2007, una casetta in provincia di Napoli, un diciannovenne di buone speranze accende la sua Xbox 360 e comincia a giocare a un nuovo titolo che ben presto sarebbe diventato un vero e proprio fenomeno di massa, ma quel ragazzo non lo sapeva. Non sapeva che a distanza di quindici anni avrebbe continuato a saltare tra palazzi e infilzato lame celate nel collo di ignari bersagli. Non lo sapeva, tuttavia un po’ ci sperava perché quel gioco era bello, gli piacque, quindi perché non desiderare una serie duratura?
Povero sciocco. Ubisoft ai tempi aveva ancora un’aura particolare, magnetica, poteva vantare un credito che si dà a pochi. L’azienda francese non veniva ancora considerata una mungitrice seriale, d’altronde, non aveva ancora messo le mani su una serie che potesse sopravvivere a due ere glaciali. Poi arrivò il 2007 e fu l’inizio della fine.
La nostra, un po’ di tutti, non la sua, perché Assassin’s Creed nel mentre ha visto una pandemia, crisi internazionali, energetiche e ambientali, la morte di Mike Bongiorno, Raffaella Carrà e della regina Elisabetta II che sembrava possibile solo in un romanzo distopico.
Assassin’s Creed è ancora qui e lo sarà probabilmente ancora per almeno una decina d’anni visti i recenti annunci dei prossimi capitoli della serie: Mirage, ambientato a Baghdad e con Basim protagonista, un ritorno alle origini, dicono, Codename Red, il tanto richiesto AC nel Giappone feudale, e Codename Hexe, ancora tutto da decifrare. Ah, e poi Infinity, la piattaforma che farà da Animus e ci permetterà di giocare, giocare e giocare ancora a tutti gli Assassin’s Creed passati e futuri.
Era il 2007 e quel ragazzo – vabbè, sono io, dai, confesso – era felice di attraversare le stradine affollate e gli edifici in stile moresco di Masyaf, Damasco, Acri per origliare una conversazione, rubare un documento e uccidere il bersaglio. Perché le dinamiche del primo capitolo quelle erano, il gioco non sprizzava varietà da tutte le texture, eppure era qualcosa di nuovo (una variante di Prince of Persia, ma comunque nuovo). Dopo quindici anni, sono ancora qui, tra un salto della fede e un grinding selvaggio perché, nel mentre, la serie ha anche cambiato genere per reinventarsi e convincere noi poveri str…i a continuare a seguirla.
Ogni capitolo sarà l’ultimo, un po’ come un bicchiere di whisky in un poliziesco dalla trama scontata.
E poi ci ritroviamo tutti in un vicoletto buio ubriachi fradici perché smettere non è facile, l’alcool titilla la gola e obnubila la mente (sono metafore eh, io non mi sono mai ubriacato in vita mia, sono quasi astemio). Assassin’s Creed è così, ti dà una botta di adrenalina per poi ributtarti in mezzo allo schifo della tua vita, ti raccatta per strada, ti illude che tutto sarà migliore e ti ributta giù, ti prende, ti lascia, e tu sballottolato non sai se la colpa è tua o se è Ubisoft ad aver creato una macchina infernale da cui è impossibile uscire.
Sì, lo ammetto, mi chiamo Michele Longobardi e soffro di un grave disturbo: dico che non comprerò altri Assassin’s Creed e poi li gioco tutti.
Perché lo faccio? Perché non riesco a mantenere la schiena dritta e ad affrontare il problema? Cosa ha di così ammaliante questa serie da attrarmi come farebbero le Sirene con Ulisse col loro canto? Io non posso farmi legare a un albero della nave, in primo luogo perché non ho una nave, in secondo luogo perché mi rimarrebbero comunque le mani libere per giocare.
Il suo fascino mi abbagliò in AC2 e Brotherhood, i due capitoli ambientati in Italia.
