Dopo l’analisi della difficoltà nei videogiochi, tocca esplorare un altro tasto dolente dell’universo dei giocatori: I gusti. Ma essendo io un appassionato di game design, non voglio parlare dei gusti tipo se giocare a FIFA o PES, a CoD o Battlefield, ma voglio invitarvi nel mondo della psicologia applicata alle motivazioni del giocatore.
Cioè cosa vi porta a preferire Valorant al posto di Dota, cosa vi porta ad odiare Animal Crossing ma ad amare Doom. La psicologia ci viene in aiuto e tramite la magia della psicometria (scienza che si occupa della teoria e della tecnica della misura in psicologia) riusciremo anche a definire uno spettro in cui i giocatori possono rientrare.
La speranza che questo possa aiutare anche a capirvi di più come giocatori, e a non fare acquisti compulsivi, come ho fatto spesso io, alle prime offerte su Steam solo per poi scoprire che abbiamo dei gusti un po’ particolari e ci ritroviamo con 150 giochi mai finiti.
Una fonte parziale di questo articolo sarà tratta dai talk della Game Design Conference di Jason VandenBerghe, un uomo con una esperienza invidiabile nel game design e a quanto traspare dai suoi talk, una passione per la psicologia. Lui è stata una delle miei prime fonti di studio di game design; i suoi talk tra i primi a muovere in me la curiosità di esplorare di più la psicometria.
Insomma, il mio articolo vuole aiutare a diffondere le idee, aiutarvi a capirle e far sorgere una discussione. Se alla fine dell’articolo ho catturato il vostro interesse andate a guardarvi i suoi talk, ve li consiglio caldamente.
Disclaimer: Come ogni argomento del genere, ciò che sto per esporre e discutere non è l’unica fonte della verità: è un modello per descrivere in maniera generale i giocatori così da aiutare il processo di design.
In nessun modo le teorie esposte sono il messia, tanto per intenderci.
Nel 1996, un certo Richard Bartle, sviluppatore di MUD (Multi-User-Dungeon), l’antenato testuale degli MMORPG, pubblica sul sito web di MUD un’analisi dei giocatori.
Bartle infatti si accorse, osservando una lunghissima discussione sulle preferenze di gioco nei forum dei giocatori più incalliti di MUD, che i giocatori si distribuivano su due assi: Acting/Interacting (Azione/Interazione) e Players/World (Giocatori/Mondo).
Ove Acting indica una maggiore componente di azione e di informazione risultante spesso in una difficoltà maggiore, invece Interacting rappresenta un’interazione più guidata, più pacata e quasi fine a sé stessa, ad esempio se Dark Souls contiene più acting, i recenti Assassin’s Creed contengono più interacting.
La dicotomia Players/World invece è più intuitiva, Players rappresenta un maggiore peso della parte sociale, chat, gilde, clan e vede la sua massima realizzazione negli MMO, mentre la parte World rappresenta un’esperienza più incentrata sul mondo di gioco e meno sociale come ad esempio con gli RPG singleplayer.
Dall’analisi della distribuzione dei giocatori lungo i due assi, Bartle individuò quattro macro categorie di giocatori:
Coloro che ottengono soddisfazione dall’ottenimento di risultati tangibili. Raccogliere i collezionabili, trovare tutti gli oggetti Leggendari, uccidere tutti i boss opzionali ecc.
Tutti gli speedrunners, i videogiocatori capaci di fare Soul Level 1 su Dark Souls, sono tutti esempi tipici di Achievers.
Gli achievers sono propensi a preferire Acting e World.
Sono coloro che ricercano l’interazione col mondo virtuale, che traggono soddisfazione dalla scoperta di segreti, luoghi e storie riguardanti il mondo digitale.
Per loro trovare nuovo equipaggiamento ha senso solo se questo ha una storia speciale, ed è nascosto in qualche luogo mitico.
Questa interazione non è necessariamente pulita, infatti gli Explorers sono anche coloro che cercano le interazioni più particolari del sistema. Finché c’è scoperta gli explorers son contenti.
Tutti gli open world, in un modo o nell’altro, cercano di attrarre questo tipo di giocatori. Gli explorers sono propensi a preferire World e Interacting.
Sono coloro che traggono piacere da aggressioni contro altri utenti o il gioco stesso.
Per i Killers non è solo importante vincere, ma ci tengono a farlo schiacciando l’altra parte. Addirittura Bartle dice che per i Killers in MUD, maggiore è la disperazione del sconfitto alla morte del suo personaggio, maggiore sarà la gioia del killer.
