Arrangiarsi, si sa, non è mai né piacevole né auspicabile ma, in determinati casi, può diventare una vera e propria arte. Quante volte ci è capitato di dover stringere i denti? Quante volte abbiamo dovuto fare di necessità virtù? Quante volte siamo stati chiamati a svolgere un compito in condizioni e tempistiche avverse? E quante volte, a dispetto di ogni previsione, il risultato finale è stato sorprendente?
In molti casi, trovarsi ad avere a che fare con ristrettezze (economiche e non) fa aguzzare l’ingegno, facendoci trovare delle soluzioni impensabili per tutti gli altri e, forse, proprio questa condizione di partenza è stata la chiave del successo di tutte quelle produzioni (indipendenti e non) che sono riuscite a scalare le classifiche di vendita mondiali potendo contare solo sulla forza di un’idea.
Se è vero che il grande chef non è quello che ti prepara il miglior piatto con i migliori ingredienti sul mercato, ma quello che te lo prepara con ciò che ha a disposizione, è forse il caso di mettere sotto i riflettori almeno cinque “portate” che, per ragioni diverse, sono riuscite ad emergere solo grazie alla loro originalità.
Che si tratti di un level design sopraffino, di un gameplay diverso dagli altri, di una feature a cui nessuno aveva mai pensato prima, o anche ad un “semplice” feeling complessivo: ognuno dei titoli che citeremo è riuscito, con la creatività del suo team di sviluppo, ad aggirare e, in alcuni casi, a superare i limiti di un budget non elevato (o addirittura minimo).
Come sempre, partiamo dal caso più recente.
Deathloop
Sviluppatore: Arkane Studios
Publisher: Bethesda Softworks
Data di pubblicazione: 14 Settembre 2021
Dopo un anno di esclusiva su Playstation 5 e PC, l’ultima fatica di Arkane Lyon è finalmente sbarcata anche sulle console Microsoft tramite Xbox Game Pass, donando nuova linfa (e nuovi giocatori) ad un titolo che, volendo riprendere il discorso culinario di poche righe fa, è uno degli esempi più lampanti dell’ “alta cucina videoludica” (se volete saperne di più, cliccate qui per leggere la nostra recensione).
Deathloop è la quintessenza del modo di intendere i videogame dello sviluppatore francese, ma stavolta con un budget decisamente più elevato (anche se forse non paragonabile a quello di molti altri tripla A). Se molto di quello che vedremo nel gioco in questione ci ricorderà Prey e Dishonored, le novità apportate sono numerose e decisamente interessanti: dai loop temporali alle strategie da utilizzare per sconfiggere un boss, dalle mappe sempre diverse alla collocazione delle armi speciali, arrivando fino ai poteri del nostro eroe ed alle incursioni di Julianna (primo esperimento di multiplayer online competitivo del dev).
Tuttavia, nonostante le apparenze, l’ultima fatica di Arkane non è un roguelite. Quanto ora detto significa che gli stage saranno sempre gli stessi, la collocazione delle armi sarà sempre la medesima, così come la maniera di affrontare i nemici (insieme ai loro punti di spawning) ed alle strade da percorrere per passare inosservati. A quanto ora detto bisogna aggiungere che, per arrivare all’obiettivo finale, dovremo tornare più volte negli stessi, identici luoghi. La domanda a questo punto sorge spontanea: come ha fatto il team di sviluppo ad evitare la ridondanza e la ripetitività dell’esperienza di gioco? Attraverso una scelta di design tanto fondamentale quanto sottovalutata: l’alternanza giorno/notte.
Le quattro mappe presenti nel gioco potranno essere esplorate in quattro diverse fasi della giornata: mattino, mezzogiorno, pomeriggio e sera. A seconda dell’orario, potreste trovare più nemici in determinate zone e non trovarne affatto in altre (magari sono impegnati in attività diverse), i magazzini delle armi potrebbero essere stati già svuotati dai soldati, la sorveglianza di alcuni edifici sarà più o meno stringente, i boss che dovrete uccidere potranno essere a portata di pistola o meno, e l’elenco dei cambiamenti potrebbe essere ancora più lungo.
Pensate soltanto al fatto che, in determinate fasi della giornata, intere aree di una determinata mappa diventeranno accessibili, consentendovi di raccogliere nuovi indizi e, in buona sostanza, di scoprire come raggiungere il vostro fine ultimo: distruggere il loop temporale e fuggire dall’isola in cui vi trovate prigionieri.
