (una sporta di declinazione splatter del noir).
Come vedete, il noir è molto più complesso e sfaccettato di quanto si pensi, pertanto sarebbe possibile creare tantissime belle storie in grado di distinguersi grazie all’interazione unica del videogioco. Ed ecco che arriviamo al punto: il genere noir nel videogioco sta vivendo un periodo abbastanza florido grazie agli indie (o produzioni a basso budget) e alla maggiore possibilità che questo medium offre a un autore di sfogare la propria visione creativa. Il videogioco è insuperabile per opzioni creative, gli unici limiti sono la fantasia e le capacità nello sviluppo, giustappunto grazie al videogioco è nata una nuova declinazione del genere noir: l’ “animal noir” che scherzosamente nel titolo ho definito furry. Ovvero, un’opera di genere poliziesco/thriller con protagonisti animali antropomorfi.
Cliché e stereotipi animali
La definizione di animal noir non è entrata nell’uso comune, la sto usando per dare un punto di riferimento visivo/lessicale; il concetto alla base di questo nuovo genere è che i personaggi si muovono, pensano e parlano come esseri umani, ma sono animali. Nella letteratura classica è molto difficile dare un’impostazione di questo tipo perché manca la parte figurativa (a meno che non stiamo parlando di un libro di fiabe, ma un romanzo noir non ha i disegni), sebbene ci sia riuscito magistralmente George Orwell con La fattoria degli animali, romanzo distopico sul totalitarismo. Questa operazione, invece, risulta realizzabile con minor fatica espressiva in un fumetto – alla fin fine, tutta la “Saga di Paperon de’ Paperoni” di Don Rosa è una rappresentazione umana sotto forma bestiale, ripresa in tempi più recenti in salsa grottesco-decadente dai fratelli Rincione con il loro fumetto “Paperi” – e una graphic novel, perché sono appunto forme letterarie applicate all’arte figurativa, basti pensare a Sin City di Frank Miller.
Nel cinema invece è un’impostazione facilmente attuabile perché la settima arte si basa sulle immagini in movimento; un film noir con animali al posto di esseri umani me lo aspetterei da David Lynch, perché il regista visionario de I segreti di Twin Peaks ed Eraserhead ha già sperimentato la trasformazione antropomorfica degli animali, o viceversa, ad esempio in Inland Empire. Un gamer vecchia scuola, però, ricorda questo tipo di sforzo creativo da parte del regista americano grazie a una pubblicità, quella andata in onda decine di anni fa per reclamizzare la neonata PlayStation 2. Denominato “Il terzo luogo”, quello spot era surreale e assolutamente anticlimatico se si pensa che serviva a pubblicizzare una console per videogiochi. Uno dei personaggi inquietanti presenti era un uomo anatra che, indossando giacca e cravatta, dava il benvenuto nel terzo luogo ai giocatori (potete leggere un’analisi completa dello spot).
È palese che nella mente contorta di Lynch l’uomo anatra avesse un significato ben preciso perché rappresentazione di qualche caratteristica umana. Ed ecco che arriviamo all’essenza dell’animal noir nei videogiochi: rappresentare le poche virtù e i tantissimi vizi del genere umano proiettandoli sugli animali. Ciò viene fatto sottoponendo all’attenzione del giocatore i cliché e gli stereotipi di cui sono vittima sia quest’ultimi sia, ovviamente, gli umani, visto che la discriminazione è uno dei più pericolosi costrutti derivanti dalla psiche umana. Queste proiezioni sono inserite in un contesto noir e permettono di costruire una narrazione che solo visivamente sostituisce gli esseri umani con gli animali, ma che in realtà concettualmente e tematicamente si concentra appieno proprio sulla natura e sulle azioni dell’uomo.
