Prima o poi bisogna pur occuparsene. Anche controvoglia, anche con le sopracciglia aggrottate.
Il concetto di Metaverse, volenti o nolenti, ci viene imposto dalle grandi aziende dell’hi-tech che lo vendono come la nuova terra promessa, assieme ad NFT e blockchain, continuamente propinatici dai tycoon dell’industria del gaming come mezzi necessari a raggiungere nuove frontiere del videogioco. Se solo pochi anni fa discorsi del genere sarebbero stati etichettati come farneticazioni di multimilionari troppo entusiasti, nel 2022 appare evidente che alcune fondamenta di questo gigantesco apparato tecno-socio-culturale siano state gettate. E siano qui per restare.
Proprio il nostro medium preferito sembra essere il terreno privilegiato in cui far germogliare i semi del Metaverse, come dimostrano i più recenti esperimenti delle major videoludiche, a partire da Epic e il suo Fortnite fino ad arrivare ai sempre più ingenti investimenti dei produttori hardware nel settore della VR.
È ancora presto per capire se il futuro che si profila all’orizzonte abbia i connotati del sogno o dell’incubo, ma una cosa è certa: videogiochi e metaverso diverranno sempre più inscindibili nei prossimi anni, e il meglio che possiamo fare è cercare di studiare il più possibile il fenomeno, pur se con una cautela che personalmente si avvicina molto alla repulsione.
Fate un bel respiro: pronti per un tuffo nel Metaverse?
È il 1992 quando il termine “Metaverse” viene inventato. Ne è artefice lo scrittore americano Neal Stephenson, che ne fa un elemento cardine del suo romanzo di fantascienza Snow Crash. In esso il Metaverse è una sorta di evoluzione di Internet, un ecosistema virtuale 3D in cui ogni utente è rappresentato da un avatar.
Il Metaverse si configura come una sterminata metropoli i cui asset immobiliari sono gestiti da una holding virtuale, controparte di una reale multinazionale che sovrintende alle operazioni di compravendita. Questa realtà alternativa è accessibile tramite un network in fibra ottica diffuso in tutto il globo: ci si interfaccia al suo interno tramite dispositivi indossabili per la realtà virtuale, che restituiscono all’utente una visuale in prima persona di questo universo alternativo.
Dalla pubblicazione del romanzo in poi il termine viene occasionalmente utilizzato per riferirsi alla nascenti comunità virtuali online che, specialmente grazie alla videoludica, iniziano a prendere forma in modo sistematico proprio a partire dagli anni ’90 (anche se i primi esperimenti in tal senso risalgono addirittura agli anni ’70, come ho illustrato nella #aDevStory dedicata ai pionieri di PLATO). Del resto lo stesso Stephenson concepisce il Metaverse in senso videoludico:
Quello che concepii all’epoca era ciò che oggi definiremmo un mondo 3D multiplayer massivo, il che significa che un grande numero numero di persone è in grado di popolarlo e interagire tra loro in tempo reale. Abbiamo visto queste meccaniche implementate in tanti celebri giochi, perciò ora sappiamo che siamo in grado di realizzarlo.
Neal Stephenson intervistato da Bloomberg Technologies – video completo qui sotto
Dunque non c’è dubbio sul fatto che il videogioco sia da subito terreno d’elezione per sperimentare la creazione di comunità virtuali, aventi come oggetto di interesse l’interazione multiutente per espletare un’attività ludica. Si tratta insomma degli MMO, che possono essere considerati la prima applicazione pratica del concetto di Metaverse. Di seguito ne cito alcuni, assieme ai casi più significativi di mondi virtuali che si potrebbero definire proto-metaversi:
È nostra profonda convinzione che una caratteristica essenziale di un sistema di cyberspazio sia il fatto che esso rappresenti un ambiente multi-utente. Ciò dipende dal fatto che (secondo noi) gli utenti cercano in questo tipo di sistema abbondanza, complessità e profondità. Nessuno è in grado di produrre un automa che anche solo si avvicini alla complessità di un vero essere umano, figuriamoci di una società intera. Il nostro scopo quindi non è questo, ma piuttosto quello di utilizzare il medium computazionale per aumentare i canali di comunicazione tra le persone.