All’apparenza, Deathloop ci chiede di fare la cosa più barbosa che un videogame potrebbe chiederci: visitare più e più volte gli stessi luoghi, alla ricerca anche di un singolo indizio su come procedere, con il rischio, alla nostra morte, di perdere ogni progresso ottenuto. Ma, come detto, questa è solo un’apparenza: le quattro mappe, considerando l’orario in cui vi accederemo, sono in realtà 16 e, pur presentando quasi le stesse minacce, costituiranno ogni volta una nuova sfida, spingendoci a trovare nuove strade e nuove soluzioni ai nostri problemi.
Nonostante il fine del gioco sia quello di farci scoprire la routine quotidiana dei nostri avversari (usandola contro di loro), le tante variazioni sul tema (insieme ad un level design pazzesco) sono le vere armi con cui Arkane è riuscita a rompere il loop più pericoloso di tutti: quello della noia.
Hades
Sviluppatore: Supergiant Games
Publisher: Supergiant Games
Data di pubblicazione: 17 Settembre 2020
Chiariamo subito un punto: i roguelike/roguelite sono quella categoria di videogame che, più di tutti gli altri, riesce ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, e certe volte neanche con quello. D’altra parte, basta creare un certo numero di elementi (stanze, NPC, prop, power up, armi, ecc.) e, con uno sviluppo procedurale, abbiamo creato il nuovo The Binding of Isaac, giusto? No, per niente! Perché, in un’industria che tende a spremere ogni suo trend, quando iniziano a fioccare i cloni (ed i cloni dei cloni), per emergere in un mare magnum di roguelite occorre tanto conoscere alla perfezione la formula che si sta sfruttando, quanto apportare quella tanto famosa ventata di aria fresca che tutti sembrano inseguire, ma che in pochi riescono ad ottenere.
Proprio sulla base di quanto ora scritto, tutti i videogame appartenenti a questa categoria potrebbero vantarsi di fare “tanto con poco”, ma solo pochi eletti effettivamente raggiungono lo scopo, ed Hades è l’esempio più lampante di questa élite videoludica.
La base della ricetta è sempre la stessa: Zagreus, il nostro protagonista, vuole fuggire da Hades, suo padre, per poter abbandonare gli Inferi e ricongiungersi con Persefone, sua madre, che risiede nel mondo dei vivi. La sua fuga passerà attraverso tutta una serie di stanze che, ovviamente, pulluleranno di nemici da sconfiggere facendo ricorso al vasto campionario di doni che gli Dei ci elargiranno, ma sempre in maniera casuale.
Nel caso in cui vi steste domando che cosa abbia Hades in più di un qualsiasi altro suo collega, la risposta risiede, ancora una volta, in un fattore spesso molto snobbato nei roguelite: le interazioni con i personaggi.
Nel corso delle nostre avventure, infatti, potremo interagire con tutta una serie di NPC appartenenti alla mitologia greca che ci sveleranno tutti i particolari della trama di gioco che, un po’ alla volta, diventerà sempre meno frammentata. Quanto ora detto non si limita alla sola consapevolezza del giocatore, ma arriva ad influenzare anche il nostro Zagreus; prendiamo ad esempio Thanatos: all’inizio avremo un rapporto decisamente ostile con il Dio in questione ma, dopo aver compiuto le opportune scoperte, potremo addirittura instaurare una romance con lui.
Come potete facilmente constatare, in Hades non solo ogni run sarà diversa da quelle precedenti, ma potrebbe spingersi ad influenzare significativamente le successive. Quanto ora detto, insieme a tanti altri fattori di stampo prettamente ludico ed estetico (un gameplay mozzafiato, una colonna sonora di grande impatto, ecc.), hanno reso il titolo di Supergiant Games un vero e proprio campione d’incassi, portandolo ad un passo dal nostro perfect score.
Non ci credete? Cliccate qui, leggete la nostra recensione e preparatevi a cambiare idea!
