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Speciali

Obi-Wan Kenobi prima di Obi-Wan Kenobi: un gioco di Star Wars perduto nel tempo

Obi Wan Kenobi, miniserie di sei episodi andata in streaming in queste settimane su Disney+, è stato con ogni probabilità il prodotto di Star Wars più atteso degli ultimi anni, forse ancor più degli ultimi episodi della famigerata “terza trilogia”.

Un fatto oggettivo, soprattutto per il ritorno di parte del cast della trilogia dei primi anni 2000 (in testa Ewan McGregor nel ruolo di Obi-Wan Kenobi e Hayden Christiensen in quello di Anakin/Vader) e per il solito, per nulla imprevedibile feticismo per gli amanti di SW nei confronti del vintage. 

Oggi però non parleremo della serie, ma di un altro prodotto, suo “quasi omonimo”: nel 2002, vent’anni prima prima che Disney decidesse di celebrare il maestro Jedi più amato della Galassia con un prodotto stand-alone, l’idea di fare dell’atletico Obi-Wan di McGregor l’eroe di un’avventura dedicata a lui era stata della storica LucasArts, con un prodotto molto diverso: un videogioco, dal titolo Star Wars: Obi-Wan, ovviamente.

Bentornati nel 2002!

Star Wars: Obi-Wan ci metteva nei panni della versione più giovane del famoso maestro Jedi, quella coprotagonista de La Minaccia Fantasma, il famigerato “Episodio I” che nel 1999 ebbe il compito di iniziare un nuovo corso della serie cinematografica.

Si trattava di un titolo interessante, per tante ragioni: per il suo essere fra un’esclusiva Xbox sviluppata e prodotta direttamente da LucasArts, per il suo essere tra i primi prodotti videoludici dedicati al nuovo corso di Star Wars e per alcune caratteristiche di gameplay che approfondiremo più avanti, ma soprattutto per il modo in cui tentava di dare risalto a un personaggio che, per quanto già iconico in quel momento, era ancora radicato nell’immaginario collettivo con la sua immagine di anziano maestro Jedi.

Come fare però di Obi-Wan il protagonista di un’opera a lui dedicata, oltretutto in una fase in cui “il giovane Obi-Wan era ancora poco conosciuto e per certi versi guardato con diffidenza dalle masse?

Semplice, di fatto raccontando la vicenda di Episodio I, dall’arrivo di Obi-Wan e del suo mentore Qui-Gon su Naboo fino alla battaglia finale, ma con una prospettiva differente e in grado di raccontare qualcosina in più rispetto al film.

Obi-Wan non cominciava infatti con i due Jedi impegnati a fare irruzione sulla nave della bislacca Confederazione dei Mercanti (incipit di Episodio 1), ma poco prima e su Coruscant, capitale della Repubblica e sede dell’Ordine Jedi, sul quale per prima cosa il giovane Padawan doveva vedersela con un gruppo criminale chiamato Black Heth, evento che dava al giocatore la possibilità di addentrarsi fra i bassifondi della metropoli.

In seguito, l’indagine sui criminali portava il giocatore prima a indagare su alcuni mercanti d’armi in affari con i Black Heth, e poi direttamente con i fornitori di questi ultimi: ovviamente si trattava della Confederazione dei Mercanti (e, di conseguenza, dei Sith), decisa a usare i Black Heth per portare disordine nella capitale della Repubblica in vista del colpo di mano su Naboo e dell’inizio dell’opera di conquista di Darth Sidious narrata nella trilogia prequel.  

Obi-Wan: un gioco che si difendeva bene

L’idea alla base del gioco era semplice e logica: dare risalto a quello che all’epoca, due anni prima de L’Attacco dei Cloni e dell’esordio di Anakin Skywalker come nuovo protagonista della serie, era visto da molti come l’unico erede di Luke come “immagine/icona” del nuovo Star Wars. E ciò nonostante il fatto che fra i pochi meriti de La Minaccia Fantasma ci fosse la capacità di essere abbastanza corale e presentare varie figure interessanti e compatibili fra loro, fra lo stesso Obi-Wan, il piccolo Anakin o Padmé. 

Mettiamo subito in chiaro che parlando di Obi-Wan non stiamo parlando di un capolavoro o di un must-have, ma di un tie-in che all’epoca venne definito abbastanza opaco per vari motivi, dai modelli grafici al risparmio alla poca incisività delle meccaniche per arrivare alle limitazioni tecniche che un prodotto console only poteva avere all’epoca (la versione PC venne infatti cancellata e tutte le risorse spostate su Xbox). 