Chip Morningstar e F. Randall Farmer, The Lessons of Lucasfilm’s Habitat – il documento è interamente leggibile qui
Nessuno dei casi sin qui citati ha però definito se stesso con il termine Metaverse.
La parola coniata da Stephenson è tornata alla ribalta molto più di recente, nel corso del Connect 2021, un evento in live streaming del 28 ottobre dello stesso anno, nel corso del quale è stato annunciato il proposito futuro della compagnia Meta: la realizzazione del metaverso secondo Mark Zuckerberg.
Il mass medium del futuro sarà ancora più immersivo [rispetto al Web attuale], un Internet incarnato in cui vi ritroverete all’interno dell’esperienza, non limitandovi più a guardarla da fuori. Noi lo chiamiamo Metaverse.
Mark Zuckerberg, Connect 2021
Con queste parole Zuckerberg introduce il piano a lungo termine della sua compagnia, cui il nome Facebook ormai non è più adeguato a rappresentarne l’ambizione: il social network per antonomasia creato dal geniale imprenditore ha plasmato il mondo di Internet e della comunicazione tutta negli ultimi 15 anni, ma esso non è più sufficiente a rappresentare, da solo, il futuro del Web. Per realizzare il Metaverse secondo Zuckerberg, occorre innanzitutto trasformare l’esperienza stessa di fruizione dell’informazione digitale rendendola totalizzante per l’utente, che deve esservi completamente immerso.
Una vera e propria realtà virtuale che sia in grado di abbattere qualsiasi barriera fisica di spazio e di tempo:
Crediamo che il Metaverse sarà il successore dell’Internet mobile. Riusciremo a provare una sensazione di presenza, come se fossimo davvero in compagnia di altre persone, non importa quanto distanti. Saremo in grado di esprimerci con modalità nuove, ancor più gioiose ed immersive. Ciò consentirà l’accesso ad esperienze sempre più incredibili. Quando manderò ai miei genitori un video dei miei figli, potranno provare la sensazione di trovarsi davvero con noi, non di stare sbirciando da un piccolo monitor. Quando videogiocherete con i vostri amici, vi sembrerà di essere davvero insieme in un mondo parallelo, non di essere soli davanti ad un computer. E nel corso di un meeting organizzato nel Metaverse, vi sembrerà di essere tutti insieme, potendo mantenere il contatto visivo con gli interlocutori e avendo la sensazione di condividere lo stesso spazio fisico, senza stare semplicemente guardando una griglia di volti su uno schermo.
Mark Zuckerberg, Connect 2021
Come si evince dalla simulazione di un tipico ritrovo di amici nel Metaverse (andate circa al minuto 4 del video per iniziare il trip), l’immersione passa attraverso un oblio momentaneo del mondo reale. Ovviamente questo risultato può ottenersi solo tramite dispositivi di tecnologia indossabile.
Allo stato attuale è logico pensare a versioni sempre più rifinite degli odierni visori VR, ma non è da escludere che nei piani di Meta possa esserci la realizzazione di ulteriori periferiche, magari in grado di restituire feedback aptici: Sony del resto ha già iniziato a muoversi in tale direzione, anche se il controller DualSense è rimasto finora un caso isolato.
Il parallelismo con l’industria del gaming non si ferma certo qui: nello “Zuckerverse” ogni utente gode di una propria rappresentazione 3D, un avatar liberamente personalizzabile come già avviene da decenni nell’ambito videoludico. Certamente la visione di Meta è di una perfetta imitazione della nostra prossemica da parte dell’avatar stesso, o comunque la facoltà di noi utenti di potergli far compiere qualsiasi tipo di movimento: un obiettivo complesso che non sembra essere ancora alla nostra portata tecnologica.
Un punto importante riguarda poi la portabilità del nostro avatar in tutti gli spazi virtuali del Metaverse, non relegandolo ad un singola applicazione, né tantomeno obbligando l’utente a creare un avatar diverso per ciascuna di esse. Adottando una prospettiva più ampia, è ovvia l’aspirazione all’ottenimento di un’unica identità digitale, con la quale accedere a qualsiasi esperienza il Metaverse abbia da offrire: la fine, insomma, di decine e decine di account e password facenti capo ad un singolo utente, in favore magari di un unico “passaporto Web” da usare in ogni occasione?