Sono pochi i giochi che hanno il nostro paese come setting principale, in un’epoca storica poi durante la quale, diciamoci la verità, un po’ tutti avrebbero voluto vivere (tralasciando la poca igiene generale, la bassissima aspettativa di vita e il fatto che si potesse finire con un cappio al collo solo per aver guardato di sbieco uno per strada). Il Rinascimento italiano è la sintesi dello splendore culturale e artistico della nostra patria, esplorare Firenze e le sue bellezze architettoniche non ci sembrava vero, Ubisoft aveva lanciato il primo amo, e noi merluzzi boccaloni abbiamo abboccato. Almeno io. E poi a Roma io non ci sono mai stato (eh sì, non ho viaggiato, un mio grande cruccio), quindi Brotherhood fu per me un’occasione imperdibile di visitarla viaggiando indietro nel tempo.
Quale serie ti fa saltare da Roma a Costantinopoli con uno schiocco di dita? In AC: Revelations c’è la scena, QUELLA SCENA, chi lo ha giocato lo sa, non spoilero anche se è un gioco di tre secoli fa, ma insomma, avete capito a cosa mi sto riferendo.
E quando tu vedi una scena del genere, sai di essere di fronte a uno dei punti più alti della narrativa di Ubisoft, E allora che fai, non ti fidi? Continui, continui, continui pur sapendo, sotto sotto, che prima o poi, tirando la corda, questa si potrà spezzare. E io le prime avvisaglie le avvertii in AC III, un capitolo che ancora oggi non riesco a capire se mi sia effettivamente piaciuto. Però, ehi, è la Rivoluzione americana, possiamo incontrare Benjamin Franklin e George Washington. Vedete? C’è sempre qualcosa che ti tiene lì.
La Rivoluzione americana è uno dei miei periodi storici preferiti, l’ho anche portata come argomento all’esame di storia moderna, non potevo esimermi. Non rimasi del tutto soddisfatto perché i tratti caratteristici della serie mi sembrarono raffazzonati, soprattutto il platform mi apparve ridimensionato (o il parkour come lo si definisce oggi, ma è platform, ragazzi, è un’evoluzione acrobatica del platform). Ma un piccolo inciampo può capitare, nessuno è perfetto. I sospetti che qualcosa stesse andando storto, però, mi vennero nel 2014, quando in un giorno uscirono Rogue e Unity. Mettere sul mercato due capitoli della stessa serie nel giro di 24 ore non è esattamente una cosa che si vede spesso. Una domanda iniziò a ronzarmi in testa: “Non è che Ubisoft se ne sta un po’ approfittando?”.
Un po’ come quando la tua ragazza non si accontenta del kebab, ma inizia a fare pressioni per andare da Antonino Cannavacciuolo e tu hai lo stipendio di un giornalista videoludico in ritenuta d’acconto. Due domande te le poni. Non se ne starà mica approfittando? Ma va’, figurati, è solo un’impressione.
E così continui a fare finta di nulla. Inoltre, Rogue e il precedente Black Flag, rilasciato nel 2013, introdussero le battaglie navali che a me non è che facciano impazzire. Io, sinceramente, un po’ mi rompo a dover raccattare risorse per rendere più resistente lo scafo, tuttavia uno ingoia il rospo e se lo fa andare bene. Ma qualcosa si ruppe, non sentivo più la gioia del Michele diciannovenne del 2007, quel giocare insistentemente a un Assassin’s Creed cominciò a sembrarmi quasi un lavoro, un dovere. Mi pesava.
Presi così una decisione: non avrei preso Unity, anzi, dissi basta, non avrei più giocato altri AC, in assoluto. E io quando dico una cosa. è quella… più o meno. Le notti si fecero più tormentate, iniziarono a venirmi in sogno Robespierre, Napoleone Bonaparte, il nobile lusso della reggia di Versailles abbacinava i miei sensi. Poi un giorno, sullo store della PS4, lo vidi a €9,99. Che fai? Non lo recuperi a una cifra così irrisoria? E tac, ci rimasi fregato ancora una volta. Stesso percorso fatto con Syndicate, ma proprio uguale, come a volermi spiattellare in faccia la verità, ovvero che sono un debole fesso. Io provai il capitolo ambientato in Inghilterra durante la Rivoluzione industriale al Comicon, o forse era il Videogameshow, insomma, c’era uno stand Ubisoft che permetteva di giocarci qualche minuto. E non mi fece ‘st’impressione pazzesca, anzi, il combat system mi parve abbastanza legnoso e poco dinamico.