Ma come, discriminiamo anche gli animali? Be’, sì, pensate ad alcune superstizioni come quella che vuole il gatto nero portatore di sventura, oppure alla similitudine tra una persona molto stupida e un asino. Sono discriminazioni a tutti gli effetti. Nei videogiochi di genere animal noir questi stereotipi vengono portati come esempio di ciò che accade tra gli uomini: un viscido e doppiogiochista è sempre rappresentato da un serpente, il capo della polizia è sempre un cane, solitamente un pastore tedesco, la femme fatale è la gattina dai movimenti sinuosi e sensuali, il bodyguard tutto muscoli e niente cervello è un rinoceronte, e così via.
Questo avviene perché i videogiochi di questo genere hanno come tematica centrale, il più delle volte, il razzismo che paradossalmente è visivamente più semplice da rappresentare proprio con gli animali, utilizzati come metafora, piuttosto che con gli esseri umani. Il concetto di razza esiste solo tra gli animali, non esistono le razze umane (questo termine viene usato solo dagli xenofobi), si può parlare tutt’al più di etnia, anche se ormai in un mondo sempre più globalista le differenze sono minime. Dal punto di vista prettamente figurativo, si riesce ad avere un effetto maggiormente d’impatto utilizzando le differenze tra animali, le quali sono, evidentemente, più marcate. Ovvero, un serpente non è un ippopotamo, te ne accorgi, un barboncino e un alano sono entrambi cani, ma sono del tutto diversi. Pertanto, “giocando” con queste differenze, esasperandole e mettendo in bocca a queste creature i pensieri dell’essere umano, è possibile costruire una narrazione solida e convincente sul razzismo.
Ovviamente, non basta questo per fare un buon videogioco noir, anzi, un buon videogioco e basta. Le vicende devono essere interessanti, la storia deve avere un filo conduttore forte e una progressione in grado di coinvolgere il giocatore, i dialoghi e il doppiaggio non possono non essere all’altezza di una trama che vuole farsi prendere sul serio, il gameplay deve convincere ad andare avanti nell’avventura e se anche l’estetica dà una mano è ancora meglio. Dunque, con queste premesse, quali sono i migliori videogiochi noir che presentano questa formula bestiale?
Migliori videogiochi noir con animali
Adesso veniamo alla ciccia: i videogiochi. Voglio passare in rassegna cinque titoli che mi sembrano in linea con quanto detto e adatti a spiegare perché il medium videoludico riesce a far rendere al massimo questo tipo di narrazione rispetto agli altri mezzi di comunicazione. Tutti e cinque i giochi raccolti sono noir/polizieschi/investigativi, hanno animali antropomorfi come protagonisti, ma presentano strutture diverse, cosa davvero difficile da vedere in altri ambiti, questo perché il videogioco è performativo, è un’arte attiva in cui c’è anche interazione.
Il primo videogioco che mi è venuto in mente è Blacksad: Under the Skin, ispirato alla serie a fumetti degli spagnoli Juan Diaz Canales e Juanjo Guarnido. Il protagonista è John Blacksad, un gattone detective alle prese con un caso di suicidio che si rivela, grazie al suo intuito, un caso di omicidio. John si muove, come da tradizione per il genere, in ambienti criminali facendo la conoscenza di personaggi spietati e costretto a districarsi tra false piste e segreti occultati dai piani alti della società.
Blacksad è un’avventura investigativa di Pendulo Studios che attinge molto dalle avventure grafiche moderne à la Quantic Dream, proponendo cioè un sistema a bivi che permette al giocatore di cambiare gli eventi optando per una scelta piuttosto che per un’altra. Blacksad mantiene saldi tutti i cliché del noir senza farli venire a noia proprio grazie alla struttura che si basa sulle diramazioni narrative (qui la nostra recensione).
Altro videogioco di cui bisogna parlare è Chicken Police, un titolo a cui, a prima vista, non avrei dato un euro, e invece si è dimostrato una delle migliori opere noir di questa generazione. Rispetto a Blacksad, presenta una storia più lineare, raccontata come in una graphic novel, una struttura a bivi applicata alla sua eccelsa qualità narrativa lo avrebbe reso superbo, ma già così siamo su livelli pregevoli. Se vi sembro troppo entusiasta, giocateci (passando oltre l’assenza dell’italiano) e constatate voi stessi.