Come nei migliori simulatori di mondi virtuali, ogni utente dovrebbe avere un proprio hub di accesso al Metaverse (una versione embrionale di questo progetto è l’applicazione Horizon Home, accessibile in beta tramite visori Oculus Quest 2), liberamente plasmabile e modificabile, che sia esso un appartamento di lusso con vista sull’oceano o qualcosa di completamente diverso. L’hub potrà essere “arredato” con creazioni dell’utente stesso, creazioni su cui l’utente possiederà un diritto di proprietà e sarà quindi in grado di cedere o vendere ad altri utenti.
È chiaro insomma che la visione di Zuckerberg è quella di una profonda implementazione di valute virtuali, NFT e tecnologia blockchain a costituire un sistema economico complesso dentro al Metaverse, che dovrà essere supportato da un adeguato apparato normativo. L’aspetto potenzialmente inquietante della vicenda è che Meta, una compagnia privata, abbia voce in capitolo in merito alla legislatura ed alle forme di governance di questa realtà virtuale:
[in quanto utenti del Metaverse] vorrete che gli oggetti che create siano di proprietà vostra, non della piattaforma. Ciò richiederà non solamente uno sforzo dal punto di vista tecnico come sta avvenendo nell’ambito di alcuni importanti progetti legati agli NFT e alla tecnologia blockchhain. Significa anche costruire un ecosistema, la definizione di regolamenti e nuove forme di governance. Questo è un aspetto sul quale ci concentreremo in modo particolare.
Mark Zuckerberg, Connect 2021
Se lo scopo ultimo rimanesse puramente ludico, come in un MMORPG o in Second Life, un utente potrebbe delegare a cuor leggero l’utilizzo dei propri dati personali, oltre che l’amministrazione e la governance della piattaforma, all’azienda che l’ha creata; ma nel caso di un metaverso come quello descritto da Zuckerberg le problematiche di tipo legale, etico e forse anche filosofico non sono certo da sottovalutare.
Ovviamente Meta si premura di sottolineare come privacy e cybersicurezza debbano essere pilastri fondanti dell’architettura del Metaverse, tuttavia si guarda bene dall’approfondire la questione, limitandosi a qualche esempio semplicistico del tipo: bloccare l’accesso al proprio hub da parte di utenti indesiderati, o la possibilità di crearsi una bolla privata nella quale starsene da soli per un po’. Ma non basterebbe, a tale scopo, uscire dal Metaverse?
L’ultimo assunto fondamentale riguarda l’interoperabilità dei due universi: nel Metaverse dovrebbe essere possibile introdurre qualsiasi contenuto digitale vogliamo; e viceversa il mondo virtuale dovrebbe potersi “riversare” in quello reale in modo semplice, ad esempio tramite dispositivi di realtà aumentata (AR). Ecco che nel prossimo futuro potremmo camminare in contesti urbani pullulanti di ologrammi, provare un’infinità di vestiti in camerini con funzioni di realtà aumentata e così via (questi esempi sono solo mie speculazioni, ma perfettamente fattibili nel caso in cui lo “Zuckerverse” si avversasse).
Ovviamente ciò sarà possibile solo dopo aver risolto un problema a monte, ovvero la portabilità di un contenuto digitale, che sia USG o meno, all’interno di qualsiasi iterazione del metaverso stesso. Un oggetto che si acquista o si scambia ad un evento virtuale, per capirci, deve poter essere portato anche al di fuori di quell’evento. Ad esempio, un utente che assiste ad un concerto live nel Metaverse ed acquista una skin a tema per il proprio avatar, dovrebbe poterla conservare all’interno del proprio hub, magari in una cabina armadio virtuale, per poterla richiamare a piacimento in altri contesti. Tutto questo non presuppone solamente un sistema economico condiviso in tutto il Metaverse, ma anche una compatibilità a livello di motori grafici e linguaggi di programmazione. L’adozione di standard comuni tra i vari player sarà insomma il primo fondamentale scoglio da superare affinché la visione di Zuckerberg possa concretizzarsi.