Però, è la Rivoluzione industriale, è l’Inghilterra della seconda metà dell’800.
L’ennesimo periodo dal fascino irresistibile che Ubisoft riuscì a catturare in modo perfetto.
Perché bisogna ammetterlo, a Ubisoft si può imputare tutto, tranne che non sappia costruire il contesto storico/culturale di un’epoca, anche e soprattutto dal punto di vista visivo. Gli artisti che lavorano presso l’azienda, diciamocelo apertamente, hanno due cosiddetti grossi così (immaginate l’apertura alare delle mie braccia). E poi di nuovo lo sconto fu galeotto: meno di dieci euro per farsi un giretto a Buckingham Palace e una scalata del Big Ben.
Io in mezzo a tutto questo non mi feci mancare anche Bloodlines per PSP e i tre capitoli Chronicles ambientati in Cina, India e Russia che proponevano lo stile di AC in due dimensioni. Recuperare quegli spin-off fu uno sfizio, ma non significava nulla, una scappatella senza valore. Uno sgarro alla dieta, un po’ come quando mangi solo carote bollite da un mese e passi di fronte a una rosticceria. Pensi: “Be’, un crocché non potrà mica farmi male, poi torno a regime”. E ti ritrovi a ingurgitare cinque crocchette, due calzoni, tre crêpes al formaggio e una decina di arancini. Ora basta. Sono un uomo e in quanto tale ho la forza di volontà per resistere agli istinti.
E cosa fa Ubisoft? Eh, cosa fa? Ti cambia le carte in tavola. Eh già, dal 27 ottobre 2017, Assassin’s Creed divenne un RPG. Questo significa essere cattivi, veramente cattivi, e furbi, infinitamente furbi. Infatti, arrivò Origins, perché un prequel è sempre il modo migliore per non far morire la vacca da mungere. Scalare le Piramidi e poi scendere scivolando lungo tutta la loro lunghezza? Vale tutto il prezzo del biglietto. Shut up and take my money, Ubisoft, che tu sia…
Io a questo punto della storia già non ero più riuscito a seguire la trama. Ormai la narrativa di AC ai miei occhi finì in secondo piano, ma davvero non ci stavo più capendo nulla tra ISU, divinità, mitologia e storia che si mescolano, Occulti e membri dai nomi fantasiosi di sette oscure. Tanto ormai Desmond Miles ce lo eravamo giocati cinque capitoli fa, pertanto la trama non è stata negli ultimi anni ciò che mi ha spinto a continuare.
È difficile da spiegare, io ho continuato e continuerò perché soggiogato da un fascino occulto da cui non riesco a districarmi. E ci stavo riuscendo. Perché io Odyssey lo abbandonai. Scrissi anche un post su Facebook in cui chiaramente feci capire che era giunto il momento di finirla e un post pubblicato su Facebook è come inciso sulla pietra. Odyssey aveva ormai accentuato il concetto di open world bulimico, in cui ti ingozzi di quest, ma alla fine non ti rimane nulla perché vomiti tutto, ricominci e finisci in un loop senza fine.
Non volevo finirci in quel loop e lo abbandonai. Ed ecco però che le mie orecchie furono raggiunte dal canto di Circe. Il fascino malato, ormai solo così posso definirlo, di Assassin’s Creed serpeggiò ancora una volta dentro di me e così, convinto anche dalla mia abitudine di finire sempre un gioco iniziato, mi diedi da fare e dopo circa 80 ore sterminai la setta di Cosmos e vidi l’agognato good ending. Penso sia inutile dirvi come sia andata con Valhalla perché sarei davvero ripetitivo, ormai avete capito che ho qualcosa che non va. Perché se inizio Valhalla dicendo che farò solo la trama principale e che dell’Ordine degli Antichi non me ne frega nulla e poi finisco per pubblicare questa foto sui miei social:
allora davvero ho qualcosa che non va. E sarà lo stesso con Mirage, con Codename Red, con Hexe, sarà sempre così, non ho scampo perché io soffro di un disturbo grave da cui, tutto sommato, non credo neanche di voler guarire. Io giocando agli Assassin’s Creed mi diverto.
Dico di no, ma sotto sotto, mi diverto ancora.
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This post was published on 30 Settembre 2022 18:00
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