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Speciali

LEGO Star Wars-La Saga degli Skywalker è il miglior modo per godersi la saga nel 2022

Uscito dopo un’attesa interminabile e atteso con fervore, LEGO Star Wars-La Saga degli Skywalker ha segnato un felice connubio fra due brand storici quali la saga creata da George Lucas e gli amatissimi mattoncini colorati, che in quest’epico gioco hanno trovato forse la sede del loro incontro definitivo grazie all’ambizione di Traveller’s Games e TT Games.

Se tuttavia già la nostra recensione (la trovate qui), curata dal sottoscritto, aveva evidenziato l’indubbio pregio del gioco, oggi affrontiamo un altro tema: cosa può trovare in La Saga degli Skywalker un appassionato di lunga data del brand? Una semplice operazione commerciale in grado di cavalcare la nostalgia per gli episodi più vecchi della serie, o qualcosa di più?

La risposta, credetemi, non è scontata, e tenterò di spiegarvi perché.

Star Wars: storia di un brand travagliato

Come già detto in sede di recensione, La Saga degli Skywalker è davvero un piccolo gioiellino videoludico: immediato, ben costruito dal punto di vista tecnico e visivamente accattivante, il lavoro di TT Games è un’opera divertente e appagante, soprattutto grazie a una longevità davvero notevole (stiamo parlando di un unico gioco che riunisce al suo interno nove kolossal cinematografici, ricordiamocelo).

Tutto è (quasi) perfetto, dalle meccaniche all’effetto nostalgia fino all’uso dell’ironia, mai di troppo.

Un’alchimia di successo che fa dimenticare con piacere anche un dato di fatto pesantissimo che gravita su ogni prodotto legato al brand: per molti oggi Star Wars non è più un marchio amabile sempre e comunque, a causa di una miriade di polemiche, questioni discutibili e oggettivi passi falsi accumulati nel corso degli anni. Io stesso, vecchio appassionato, sono ormai da tempo abbastanza rattristato dalla piega presa da questo ciclo (di fatto, la space-opera più famosa e “fondativa” del fantastico cinematografico), soprattutto per una certa sensazione di “posticcio” che ha accompagnato l’uscita dell’ultima trilogia.

La dico in parole semplici, giusto per esporre una tesi utile a questo articolo: la terza trilogia di Star Wars è per me la peggior disfatta che un grande team creativo, con a disposizione un budget potenzialmente illimitato, potesse conseguire. Un’opera senza una visione, sfilacciata, con tante buone idee buttate in pasto al “sentiment” popolare e mutate in maniera pasticciata in corso d’opera.
Un vero disastro produttivo che sembra ancor più inspiegabile nell’era successiva a un’operazioni cinematografica straordinaria quale Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, quest’ultimo perfetto esempio di come gestire progetti del genere. Uno sfacelo tale da portare molti addirittura a rivalutare un prodotto retorico, pacchiano e pieno di gigantissimi WTF come la famigerata trilogia prequel dei primi anni 2000 (oh, almeno lì c’era l’epica).

Non è infatti un mistero che oggi il pochissimo amore ancora rimasto nel cuore dei fan è legato a prodotti secondari rispetto al canone della “nuova trilogia”: pensiamo a The Mandalorian, col suo tono episodico e scanzonato che si avvicina ai serial anni ’40, pensiamo a quel gran film di guerra che è Rogue One (2016) ma soprattutto-dato che parliamo di videogiochi-pensiamo all’ottimo risultato di Star Wars Jedi: Fallen Order, che ha portato in alto il brand da questo punto di vista.

A questa riflessione sul lato “artistico” della serie, senza dubbio problematico, se ne aggiunge uno sul versante “sociologico” che aggrava la situazione in una maniera assurda, in quanto a essere peggiori dei pastrocchi della produzione di SW sono soltanto le reazioni smodate a essi, tali da frammentare la fanbase in tanti piccoli nuclei a loro modo tutti tossici o semi-tossici: dai duri e puri che son disposti a passare sopra qualsiasi passo falso, portatori della sacra religione di SW intransigenti contro tutte le critiche (quasi i più innocui), ai fan “da antico testamento” che vedono una bestemmia in tutto ciò che è stato fatto nel brand dopo il 1986 (anno de Il Ritorno dello Jedi), per finire purtroppo con gli ultras degli ultimi anni che hanno portato la loro intransigenza verso derive politiche ispirate alla prospettiva dell’estrema destra americana.

Questa è ovviamente la peggior tipologia di critici, che ha dato costantemente prova di malafede, scarsa capacità di contestualizzazione, volontà di piegare e strumentalizzare determinati elementi della sceneggiatura per veicolare messaggi politici reazionari (non so come altro chiamarli), in un mix di maschilismo, ritrosia verso la rappresentazione delle minoranze all’interno della trilogia ed eccessivo accanimento verso i lati più “progressisti” della saga.