Stabilite queste regole generali, vediamo rapidamente alcune declinazioni specifiche del Metaverse secondo Zuckerberg, arrivando a quello che ci interessa di più: il gaming.
Eventi culturali e di svago come mostre e concerti potranno essere esperiti in carne ed ossa ma anche a distanza, tramite immersione nel Metaverse: un utente potrebbe assistere ad un concerto che si sta tenendo dal vivo dalla parte opposta del pianeta indossando un visore VR, che gli restituisca la sensazione di trovarsi in mezzo al pubblico sugli spalti. Allo stesso tempo uno spettatore reale potrebbe vedere comparire accanto a sé i suoi amici collegati da remoto, sotto forma di ologrammi con cui interagire in tempo reale. Per entrambi sarebbe inoltre possibile acquistare e-merch legato all’evento tramite sotto forma di NFT, pagando con criptovalute.
In generale, il Metaverse dovrebbe permettere a creativi ed artisti degli ambiti più disparati di poter imbastire veri e propri business al suo interno, tale da poter campare solo di questo (“make a good living doing this work” sono le esatte parole di Zuckerberg).
Tramite VR e AR il Metaverse dovrebbe consentire un allenamento coordinato tra più persone in ogni angolo del globo. Potrebbe essere possibile prendere lezioni da maestri che vivono molto distanti da noi, o provare esperienze di allenamento sportivo assistiti da IA (ad esempio un match di boxe contro un avatar non umano). Esperimenti di allenamento coadiuvato dai supporti tecnologici e inseriti in logiche di gamification sono una realtà già da molti anni (basti pensare al clamoroso successo di Wii Fit), perciò sulla carta questa sembra un’evoluzione naturale di premesse già consolidate.
Pandemia e lockdown hanno accelerato i processi di diversificazione dei luoghi di lavoro, con un affidamento sempre maggiore al lavoro da remoto. Molte aziende hanno scoperto che possono risparmiare tempo e soldi lasciando i dipendenti a lavorare da casa (o da qualsiasi altro posto), e non c’è dubbio che molte di queste pratiche non verranno eliminate, anzi aumenteranno.
Il Metaverse spingerà in questa direzione agevolando i meeting di lavoro in modalità ibrida, in presenza e virtuale: che si svolga interamente in una stanza creata ad hoc nel metaverso, o in modalità mista con persone fisiche ed ologrammi dei colleghi accanto a loro, la piattaforma concepita da Zuckerberg dovrebbe favorire la diminuzione di inutili spostamento con conseguente vantaggio in termini di traffico e inquinamento, nonché una generale diminuzione dello stress ed aumento del tempo libero.
Ovviamente, ancor prima delle implementazioni di app e servizi ad hoc nel Metaverse, il problema principale riguarda la diffusione delle infrastrutture di rete ad alta velocità: un tale scenario può concretizzarsi solo con uno sforzo notevole da parte delle istituzioni per diffondere capillarmente il network su tutto il territorio nazionale, un processo che chiaramente procede a velocità diverse da paese a paese.
Nell’ambito formativo/educativo esistono già alcune applicazioni dedicate all’apprendimento tramite realtà virtuale. Si possono immaginare ambiti privilegiati come la medicina, in cui poter studiare modelli anatomici 3D o simulare interventi chirurgici; oppure l’archeologia, in cui poter simulare una passeggiata nell’antica Roma. Ma in realtà tantissimi ambiti, dall’architettura all’ingegneria, possono beneficiare di strumenti di VR e AR. E non è difficile immaginare lezioni scolastiche immerse nel Metaverse, per poter “toccare con mano” la propria materia di studio. Senza contare la manualistica, e in generale i tutorial di installazione, manutenzione ed utilizzo di apparecchiature meccaniche, elettroniche o di altro tipo. Anche il bricolage potrebbe essere più facile e divertente tramite la realtà aumentata o quella virtuale. D’altronde i simulatori sono usati da oltre mezzo secolo in ambito militare, ed una sempre maggior democratizzazione di queste tecnologie non può che essere positiva, facilitando l’accesso all’istruzione.
