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Speciali

Perché è importante finire un gioco prima di recensirlo | #BehindTheDesk

Quasi due anni fa, scrissi un articolo in cui affermavo in modo perentorio che guardare i gameplay non dà alcun diritto, a chicchessia, di giudicare un videogioco (qui potete leggere il pezzo completo). Se leggeste i commenti di alcuni utenti, ma anche di pochissimi giornalisti del settore, vi mettereste le mani nei capelli (se non siete tra quelli che hanno l’abitudine di giudicare capolavoro o schifoso un gioco solo guardando il trailer). La tesi che invece voglio avanzare in questo articolo è un po’ più “tranquilla” perché delle mezze misure ci sono, non è tutto o bianco o nero.

Ritengo che per recensire un videogioco sia importante finirlo: una tesi banale, qualcuno potrebbe obiettare; in realtà, esistono varie scuole di pensiero, se così vogliamo definirle, e soprattutto esistono dei casi in cui, per come è strutturata la catena di montaggio dell’editoria videoludica, che non ti consentono di finire un gioco prima di recensirlo per tempistiche e dinamiche di redazione. D’altronde, la nostra rubrica #BehindThe Desk serve proprio a far capire a un esterno come funziona, più o meno, il lavoro all’interno di una redazione che si occupa di videogames.

Andiamo per ordine: per me, che comunque faccio questo mestiere da un po’ di anni, in linea di massima, un gioco va finito prima di poterne pubblicare la recensione. Dico “in linea di massima” perché mi rendo conto che non sempre è possibile adempiere in modo completo al proprio dovere a causa di fattori che poi andrò a evidenziare. Per prima cosa, pertanto, vediamo perché considero importante finire un gioco e cosa intendo con il verbo finire.

Almeno i titoli di coda…

Con “finire un videogioco” non intendo che l’autore prima di redigere la recensione debba platinarlo o portare a termine il 100% delle attività. Queste sono pratiche da giocatore completista o semplicemente da giocatore a cui sta piacendo particolarmente un titolo, non c’entrano nulla con il lavoro di recensore. Ognuno poi nel proprio privato può fare quel che vuole, dunque, svestiti i panni del giornalista, io posso anche decidere di completare il gioco per mio diletto, tuttavia ci sono delle tempistiche e dei doveri editoriali che vanno messi al primo posto per guadagnarsi la pagnotta.

Secondo la mia opinione, il recensore deve finire un videogioco nel senso che almeno ai titoli di coda ci deve arrivare. Insomma, deve finire la storia. E anche questa espressione va spiegata: per storia non si intende specificamente la parte narrativa, ma è un modo di dire quasi gergale del mondo dei videogiochi che equivale a, appunto, arrivare ai titoli di coda perché, di solito, quando si finisce la storia, iniziano i titoli di coda.

Ora, detto ciò, perché è importante finire un gioco prima di recensirlo? Io sono del parere che un videogioco non possa essere compreso fino in fondo se non si arriva almeno al termine di ciò che ti vuole raccontare e senza avere l’intera esperienza ludica e tecnica. Mi spiego meglio: un videogioco, tendenzialmente, non è un prodotto a tenuta stagna fatto e finito che rimane fisso nel suo concept, non è una forma espressiva statica come un quadro, può avere alti e bassi. Un videogioco, dal punto di vista narrativo, può partire molto bene e perdersi alla fine, e viceversa, può approfondire temi e personaggi lasciati in sospeso, e questo in fase di recensione va tenuto in conto. In una recensione, la trama va raccontata a grandi linee altrimenti si rischia di fare spoiler, tuttavia per poterle dare una valutazione è fondamentale aver visto le scene più importanti. E considerando che spesso la risoluzione della vicenda arriva nelle battute finali…

Ma come ho già detto, non è una questione solo narrativa, perché anche il gameplay e il comparto tecnico possono far registrare un’evoluzione o subire un’involuzione. Se si recensisce un gioco lasciato a metà, si rischia di non avere il quando completo delle sue dinamiche perché queste, in primo luogo, vanno analizzate a 360 gradi, e per farlo bisogna impararle bene, in secondo luogo possono subire delle variazioni durante il corso dell’avventura. Attenzione, con “impararle bene” non voglio dire che è necessario diventare un pro, ma che bisogna comprendere come funziona il gameplay nella maggior parte delle situazioni e, nel caso del combat system, contro tutti i nemici. Certo, un fps non diventa un manageriale all’improvviso, però lo studio di sviluppo potrebbe aver optato per un gameplay che progredisce insieme al giocatore. Un esempio banale è il potenziamento delle abilità di un personaggio. Il combat system può cambiare davvero molto quando il protagonista diventa più potente attraverso lo sblocco di nuove abilità.