Una situazione drammatica, in poche parole.

E quindi, dopo tutta questa rabbia, frustrazione e bruttezza, cos’ho provato giocando La Saga degli Skywalker?

Semplice: godimento totale.

La Saga degli Skywalker in salsa Lego: la parodia intelligente che aspettavamo

Tutta l’idea di questo articolo (parlare sommariamente di un gioco che aiuta a rileggere criticamente una saga contestata) è venuta da sé mentre giocavo per recensire, e il motivo è in fondo presto detto: La Saga degli Skywalker, dato il suo rileggere un intero universo cinematografico e riproporre su schermo le sue storie, non ha potuto che portarmi a riflettere su quei film, nonché a paragoni fra le diverse saghe, anche strettamente cinefili.

Come detto in fase di recensione, il nuovo Lego Star Wars non è un riassuntone dei film, con vari pezzi dei racconti presi e appiccicati assieme alla rinfusa.


Al contrario, al netto di qualche ovvia semplificazione del materiale di partenza (stiamo parlando di due media visivi profondamente diversi), nel gioco a essere intatto è lo spirito di Star Wars: ci sono le sue ambientazioni, ci sono i suoi caratteri fondamentali, merito di un apparato tecnico perfetto per quelle che sono le esigenze di un’operazione così. 
Pur essendo “a giocattoli” e pur non disponendo di alcune scene maestose del brand, la profondità esplorativa del gameplay rende questo viaggio nella Galassia Lontana Lontana un’avvincente operazione per i fan.

Certo, a cambiare è ovviamente l’approccio.

Come potete immaginare, il tono de La Saga degli Skywalker è comico, ironico, dissacrante, punta a inserire nella narrazione una serie di splendide gag davvero geniali che caricano a dismisura e ironizzano sugli elementi di queste storie, soprattutto quelli più “strambi” e a volte per questo invisi ai fan, come i Porg di Episodio VIII o gli Ewok di Episodio VI (tanto amati da alcuni quanto derisi e detestati da altri) o la melensa storia d’amore fra Anakin e Padmé.

Certo, non è una satira a trecentosessanta gradi, né un’ironia che punta a criticare scelte creative ritenute infelici (stiamo sempre parlando di un prodotto su licenza e anzi costruito assieme al team creativo della Disney).
Tuttavia, è indubbio che l’effetto è da una parte esilarante, dall’altra davvero piacevole, perché permette anche ai fan incalliti, o a coloro che non riescono a fare pace con certe scelte narrative per cui si è optato, di rileggere col giusto distacco quegli eventi e di riavvicinarsi da un altro punto di vista.

Un’operazione che a me ha fatto bene, lo sento: dopo anni di osservazione “frustrata” di una serie di film ormai al centro delle polemiche, La Saga degli Skywalker ha riacceso in me un filo di speranza e di piacere nel riascoltare delle storie che nel 2022 sembrano sempre più assurdamente kitsch e delle volte completamente asservite a logiche di marketing o di “accontentamento” di certe nicchie, logiche che hanno annientato la forza del brand.

Una sorta di celebrazione, di “4 maggio” (lo Star Wars Day, che si tiene ogni anno) quasi-fuori-stagione, strutturato col tono dell’amorevole commedia nostalgica.

Forse, una speranza per riavvicinarsi a un brand ormai divenuto stancante, sia per la qualità assolutamente altalenante che per il suo essere stato circondato da un ambiente oggettivamente tossico.

Okay, ma allora chi è che deve giocare La Saga degli Skywalker?

La verità è che l’ironia dissacrante de La Saga degli Skywalker fa bene a tutti coloro che vogliono amare ancora Star Wars nonostante tutte le complicazioni espresse sopra: fa bene a chi lo prende troppo seriamente (come a volte il sottoscritto) e non perdona i passi falsi di questo giocattolone commerciale di oltre quarant’anni, fa bene a chi ha iniziato a prenderlo in giro tanto da schifarlo per le derive seriose e naif prese con la famigerata trilogia prequel, dovrebbe fare bene a chi lo attacca al suono del tamburo battente perché divenuto “troppo disneyano” nell’ultima trilogia (oh, parliamone: al tempo degli Ewok dov’eravate?!).

Fa bene a chi nel bene o nel male sente il bisogno, ancora, di rimanere ancorato al cinema di genere “fondativo”, pur non diventando un pericoloso nostalgico ed estremista.

E questo, in tempi in cui ci si scorda facilmente la funzione ludica che questi prodotti dovrebbero portare con loro, non è cosa da poco.

Fatevi quindi un regalo: oggi, 4 maggio, giocate questo Star Wars, godetevi con distacco il vostro mito, ritrovate ciò che avete amato di esso attraverso la lente dell’ironia e del gioco.

Non ve ne pentirete.

This post was published on 4 Maggio 2022 14:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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