Da questo punto di vista il gaming è una testa di ponte, dato che videogiochi educativi esistono da decenni, ed anche titoli non nati con questo scopo possono essere facilmente adattati a fini scolastici (basti pensare alla modalità Discovery Tour di Assassin’s Creed: Valhalla, o ai mini-documentari storici di Age of Empires IV).
Il gaming sarà per moltissimi utenti l’accesso privilegiato al Metaverse: in virtù delle sue community, il videogioco è il territorio ideale con cui esplorare le nuove tecnologie di VR e AR. Ovviamente Meta spinge moltissimo sulle IP presenti su Oculus Quest, di cui decanta i successi milionari (nel 2021 Beat Saber ha fatturato più di 100 milioni di dollari) e considera particolarmente adatti per la sua strategia tutti quei giochi che contemplino caratteristiche da multiplayer massivo. Mantenere una comunità attiva su prodotti live service (titoli caratterizzati da aggiornamenti regolari che ne espandano continuamente l’esperienza) assicura un costante ritorno economico allo sviluppatore e permette l’esplorazione di meccaniche di interazione tra i giocatori teoricamente sempre nuove.
In quest’ottica è chiaro che MMO e eSports prolifereranno sempre più nei prossimi anni, di pari passo con la crescita del metaverso.
Rimane comunque un annoso problema collegato alla tecnologia VR, ovvero il motion sickness. Il nostro esimio Riccardo Galdieri ha analizzato esaustivamente il problema in questo articolo dedicato. La sensazione di nausea/stordimento che l’utilizzo dei visori causa in alcuni utenti potrebbe rappresentare per alcuni uno scoglio insormontabile all’accesso a molte esperienze all’interno del Metaverse. Senza contare altri problemi pratici, ad esempio la semplice mancanza di spazio in casa, o il prezzo non indifferente delle periferiche, che possono far desistere dall’acquisto di tali dispositivi.
Vero, con il progresso costante della tecnologia, le future generazioni di visori diminuiranno vieppiù i casi di malore tra gli utenti, ma il fenomeno non potrà mai essere del tutto eliminato. Stando così le cose, alcune delle esperienze più immersive del Metaverse rischiano di rimanere appannaggio di una nicchia piuttosto ristretta di fruitori.
Ora che abbiamo un’idea dei piani di Meta per i prossimi anni, è venuto il momento di chiederci come si stia muovendo il resto dell’industria videoludica in termini di metaverso: quali sono i trend del mercato in questo senso? Il Metaverse cambierà per sempre il videogioco così come lo conosciamo oggi? A inizio anno la società di analisi dati Newzoo ha stilato un report dedicato al Metaverse in ambito gaming. Ecco cosa è emerso.
Coniare una formula che sintetizzi il processo di trasformazione del medium videoludico in questa fase non è cosa semplice, anche perché è tutto in divenire: il metaverso è annunciato da molti, da alcuni auspicato addirittura, ma è lungi dall’essere compiuto.
E tuttavia alcune pratiche in ambito gaming sono già state poste in essere. Newzoo ha trovato un modo particolarmente efficace per definire questa fase: si tratterebbe di un cambio di paradigma da GaaS a GaaP, ovvero da Games-as-a-Service a Games-as-a-Platform. Cerchiamo di capire cosa significhi.
In principio era il videogioco.
E il videogioco era presso il negozio di giocattoli, assieme alla sua custodia ed il suo manuale di istruzioni. Ed era cosa buona e giusta.
Poi il videogioco si espanse: diventò qualcosa di più di un semplice balocco, nacquero negozi specializzati, riviste e fiere dedicate. Il videogioco cominciò anche a convergere con altri medium, ad esempio con il fenomeno dei tie-in.
Con la diffusione di Internet i videogiochi online videro crearsi attorno comunità di fan devoti. Gli sviluppatori pubblicarono i primi timidi contenuti aggiuntivi a pagamento, sotto forma di contenuto scaricabile (DLC).