Journey
Sviluppatore: Thatgamecompany
Publisher: Sony Computer Entertainment
Data di pubblicazione: 13 Marzo 2012
Definito da molti più un’esperienza che non un videogame nel senso classico del termine, Journey è un titolo che mette in difficoltà chiunque osi etichettarlo. Un po’ adventure, un po’ platform, un po’ walking simulator, l’opera di Thatgamecompany punta tutto sul coinvolgimento emotivo del giocatore che, per motivi a lui inizialmente sconosciuti, vestirà i panni di una misteriosa figura incappucciata, muovendo i suoi passi in un lungo cammino che sembra avere, come destinazione finale, una montagna con una colonna di luce che fuoriesce dalla sua sommità.
Il nostro protagonista può solo camminare, volare e cantare, azione con cui può interagire con l’ambiente circostante, nonché con delle enigmatiche creature di stoffa che sembrano popolare praticamente ogni area che ci troveremo ad esplorare.
Nel corso del nostro pellegrinaggio, riusciremo a comprendere la natura e la storia del mondo in cui ci troviamo, nonché lo scopo della nostra traversata (anche se molto sarà lasciato alla libera interpretazione dell’utente), fino alla scalata finale alla vetta della montagna.
Nonostante il nostro protagonista non emetta una singola parola nell’arco di tutto il suo viaggio, Journey riesce a mettere in piedi una narrazione ambientale unica nel suo genere, capace tanto di stordire il giocatore con la sua bellezza, quanto di svelargli alcuni dei segreti del luogo che sta visitando.
Come potrete facilmente immaginare, Journey è pensato per essere un single player; tuttavia, qualora foste collegati ad internet, potreste imbattervi in un altro viaggiatore ed affrontare parte della vostra avventura (o addirittura tutta l’avventura) insieme a lui, ricaricando costantemente la vostra energia e non sentendovi mai da soli. L’unica cosa è che, da bravi pellegrini, non conoscerete assolutamente niente del vostro compagno, e l’unico modo che avrete per comunicare con lui sarà attraverso il vostro comportamento, o attraverso il canto.
Nonostante una durata piuttosto limitata, l’opera di Jenova Chen è riuscita ad emergere con la sola forza delle emozioni che riesce a suscitare in chi la gioca, aggirando i limiti di un budget tutt’altro che elevato e creando un’esperienza breve ma intensa, che chiunque dovrebbe vivere almeno una volta.
Fez
Sviluppatore: Polytron Company
Publisher: Trapdoor Inc.
Data di pubblicazione: 13 Aprile 2012
Come abbiamo sottolineato in apertura, avere pochi mezzi a disposizione fa aguzzare l’ingegno, spingendoci ad usare ogni risorsa nel miglior modo possibile, stimolando quella creatività che sembra essere merce sempre più rara nell’industria di settore. Sarà per queste ragioni che proprio dalla scena indie nascono le idee ed i progetti più originali, e Fez rientra sicuramente in questa categoria, il cui colpo di genio è rappresentato dalla… terza dimensione!
Gomez, il protagonista, vive la sua vita in un universo amichevole, pacifico e, come in ogni platform che si rispetti, rigorosamente bidimensionale! Questo equilibrio viene però interrotto dal ritrovamento di un misterioso artefatto chiamato “esaedro“; di punto in bianco, l’oggetto si frantumerà in 32 cubi, ed aggiungendo la terza dimensione al mondo di gioco, ma solo per il nostro eroe che, a questo punto, sarà chiamato a vivere la sua avventura, ricomponendo l’esaedro e riportando tutto alla normalità.
In Fez potremo compiere tutte quelle azioni che usualmente si compiono all’interno di qualsiasi platform: camminare, saltare, arrampicarsi, raccogliere oggetti, interagire con altri personaggi, e via discorrendo. Tuttavia, il nostro obiettivo finale sarà irraggiungibile senza l’aiuto che solo la tridimensionalità potrà fornirci. Attraverso la pressione di un tasto, infatti, potremo ruotare di 90 gradi praticamente ogni ambiente di gioco che visiteremo, cambiando la prospettiva dei vari stage, proprio come si farebbe con un cubo.
Questo nuovo metodo di esplorazione ci consentirà, ad esempio, di trovare porte nascoste e strade non identificabili da altri punti di vista, che magari ci faranno raggiungere l’oggetto di cui siamo alla ricerca, avvicinandoci al nostro obiettivo finale: riportare il 2D nel nostro mondo!