L’habitat naturale dei Killers in genere sono i giochi competitivi di ogni genere.
I killer sono propensi a preferire Acting e Players.
I Socializers traggono piacere da interazioni con altri giocatori, preferiscono comunità e danno molto peso alle interazioni e relazioni umane nel mondo di gioco.
Gli MMORPG di recente uscita hanno una fortissima componente sociale permettendo anche dei matrimoni virtuali.
I Socializers sono propensi a preferire Players e Interacting.
È probabile che in un modo o nell’altro vi riconosciate all’interno di una o più di queste categorie ma state bene attenti: la realtà è che i gusti possono cambiare con il tempo.
Io stesso so che nel pieno della mia adolescenza ero probabilmente un fortissimo killer, mentre ora mi riconosco nella parte opposta dello spettro.
Non solo le esperienze personali, così come il semplice avanzare dell’età possono modificare il nostro orientamento nell’asse cartesiano può variare da gioco a gioco, ergo la Tassonomia di Bartle, seppur incredibilmente visionaria e reale, non basta.
Per fare il prossimo passo nell’analisi del gusto, e delle motivazioni dei giocatori, ci serve fare riferimento ad una tassonomia della personalità chiamata BIG 5, usata moltissimo in ambito tecnologico.
Senza dilungarmi troppo, la teoria dei BIG 5 descrive cinque tratti fondamentali che descrivono gli individui: Estroversione, Amicalità, Coscienziosità, Nevroticismo, Apertura Mentale, ognuna delle quali ha diverse sfaccettature.
Se vi interessa di più, questo articolo è serio e dovrebbe darvi abbastanza informazioni.
Jason VandenBerghe, in un talk della GDC del 2013 presenta il risultato delle sue ipotesi ( e ricerche): Individua una correlazione tra i tipi di giocatori e i tratti dei BIG 5, escluso il nevroticismo.
Nel suo talk VandenBerghe individua legami tra: Estroversione e Novità, Coscienziosità e Sfida, Apertura mentale e Stimolazione e Amicalità e Armonia e associa a ciascuno degli elementi da lui introdotti un piano cartesiano con dei tratti.
Ad esempio Novità (Novelty) ha due assi: Fantasia/Realismo e Costruzione/Esplorazione.
Replicandolo per ogni tratto, VandenBerghe riesce a creare una tassonomia più avanzata del giocatore, in cui è più facile ritrovarsi. Il modello però risulta in qualche modo parziale anch’esso se analizzato da solo.
Infatti questa tassonomia descrive perché ci interessiamo ai giochi, e non perché ci piacciono e li giochiamo per centinaia di ore: è un ottimo filtro per capire quali giochi verranno comprati da quali giocatori.
Il mio consiglio è di guardarvi il talk e provare a capire qual è la vostra posizione nei quattro elementi e provare a distribuire i vostri giochi preferiti, facendo attenzione a quanto coincidano.
Analizzati e categorizzati i gusti, nonché le ragioni per cui siamo interessati ad alcuni giochi, Jason VandenBerghe prosegue la sua ricerca domandandosi cosa è che tiene incollati i giocatori alla sedia per centinaia di ore.
Infatti, analizzando la relazione tra un videogiocatore e un gioco, lungo un periodo di tempo esteso, Jason si accorge che, col passare del tempo, i gusti importano sempre meno.
Sono sicuro che a tutti sia capitato di giocare qualcosa apparentemente fuori dalle nostre corde, ma che abbiamo sempre più apprezzato col passare delle ore a prescindere dagli elementi discussi in precedenza.
Jason VandenBerghe chiama questo fenomeno Affinità (Affinity) e, in pieno suo stile, lo riconduce a un’altra teoria della psicologia: L’autodeterminazione.
La teoria dell’autodeterminazione afferma che l’essere umano abbia tre bisogni primari che ha bisogno, in un modo o nell’altro di soddisfare:
La competenza è il bisogno umano di sentirsi (ed essere) competente e di padroneggiare una qualsiasi abilità. Nei videogiochi è rappresentata dalla difficoltà, la complessità delle meccaniche e la loro profondità. Un gioco capace di soddisfare il bisogno di competenza è un gioco che sfida costantemente il giocatore e gli fa sentire i suoi stessi progressi. Alla fine i Souls Like sono tutti basati sulla scarica d’adrenalina e competenza di questo genere, ma vi invito a leggere il mio articolo specifico sulla difficoltà per saperne di più.