E dal punto di vista tecnico? Cosa c’entra la grafica/estetica in questo discorso? Il lato tecnico di un gioco non è solo ciò che noi vediamo, il videogioco è una sequenza di linee di codice, è un complesso (per un profano senza dubbio) insieme di algoritmi che gestiscono ogni singola funzione, quindi è soggetto a errori tecnici. Più banalmente, ci sono i bug. Questi vengono risolti con le patch, ma non è così scontato che non si presentino errori di programmazione più gravi impossibili da eliminare. Questi inficiano l’esperienza di gioco per l’intero ciclo vitale del prodotto. E anche se tutto rientrasse nella normalità con un aggiornamento, il recensore è tenuto ad analizzare la chiave di gioco per come gli è arrivata, non con la speranza che un giorno possa andare meglio. Pertanto, è importante finire il gioco per capire se la build è stabile dall’inizio alla fine.

Il discorso che sto facendo è da intendersi come “di norma, per me, si dovrebbe fare così“, non è un imperativo categorico perché io stesso mi rendo conto, e mi ci sono scontrato, che le variabili sono tante e talvolta imprevedibili. In un titolo in cui la narrativa si limita ai protagonisti che si danno il cinque esclamando: “Bella, bro!” è ovvio che non sia necessario vedere tutte le scene clou per valutare la qualità della storia; in un gioco invece prettamente narrativo, ad esempio un’opera di Quantic Dream, è palese che il gameplay non cambierà di una virgola, ciononostante per me è si dovrebbe comunque arrivare in fondo per valutare la componente su cui si focalizzano.

Ci sono molti ma…

Ora arriviamo al perché è importante finire un gioco prima di recensirlo, ma non sempre è possibile. A me è mai capitato di recensire un videogioco senza averlo finito? Sì, mi è capitato anche di recente. Cliccando qui, potete leggere la mia recensione di Metal: Hellsinger, l’fps ritmico infernale uscito a settembre. Non l’ho finito, tuttora. Cos’è successo? La recensione di questo gioco non dovevo farla io, ma il nostro direttore responsabile – faccio nomi e cognomi, Daniele Di Egidio – che ha avuto dei contrattempi legati al sito, avendo comunque lui una responsabilità non legata esclusivamente a ciò che esce su Player.it, ma anche alla gestione delle risorse umane e del rapporto con gli uffici stampa. Insomma, l’embargo è passato e la recensione di Metal: Hellsinger non è uscita.

In questi casi, l’ufficio stampa che invia il review code fa, giustamente, pressioni perché una key non viene consegnata a una redazione per puro divertimento, ma affinché venga svolto un lavoro editoriale: la recensione. In quel periodo, io ero l’unico membro della redazione che stesse giocando Metal: Hellsinger, dal Gamepass, così il direttore mi ha chiesto di scrivere una recensione il prima possibile. Io ero arrivato al terzultimo livello, in un gioco che è anche abbastanza corto, e ho deciso di scrivere subito le mie impressioni senza terminarlo in modo da non tardare ulteriormente. La trama non era certo eccezionale, il gameplay era solido nel suo genere, rhythm game, ma sempre uguale di livello in livello, dunque ho constatato di aver visto tutto ciò che mi serviva per dare un giudizio.

Questo “sconvolgimento dei miei principi” si è reso necessario per una dinamica di redazione. Io ho le mie opinioni, i miei tratti distintivi, ma prima di tutto sono un dipendente di Player.it, devo fare ciò che è meglio per la redazione. In quell’occasione, era non far incavolare l’ufficio stampa. Un esterno tende a giudicare il lavoro di un giornalista videoludico in modo duro perché esiste ancora il luogo comune del giornalista che viene pagato per giocare, il che è vero, ma manca tutta una serie di dettagli che rendono tale mestiere più gravoso di quanto si immagini.

Vi voglio raccontare un altro aneddoto non successo a me personalmente, ma presso una redazione per cui non ho mai lavorato, anche se avrei tanto voluto. Da ragazzino leggevo Play Generation, quando le riviste erano davvero l’unico modo per acculturarsi e informarsi sui videogiochi. Ricordo ancora la recensione pubblicata sul magazine di Shadow of the Colossus, tuttora uno dei miei titoli preferiti di sempre. L’autore di quel testo (non chiedetemi il nome, non lo rammento, probabilmente è anche un giornalista famoso, ma da ragazzino non davo importanza alla firma. Se costui leggerà mai questo mio speciale – non credo – si palesi nei commenti), scrisse testuali parole: “Io Shadow of the Colossus non l’ho finito, arrivato all’ultimo colosso e dopo l’ennesima morte, visto che sono una persona pacata, ho riposto con calma il disco e ho fatto altro“). Se non testuali, poco ci manca.