Anche in questo caso, una “semplice” soluzione di design è riuscita ad essere la chiave di volta di una delle esperienze di gioco più riuscite degli ultimi anni, anche senza l’ausilio di un budget a sette zeri. D’altra parte, a cosa servono i milioni quando hai dalla tua parte il potere delle tre dimensioni?
Come sempre, ogni scettico è invitato a leggere la nostra recensione, cliccando qui.
Darkest Dungeon
Sviluppatore: Red Hook Studios
Publisher: Red Hook Studios
Data di pubblicazione: 19 Gennaio 2016
Quanta grandezza può essere contenuta in appena 1.5 GB di spazio? Rispondere a questa domanda non è assolutamente semplice, soprattutto perché ci troviamo in un’epoca dove i videogame tendono ad essere sempre più ingombranti, ingolfando in men che non si dica i nostri hard disk. Eppure, siamo davanti ad uno dei casi più lampanti in cui il “peso” di un videogame è inversamente proporzionale alla sua qualità, perché una grande idea può essere contenuta anche in una manciata di byte.
Darkest Dungeon è una creatura strana, la cui identità si colloca a metà strada tra un RPG strategico a turni ed un roguelike, senza dimenticarci della sua forte componente gestionale. La trama del titolo Red Hook Studios si può riassumere in poche parole: tramite la lettere di una persona (che si identifica con il nome di “Antenato”), raggiungerete una tenuta una volta florida che, a causa di eventi misteriosi, è stata completamente corrotta da energie malvagie, che hanno alterato anche la forma e la natura di tutte le creature viventi.
Il nostro scopo consisterà nel riappropriarci della nostra villa, affrontando le tante minacce che ci sbarreranno la strada, raccogliendo i tesori nascosti nelle zone circostanti, ma facendo ben attenzione a non cedere alle lusinghe della follia.
Dopo aver reclutato i nostri eroi, potremo imbarcarci nelle varie missioni che, in buona sostanza, rappresentano lo scorrere del tempo; va da sé che, come in ogni roguelike che si rispetti, ogni lasciato è perso, sia in termini di oggetti che in termini di personaggi: qualora un membro del nostro team dovesse morire, non potremo recuperarlo in alcun modo.
Ma che cosa differenzia Darkest Dungeon dai suoi colleghi più famosi e blasonati? Che cosa, in quel giga e mezzo, rende tanto speciale il titolo di cui stiamo parlando? La risposta risiede in almeno due meccaniche: il tempo e la follia.
Ogni missione stresserà il nostro team di eroi che, ovviamente, dovranno recuperare da ferite sia fisiche che mentali. Se uno dei vostri eroi accumulasse troppo stress, raggiungerà un grado di follia, che degenererà in una vera e propria malattia, che potrebbe tanto compromettere il suo ruolo quanto addirittura renderlo un pericolo per il resto della squadra. Siccome tali malattie sono permanenti, nel villaggio adiacente alla tenuta sono presenti delle strutture in cui poter curare i vostri personaggi, ma questo significa che dovrete allestire diverse line up di combattenti, equipaggiarli a dovere e, soprattutto, stare molto attenti alle settimane che passano.
Non avremo tutto il tempo del mondo per raggiungere l’obiettivo finale e, quindi, una missione fallita è un passo verso la sconfitta; aggiungete a quanto ora detto che le risorse a vostra disposizione sono limitate, il che significa che sviluppare un edificio del villaggio equivarrà a togliere denaro ad altri potenziamenti, ma anche incaponirsi ad esplorare interamente un dungeon o a salvare il vostro combattente preferito potrebbe avere delle ripercussioni da non sottovalutare. Ogni azione andrà valutata con cautela, ma sarete sempre accompagnati da quella sensazione di pericolo che ogni esploratore di dungeon conosce alla perfezione.
Alla fine della fiera, Darkest Dungeon ci ricorda che, per sbancare il botteghino, non servono grandi budget, ma solo grandi idee: di quelle che possono essere contenute in appena 1.5 GB.
E voi? Vi siete mai imbattuti in titoli che, grazie alla semplice forza di un’idea, sono riusciti a superare i limiti dei pochi fondi a disposizione, riuscendo ad imporsi al grande pubblico e, perché no, a rivoluzionare il loro genere di appartenenza? Segnalateceli, perché potrebbero essere inclusi nelle successive iterazioni di questo articolo.