Del resto stiamo parlando di un’innocua operazione commerciale, fatta per cavalcare l’onda buona e portare a casa qualche altro miliardo di dollari. 

Tuttavia, in termini di gameplay gli elementi interessanti non mancavano, a partire da un combat system che permetteva di usare la spada laser con lo stick analogico destro del controller Xbox, dando al giocatore la possibilità di avere piena padronanza della propria arma Jedi. Una caratteristica che ancora oggi è un unicum nell’universo dello Star Wars videoludico, e che se ci pensiamo potrebbe, se ben implementato, diventare una piacevole costante. 

Secondo elemento d’interesse era poi l’opera di revisione ed espansione di Episodio I, a suo modo un buon esempio di riscrittura del racconto cinematografico cinema per il mezzo videoludico.

All’epoca, infatti, il tie-in virava spesso verso operazioni al risparmio, e ciò dal punto di vista narrativo si rifletteva nel fatto che una volta comprato il gioco il fan del franchise cinematografico XY si ritrovava in mano o una riduzione decente (quando andava bene) o una rielaborazione molto libera e divertente ma spesso lontana dal fascino dell’originale (quando andava benino) o un gioco che non c’entrava nulla col materiale di partenza.

Di fronte a questo scenario, l’operazione di Obi-Wan era un piccolo esempio di virtuosismo, in cui da una parte c’era come detto una messa in scena non perfetta e ricca di pecche e ingenuità, dall’altro un gioco che tentava di conciliare storyline originale e materiale costruito ad hoc per incentrare l’attenzione su Obi-Wan.

Questo avveniva creando una sorta di “backstory” a Episodio I e al contempo espandendo alcune sezioni del film, come quella su Tatooine. In quest’ultimo caso, per esempio, gli sviluppatori immaginarono una forse semplicistica ma adatta subquest con la Regina Amidala rapita dai predoni Tusken su Tatooine, con Obi-Wan chiamato ad andarla a recuperare.

Senza dubbio, se Obi-Wan non era un gran gioco, era per lo meno un’operazione con la giusta ambizione, lontana da giochi simili che riducevano all’osso o tradivano la componente “narrativa” originaria (come The Mummy, tratto dall’omonimo film del 1999 in cui per esempio tutta l’azione veniva stravolta per esigenze di budget).

Obi-Wan avrebbe meritato di più videoludicamente?

Infine, prima di lasciarci dopo questa bella spremuta di videogioco vintage, due righe di riflessione.

Le avventure del maestro Jedi sarebbero considerabile un buon soggetto per un eventuale nuovo videogioco? La sua vicenda sarebbe stata più adatta a una nuova incarnazione ludica, piuttosto che a una serie?

Senza dubbio, una storia costruita attorno al vecchio Ben non avrebbe quella freschezza narrativa che potrebbe avere il Mando di The Mandalorian, personaggio pressoché vergine che potrebbe passare dalla pellicola al pixel senza perdere nulla e anzi guadagnando in possibilità e libertà creative (pensate a quanto sarebbe bello un open-world su The Mandalorian). Il caro vecchio Jedi potrebbe però ancora avere qualche cartuccia da sparare, anche solo per il fatto che la miniserie Disney+ copre solo pochi mesi dei circa vent’anni che separano La Vendetta dei Sith da Una Nuova Speranza.

L’idea di poter girare la Galassia in cerca di persone da aiutare nei panni di un vero e proprio monaco guerriero leggendario come Obi-Wan-e non di un padawan acerbo come Cal Cestis in Jedi: Fallen Order, con tutto il rispetto per Cal-per più al centro di un’epoca ricca di eventi come quella del culmine dell’Impero, poteri della Forza di alto livello, è di sicuro qualcosa di suggestivo. 

Obi-Wan è di fatto uno dei personaggi chiave di una mitologia che ha attraversato gli ultimi quarant’anni e ha segnato l’immaginario collettivo, e poterlo interpretare sarebbe una grande opportunità.

Accadrà?

Probabilmente no, perché Disney non lascerebbe mai in pasto un personaggio principale e di spessore come Obi-Wan a una side-story, però ammettetelo: in caso di un prodotto del genere, vi ci lancereste anche voi, senza pensarci due volte.

This post was published on 29 Giugno 2022 14:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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