Come già menzionato nel precedente articolo, l’industria videoludica non è totalmente esente da brevetti, anzi basta una veloce ricerca e subito se ne trovano a bizzeffe.
Non solo, la giovane età dell’industria che noi tutti amiamo non ha impedito alla nascita di piccoli monopoli relativi a scelte di design.
Ad esempio se vi siete mai chiesti perché non si vedevano molti giochi simili a Dinasty Warriors di Koei Tecmo, la motivazione è che il fulcro del gameplay era praticamente patentato fino all’anno scorso.
Nello scorso articolo avevo già introdotto la questione annosa dei brevetti e di come a conti fatti sia difficile tracciare un discorso o un’analisi generale. Con questo articolo cercherò invece di fare proprio quello:
Partendo da una lettura analitica dei brevetti vi guiderò attraverso i ragionamenti che da informatico e appassionato di game design ho maturato dopo aver letto ed esplorato a lungo i brevetti accessibili a tutti.
Il discorso sui brevetti può essere affrontato da due punti di vista: Tecnico e Creativo.
I brevetti sono strumenti specifici e, quando usati con giustizia, riescono a difendere gli interessi senza minare la libertà creativa altrui. I brevetti proteggono investimenti di anni in tecnologie e soluzioni trovate, dunque, considerando i videogiochi come software complessi, l’esistenza dei brevetti è giustificata tanto quella delle proprietà intellettuali sui franchise. Fortunatamente questo non ferma eventualmente la tecnologia dall’essere condivisa.
Infatti ad esempio, Chris Hoge, Lead System Designer a Monolith Productions, ha tenuto una presentazione alla Game Design Conference rivelando alcuni dei segreti dietro il Nemesis System, nonostante il suo brevetto stringente.
Ma i videogiochi sono anche opere d’arte multimediali complesse, brevettare una tecnologia non è la stessa cosa di brevettare una meccanica di gioco.
A volte un brevetto può essere anche controproducente per l’industria.
Fare un discorso generico su tutti i brevetti è impossibile, poiché le conseguenze creative derivano direttamente da quanto generico è il brevetto. Per capire quale potrebbe essere però il rischio basta pensare a ciò: Immaginate che John Carmack, uno degli sviluuppatori dietro Doom brevettassero l’idea di un gioco in prima persona con l’arma visibile tutto il tempo, l’industria dei videogiochi non sarebbe la stessa che conosciamo oggi.
Anzi, John Carmack nel lontano 2000 in un’intervista, rispondendo a una domanda sui brevetti diceva:
The idea that I can be presented with a problem, set out to logically solve it with the tools at hand, and wind up with a program that could not be legally used because someone else followed the same logical steps some years ago and filed for a patent on it is horrifying.
Cioè
L’idea che io possa trovarmi di fronte un problema, lo risolva logicamente con gli strumenti a disposizione, e mi ritrovi con un programma che non può essere usato legalmente perché qualcun’altro ha seguito gli stessi passi logici un anno fa e l’ha brevettato è orripilante.
Forse quella di John Carmack è una posizione estrema: Non tutti i brevetti sono così limitanti. Soprattutto non tutte le software house sono uguali. id Software, casa di sviluppo in cui Johh Carmack ha lavorato a lungo, infatti è forse il primo grande, e popolare, esempio di gaming open source. Addirittura John Carmack per rilasciare pubblicamente il codice di Doom 3 ha riprogrammato parti di codice che usavano una tecnologia brevettata donata in licenza ad id Software (la mamma del Gaming moderno, come l’abbiamo ribettezzata tempo fa.
Oggi il codice open source del primo DOOM e del suo engine idTech 1 vedono utilizzo in centinaia di mod e giochi della comunità (tra cui il discutibile ma italianissimo Grezzo.
In genere, diciamo che per semplificare quando leggevo i brevetti ne individuavo di due tipi: buoni brevetti e cattivi brevetti.
Il buon brevetto è quello che non limita la creatività ma difende la tecnologia sviluppata. Come la ruota di dialogo dei giochi Bioware. Non impedisce nessuno di ottenere lo stesso effetto, impedisce solo di ottenerlo allo stesso modo. Altri esempi possono essere il gameplay duale di the Medium, poiché specifico abbastanza da coprire soltanto palesi plagi, oppure il Play of the Game di Overwatch, poiché limita soltanto la tecnologia e non la presenza di replay simili alla fine di un match competitivo.