Il Web 2.0 e la diffusione delle competizioni multiplayer favorirono la nascita dell’industria dell’eSport; la comparsa dei primi creativi/influencer a tema videoludico portò ad una iniezione di liquidità e sponsorizzazioni da parte di aziende che mai si erano affacciate a questa industria. L’avvento di Twitch, piattaforma di streaming prevalentemente orientata al gaming, fu l’apripista per una nuova generazione di contenuti e modalità inedite di fruire il medium.
Oggigiorno il videogioco è ormai solo un tassello di un insieme più vasto, un’industria di franchise multimediali che coinvolgono anche cinema, musica, editoria, moda. In quest’ottica l’approdo del gaming al metaverso appare uno sbocco naturale ed inevitabile.
Non si tratta più di fare del singolo videogioco il termine ultimo dell’esperienza di intrattenimento, cercando quindi di mantenere l’engagement del pubblico con tutto il corollario di espansioni e acquisti in-app tipico della logica Games-as-a-Service; prende sempre più piede la strategia commerciale che intende il videogioco come un semplice punto di partenza, un hub al cui interno sia possibile vivere tante esperienze diverse, o a cui rimandino contenuti esterni su licenza (è il motivo alla base del sempre maggior successo dei giochi IP-based, ne ho parlato in questa analisi di mercato).
Ecco il significato di Games-as-a-Platform: il videogioco inteso non più come punto di arrivo, ma punto di partenza per un’esperienza multimediale molto più vasta e totalizzante.
Affinché questa idea di GaaP si concretizzi, è fondamentale spingere un sempre maggior numero di utenti a fruire il videogioco come un social media: un luogo di ritrovo virtuale per svolgere attività con i propri amici o la propria community, anche al di fuori del core gameplay del titolo. Pensiamo ad esempio all’ormai celeberrimo evento Astronomical, le due esibizioni virtuali di Travis Scott avvenute su Fortnite il 23 e 25 aprile 2020, che ha totalizzato oltre 180 milioni di visualizzazioni su YouTube ed ha accumulato oltre 16 milioni di ore di riproduzione.
Quanto siamo vicini alla concretizzazione del Gaap? Diciamo che manca ancora un po’: un campione di giocatori dai 14 ai 50 anni sondato da Newzoo ha indicato di prediligere ancora i social media tradizionali rispetto al videogioco, per quanto concerne l’entrare in contatto e passare del tempo con i propri amici. Un quarto del totale degli intervistati ha dichiarato di provare questo tipo di esperienze di tanto in tanto, e solamente il 13% ha dichiarato di ricorrere spesso a tali pratiche di fruizione. Il paese capofila in questo senso è la Cina ove, tra consumo abituale o solo occasionale, ben il 53% del campione è avvezzo a esperienze sociali in ambito gaming; al secondo posto troviamo gli Stati Uniti (34%); riscontri complessivamente ancora bassi si registrano invece in UK (27%) e Giappone (23%).
D’altro canto si può però individuare una comunanza di vedute tra gli utenti e l’industry. L’idea di trasformare sempre di più di videogiochi in piattaforme (anche) sociali sembra coincidere con le aspettative dei giocatori riguardo il metaverso: il campione intervistato da Newzoo ha infatti indicato al primo posto delle attività desiderate nei GaaP la possibilità di incontrare e passare il tempo con amici e parenti, ancor prima che assistere ad eventi specifici come concerti, sfilate di moda, conferenze e così via. C’è insomma prima di tutto una volontà di incontrarsi e socializzare con altre persone: e poi dicono che i videogiochi favoriscono l’isolamento!
In questo articolo introduttivo al concetto di Metaverse ho cercato di illustrare (e di capire io stesso) le caratteristiche fondamentali di questo trend, la sua filosofia di fondo, la sua applicazione in ambito gaming e lo stato dei lavori al tempo attuale.
Restano da approfondire almeno due aspetti: il sistema economico legato ai GaaP, con le nuove pratiche Pay-to-Earn che stanno ormai emergendo; e le pratiche corollarie di engagement del pubblico dei gamers al di fuori del medium videoludico in senso stretto, a partire dal social medium di maggior diffusione tra i più giovani, cioè TikTok.
Chissà che prima o poi non decida di affrontare entrambe le questioni… voi restate sintonizzati!
This post was published on 9 Giugno 2022 14:30
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