Mi piacque tantissimo quella sua confessione, perché fu trasparente. Quel giornalista aveva il diritto di recensire il gioco senza averlo finito? Assolutamente sì, perché, ribadisco, io non sono fermo sulle mie posizioni in modo cieco e riconosco che esistono casi e casi. Lui ha visto tutto del gioco, è arrivato al boss finale e lo ha affrontato, rendendosi conto che si trattava di un colosso dal comportamento più aggressivo rispetto alla media, infatti non è riuscito a sconfiggerlo. Certo, non ha visto la scena finale, ma la qualità narrativa della seconda opera di Fumito Ueda si comprende ben prima. Il discorso sarebbe diverso se si fosse fermato al terzo colosso.

Ora, tralasciando gli aneddoti personali e specifici, è inevitabile parlare di come l’industria renda a volte difficile ottemperare ai propri obblighi in modo completo ed efficiente. Questo è un argomento SU cui avrete già ascoltato e letto parecchi pareri, cioè le tempistiche che obbligano i recensori a fare i salti mortali. Due righe vanno spese.

Recensire o dormire: a te la scelta

Se un gioco dura 100 ore, è necessario finirlo per poterlo recensire? Io rimango della mia idea iniziale, ovvero sì, è importante finirlo. Non al 100%, ma ai titoli di coda ci si dovrebbe arrivare, facendo qualche secondaria e attività di contorno, le quali vanno recensite esattamente come la quest principale. A maggior ragione, anzi, perché un open world può nascondere del gameplay emergente che esce fuori solo dopo tot ore; inoltre un open world, per sua natura, ha una trama diluita che deve arrivare al climax quando finisce anche il gameplay. Per questi motivi ritengo che anche un open world da molte ore debba essere finito.

Fatemi dire una cosa, però. Esiste un numero di ore minimo che ti consente di recensire un gioco? Cioè, posso recensire un titolo dopo averci giocato 60 ore anche senza averlo finito? La mia risposta è sì, perché si presume che in 60 ore si sia riusciti a comprendere il mondo di gioco, ma anche in questo caso voglio fare il rompiscatole. Le ore di gioco devono comunque andare di pari passo con una progressione che ti permetta di avere una panoramica chiara del mondo costruito dagli sviluppatori. Nel senso, se recensore X gioca per 60 ore completando solo tre capitoli e recensore Y ne gioca 30 arrivando al boss, io ritengo che pur avendo giocato la metà, recensore Y abbia più possibilità di fare una buona recensione. Sto estremizzando, difficilmente un giocatore con skills nella norma in 60 ore non riesce a vedere perlomeno il primo boss, però è un modo per farvi comprendere come la penso. Per me non è tanto questione di ore, ma di progressione.

Adesso arrivano i problemi grossi che fanno da antitesi alla mia posizione. Le tempistiche da rispettare sono talvolta talmente assurde che solo pensare di poter finire un Elden Ring o un Assassin’s Creed: Valhalla entro la data di embargo è pura follia. Non è un rant con cui voglio additare il sistema come brutto e cattivo, è una constatazione, è anche questa una dinamica editoriale con cui bisogna scendere a compromessi. Con soli tre giorni di tempo, non è fattibile consegnare una recensione accurata di un classico rpg, qui io sono il primo a dire che non va finito per forza, perché la colpa non è del recensore, ma di chi pretende un lavoro fatto bene fatto in tempi strettissimi.

La soluzione per avere sia una recensione accurata sia la possibilità di finire il gioco è fregarsene dell’embargo pubblicando l’articolo solo quando è davvero pronto, anzi, quando è davvero pronto colui che lo sta scrivendo. Purtroppo, non può essere un’iniziativa privata, a meno che non si scriva per un blog o per una testata più piccola che non ha ricevuto la key ed è costretta a fare di necessità virtù recensendo il gioco acquistato. Tutti dovrebbero sentirsi coinvolti nella ricerca di un cambiamento: i publisher che non aspettano altro che il numero da inserire nell’accolade (l’immagine pubblicitaria con i voti della stampa), gli uffici stampa che si incazzano pure se il voto è troppo basso, le redazioni e gli utenti stessi. Tutte queste parti in causa dovrebbero abituarsi e far abituare gli altri alle recensioni postume, fatte dopo l’embargo, Ma questo discorso è lungo e non è del tutto focalizzato sull’argomento principale dell’articolo.

Il punto a cui voglio arrivare è che in condizioni normali e favorevoli, per me un gioco andrebbe finito prima di recensirlo. Ma spesso le condizioni normali e favorevoli non ci sono.


Leggi anche: Essere critici fa schifo, eppure vogliamo esserlo tutti

Player.it consiglia: Da giocatore casual a esperto del settore: si può fare

This post was published on 7 Ottobre 2022 16:00

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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