Il cattivo brevetto invece, copre molto di più. Il brevetto sul Nemesis System stesso copre una generazione automatica di nemesi e vendette del giocatore in genere. L’area coperta dal brevetto dunque coprirebbe anche un sistema gerarchico di nemici che dinamicamente si evolvono, esattamente come gli orchi di La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra. Altri “cattivi brevetti” sono il sistema della sanità di Nintendo, poiché troppo limitante nella descrizione dell’interazione primaria di “Gioco che cambia in base alla sanità”, che per fortuna è stato aggirato facilmente, o la breve patente che esistita sull’esistenza dei videogiochi stessa, da parte dei creatori di Pong.
Dunque il buon brevetto è limitante dal punto di vista tecnico, ma non creativo. Il cattivo brevetto è limitante invece su entrambi i fronti.
Se solo la realtà fosse così semplice…
La realtà è che brevettare una meccanica o una nuova tecnologia non è esattamente alla portata di tutti. Anzi, a conti fatti risulta un’arma delle grandi compagnie per difendere i propri interessi contro le rivali. Non a caso il Nemesis System non è stato brevettato da Monolith Productions, gli sviluppatori, ma da Warner Bros, cioè l’editore, nonostante il brevetto in sé sia scollegato dall’IP della Terra di Mezzo.
Gli sviluppatori indie o AA non avrebbero nessun tipo di guadagno da un brevetto, eppure sono quelli che, almeno sulla carta, pagherebbero di più il prezzo, poiché chiaramente l’acquisto dei permessi di un brevetto è spesso fuori budget. D’altronde nell’industria videoludica vige un po’ lo stato hobbesiano “Homo homini lupus”, ognuno per sé, esattamente come ogni altra industria, ed è forse proprio questo il fulcro del problema. Le compagnie che producono videogiochi sono considerate al pari di quelle che producono software qualsiasi e agli occhi degli investitori e del mercato la differenza non si pone. I videogiochi non hanno ancora fatto quel passo nel mercato per staccarsi dall’essere un’industria fatta per generare capitale e diventare un’arte e l’esistenza di centinaia di brevetti ne è un esempio eclatante. In un ottica del genere i brevetti non sono che un naturale deterrente e la loro esistenza è inoppugnabile.
Quando cercavo tra i centinaia di brevetti, mi sono accorto che ne esistono così tanti che è impossibile starne realmente alla larga. Sono sicuro che con abbastanza pignoleria si possano trovare decine e decine di giochi che rompono qualche remoto brevetto.
Spesso però i brevetti sono facilmente raggirabili. Come il caso delle frecce che indicavano la strada in Crazy Taxi, brevetto brutalmente bypassato dal gioco dei Simpson (Simpson: Road Rage) cambiando la freccia in un dito. Un altro esempio è come la serie di Amnesia è riuscita a creare un sistema di sanità simile a quello brevettato da Nintendo, ma abbastanza diverso da non risultare una violazione del brevetto.
Anzi nel mondo del game design le limitazioni sono spesso fonte d’ispirazione e terreno fertile per soluzioni intelligenti. Se non fosse così, allora le game jam non esisterebbero e soprattutto non sarebbero tesori di idee geniali e divertenti come sono. La storia ce lo dimostra anche con la nascita del genere stealth per le limitazioni del NES, e se non fosse proprio per quelle limitazioni, forse oggi non avremmo Metal Gear Solid.
I brevetti sono un argomento fragile e che fanno parte di una meccanismo più grande di funzionamento dell’industria, la loro esistenza non è l’incarnazione del diavolo ma un uso scorretto può risultare un’occasione persa o uno spunto creativo, a seconda dello sviluppatore che affronta la limitazione. Insomma, esistono ed esisteranno ancora per il prossimo futuro, sicuramente la presenza dei brevetti non fermerà il progresso o gli ottimi giochi dal nascere, avete la mia parola!
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This post was published on 26 Maggio 2022 14:30
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