L’autonomia rappresenta il bisogno universale di essere protagonisti della nostra stessa vita, di poter agire e scegliere (in inglese, Agency) e di verificare e vedere l’impatto delle scelte. Nei videogiochi rappresenta la possibilità di scegliere, di personalizzare le proprie esperienze e di avere un impatto sul mondo di gioco. Red Dead Redemption 2, ad esempio, compie un lavoro magistrale nel far sentire il peso di ogni azione del giocatore e di far reagire il mondo di gioco logicamente di conseguenza.
Le Relazioni rappresentano invece l’universale bisogno di interagire e di sentirsi connessi con qualcuno (persona o personaggio), e di sentirsi parte di qualcosa di più grande. Nei videogiochi, il sistema di gilde, di clan, di gruppi sociali ammiccano tutti al bisogno dei giocatori di avere relazioni.
Ma un altro esempio può anche essere in un GDR singleplayer la possibilità di relazionarsi con i personaggi di gioco e avere un impatto nella loro vita soddisfa il bisogno di relazioni (Persona 5, parlo proprio di te).
Queste tre bisogni costruiscono in buona parte le motivazioni per cui intraprendiamo delle attività, compreso il giocare. Alla fine del talk, Jason VandenBerghe individua tre punti chiave:
Vi invito a fermarvi a pensare quanti giochi perfettamente nei vostri gusti non siete riusciti a finire e perché, per molti di questi scoprirete che da qualche parte il gioco non è riuscito a soddisfare abbastanza i tre bisogni universali.
Jason VandenBerghe però non era ancora contento di quanto aveva già scoperto. Tra il salto dalle personalità e i gusti, alla teoria dell’autodeterminazione vi era un salto che non si spiegava.
La soluzione arriva nel talk successivo nei Drives, in Italiano traducibili in Pulsioni o Impulsi. Jason VandenBerghe osserva che quando i videogiocatori giocano, questi tendano ad avere simili comportamenti e a essere guidati da impulsi simili.
Il videogioco ergo dovrebbe costruire un sistema capace di dare spazio a questi impulsi.
Ad esempio uno spazio open world simile a quello di Elden Ring, sicuramente permette all’impulso della curiosità di essere completamente soddisfatto.
Questi impulsi sono dunque il traino che ci porta dai BIG5 alla teoria dell’autodeterminazione, dai gusti ai bisogni.
Tra le varie pulsioni, Jason VandenBerhe si dimostra particolarmente interessato a quella del Fight or Flight (attacco o fuga), come pulsione primaria che molti dei videogiochi sfruttano, ma non tutti i giochi risultano terreno fertile.
Su quale pulsione primaria dunque si basano i giochi tipo Animal Crossing, Stardew Valley e simili?
Jason VandenBerghe, come un mago dalle mille teorie della psicologia, analizza la pulsione opposta al Fight or flight: Il tend-and-befriend (traducibile con prendersi cura e fare amicizia).
Alcune teorie psicologiche (esempio per chi non vuole leggersi il paper) infatti dimostrano che la pulsione di prendersi cura di qualcosa, di essere amichevole (simile all’amore materno) è altrettanto forte quanto il Fight or Flight e può essere spesso sostituito con il giusto contesto.
Riassumendo un gioco deve dunque lasciare lo spazio alle pulsioni del giocatore di trovare sfogo e soddisfazione, così facendo potranno conquistare il giocatore abbastanza a lungo da far entrare in gioco la teoria dell’autodeterminazione.
In effetti ad un’attenta analisi, quanti giochi abbandoniamo poiché frustranti? Da cosa deriva la frustrazione? In un certo senso la frustrazione deriva esattamente dall’incapacità del gioco di permettere alle nostre pulsioni di correre libere.
Forse, e questo è un mio pensiero, è proprio questa capacità dei videogiochi di essere piccoli contenitori di sfogo e soddisfazioni che li rendono così efficaci e piacevoli.
In sostanza, anche il discorso sui gusti risulta complesso e avere radici nella psiche umana, e quanto descritto qui non è che la punta dell’iceberg. Sono sicuro che queste teorie potrebbero essere corroborate o invalidate con le giuste ricerche. Forse sarebbe in effetti arrivato il momento di spingere verso una maggiore ricerca in questo campo, maggiore ricerca nel game design, nella psicologia applicata ai videogiocatori. Chissà, nelle mani giuste, potrebbe portare a un futuro migliore.
Il mio invito è come sempre quello, se l’articolo vi ha interessato, di guardare direttamente le fonti e magari mettervi in gioco e capirvi un po’ di più. Vi assicuro che ne varrà la pena.
This post was published on 9 Agosto 2022 14:00
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