Chicken Police ha per protagonisti due galli, colleghi nel lavoro e amici nella vita di tutti i giorni che, indagando su un caso apparentemente banale di minacce, si ritrovano invischiati in una vicenda torbida. Ciò che stupisce di Chicken Police, a parte l’estetica black & white adornata da macchie di colori qua e là, è come a un certo punto riesca a far dimenticare al giocatore di avere di fronte degli animali antropomorfi. I dialoghi, la serietà degli eventi, l’atmosfera generale rendono le scene così scrupolose nel ricreare le situazioni tipiche del genere noir da restituirci un prodotto credibile (ecco la nostra recensione).
Il terzo videogioco esponente dell’animal noir è Detective Gallo, una produzione italiana sviluppata da Footprints Games che si differenzia dagli altri titoli citati nella direzione artistica non conforme al genere noir per come lo immaginiamo, cioè cupo e malinconico, e nel mood dell’esperienza. Detective Gallo è infatti colorato, luminoso e dissacrante. Il gioco è palesemente una parodia, o meglio, un modo satirico per proporre i famosi cliché del genere che qui vengono presi in giro. Il protagonista passa da barlumi di efficienza investigativa all’avere la soluzione sotto il naso senza minimamente accorgersene. Divertenti i suoi siparietti con i clienti di un bar da cui è stato bandito a vita e la fioraia sua spasimante non corrisposta. Il gioco è una classica avventura grafica vecchio stile con enigmi e un sacco di oggetti da combinare e usare al posto giusto nel momento giusto (potete leggere la nostra recensione).
Il quarto titolo meritevole di essere citato è Backbone, un indie sorprendentemente più solido di quanto mi aspettassi. Con esso torniamo su atmosfere cupe, anzi, Backbone è probabilmente il più tetro e oscuro di tutti nonostante la sua semplicità che si denota sia dalla grafica retrò in pixel art sia dalla struttura del gioco, si tratta, difatti, di un titolo a scorrimento in 2D in cui perlopiù si avanza parlando con i vari personaggi. Il protagonista è il detective Howard Lotor, rappresentato come un procione, che indagando su una vicenda particolarmente macabra in una Vancouver distopica, dovrà fare i conti con la consapevolezza che il suo corpo sta cambiando e ciò potrebbe portarlo alla distruzione.
Ultimo gioco che voglio inserire in questo rapido elenco è Beacon Pines (qui la recensione), un prodotto che non è catalogabile esattamente come noir, ma presenta comunque una storia che, pian piano, immerge il giocatore in un mistero che avvolge il tranquillo villaggio omonimo e i suoi abitanti. Come spesso accade, i paesini tranquilli nascondono segreti inconfessabili e così è anche per Beacon Pines, un luogo ameno che corre un grave pericolo.
La caratteristica principale del gioco lo avvicina ai librogame, ovvero quelle opere cartacee che permettevano ai lettori di cambiare gli eventi selezionando delle alternative narrative presenti in paragrafi numerati. Tra le più famose, c’è la serie fantasy Lupo solitario (Lone Wolf) di Joe Dever. Beacon Pines è un librogame digitale che consente al giocatore di cambiare gli eventi interagendo con i punti di svolta, cioè le scene clou. Per farlo, è necessario selezionare la parola che a nostro giudizio completa al meglio una frase. Se il finale raggiunto non ci soddisfa, possiamo tornare ai punti di svolta precedenti e riprovare con altre parole.
Quando il noir diventa furry porta a risultati di questo valore. Non possiamo che sperare che questa unione continui perché ci piace, ci piace tanto.
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Player.it consiglia: Ho riletto recensioni di vent’anni fa e penso di aver capito qualcosa in più sul giornalismo videoludico.