È notte fonda e non hai sonno, ti metti a letto con la speranza di dormire sonni tranquilli, ma quasi inconsciamente sei su YouTube e sulla home, tra tutorial su come si monta una lampada e indiani che costruiscono capanne coi bastoni, ecco una compilation di 10 ore su “i vecchi giochi PlayStation 2 che forse hai dimenticato“: sei curioso, apri il video e automaticamente vieni trasportato in un oceano di ricordi, pomeriggi di gioco fra amici e un’adolescenza all’insegna di titoli colorati, divertenti e prepotentemente “next-gen“.
Lo ammetto, è capitato anche a me, tante volte, ed è proprio per questo motivo che ho deciso di scrivere e raccontarvi di una serie di videogiochi che nei primi anni del 2000 hanno invaso la seconda console di casa Sony, ma che poi, come un fulmine a ciel sereno, non sono stati più riproposti in futuro, ma nati e morti nel passato, ecco a voi: il Paradiso perduto di PlayStation 2!
Ciò che sto per scrivere a questo punto molto probabilmente starebbe meglio come conclusione, ma è utile per farvi capire di cosa stiamo parlando: i titoli in questione non sono di certo capolavori ed è facile immaginare il perché non siano mai stati più riproposti in futuro: alcuni avevano oggettivamente problemi tecnici, altri magari non si adattavano bene a una serie o a un sequel, altri ancora invece avevano senso solo nel loro periodo d’uscita e al giorno d’oggi risulterebbero in flop clamorosi.
Non stiamo qui a parlare di quanto fossero belli i Final Fantasy, i Kingdom Hearts, i Resident Evil, i The Sims, ma semplicemente ricordare, anche con un pizzico di nostalgia, una serie di videogiochi non tanto conosciuti, ma che nella cameretta di qualche assiduo giocatore hanno macinato ore e ore girando all’interno di una PS2.
Oggi le produzioni videoludiche, soprattutto per quanto riguarda le esclusive PlayStation, richiedono anni e anni di lavori matti e disperatissimi dovuti alle giuste esigenze dei consumatori, ed è raro incappare in veri e propri flop, al massimo qualche “problemino tecnico” (*coff coff* Cyberpunk *coff coff*). La PlayStation 2 invece dava spazio anche a esperimenti, magari di studi emergenti, ma che potevano dire comunque la loro in un periodo di estremo consumismo videoludico come quello dei primi anni 2000.
Il genere “party game” sprizza anni ‘90 da tutti i pori, oggi i titoli più importanti puntano fortemente su avventure single player, intrise da profonda narrazione nel quale il giocatore, da solo al buio in camera sua, deve immedesimarsi nella storia raccontata dal gioco.
Molti titoli dell’epoca invece mettevano da parte la narrazione, eccezion fatta per una trama banale per far da pretesto al gameplay, per lasciare spazio a un gioco divertente e a tratti “no-sense” da spolpare in compagnia dei propri amici.
Questa lunga e tediosa introduzione l’ho scritta per presentare, senza nemmeno troppi preamboli, un party game del 2003 uscito in esclusiva per PS2: Super Farm, primissima fatica di… Asobo Studio (sì, proprio quelli di A Plague Tale e Flight Simulator).
Spiegare questo gioco a parole sarebbe qualcosa di assurdo e per questo motivo è stato inserito il video di un gameplay in questo articolo: giudicate voi stessi. Le musiche, i colori super accesi e saturi, gli effetti sonori, sembra di star guardando una puntata dei Looney Tunes; quanto era divertente giocare in compagnia di amici, fratelli e cugini, scegliere sempre e solo il coniglio e spaccare i denti agli altri giocatori.
L’altra faccia del multiplayer è sicuramente la competizione nei giochi sportivi, se adesso abbiamo le sfide online di FIFA e PES (sì, lo so che adesso si chiama eFootball), all’epoca i giochi sportivi erano molto più variegati e tra questi c’era anche un simulatore di beach volley che all’apparenza poteva sembrare l’apoteosi del trash, ma che in realtà nascondeva un gameplay ben costruito e non tanto arcade: sto parlando di Beach Volleyball Summer Heat, sviluppato da uno dei tanti studi laterali di Acclaim Entertainment.
Non sono un patito della pallavolo e questo gioco l’ho conosciuto grazie a mia sorella e proprio con lei andavano in scena veri e propri tornei di beach volley nella nostra cameretta. Non capivo quasi nulla delle regole e giocavo senza alcune pretese, ma questo titolo mi ha tenuto incollato per ore e ore grazie alle musiche. E non sto parlando di una semplice colonna sonora appagante, ma di vere e proprie canzoni molto famose dell’epoca: tra una partita e l’altra e anche durante i match il gioco riproduceva canzoni del calibro di “Love at First Sight” di Kylie Minogue e “Get The Party Started” di P!nk.
I giocattoli che prendono vita e no, non stiamo parlando della trama di Toy Story, ma di uno dei videogiochi più oscuri del mondo occidentale, che molti ragazzi come me si sono trovati a giocare senza avere la minima idea di cosa stesse succedendo sullo schermo: delle macchinine coloratissime che, tra una gara e l’altra, parlavano fra loro e compivano missioni come se fossero esseri umani. Non ci avete capito nulla? Tranquilli, nemmeno io.
Choro Q è una serie di videogiochi (sì lo so che avevo detto di parlare di titoli unici che non facevano parte di serie, ma era impossibile non citarlo) nata addirittura nel 1984 in Giappone, sviluppata da Taito e basata su una serie di giocattoli targati Takara: i modellini Choro Q, per l’appunto. I titoli di questa stramba saga sono usciti su quasi tutte le console esistenti, ma quello a cui ho giocato io e molto probabilmente la maggior parte degli occidentali è quello che in Giappone è chiamato “Choro Q HG 4“, pubblicato su PlayStation 2 e sviluppato in occidente nientemeno che da Atlus.
Choro Q è stato inserito in questa lista proprio per il curioso fatto che da noi ha spopolato solo questo capitolo e per molti anni ho creduto fosse l’unico esistente, mentre grazie all’amico internet ho scoperto che fa parte di una saga di quasi 30 titoli, di cui l’ultimo pubblicato nel 2008 su Wii.
Il gioco di per sé non è brutto, seppur molto difficile da comprendere per un pubblico occidentale, ma aveva degli spunti interessanti e la parte “rpg” era ben curata. Inoltre la personalizzazione dei veicoli era molto profonda con la possibilità di scegliere anche i tipi di motori.
Se conoscete anche voi questi titoli o siete degli assidui collezionisti oppure come me macinavate qualsiasi cosa vi capitasse a tiro sulla vostra console senza badare troppo al genere o alla qualità del gioco stesso. Quest’ultima frase è difficilmente applicabile ai giorni nostri e forse è un bene proprio per la qualità dei videogiochi moderni, ormai arrivati a livelli assurdamente realistici.
La nostalgia è un’arma a doppio taglio: è sicuramente un bene che molte perle del passato vengano riproposte ai giorni nostri con remake o remastered, vedi Crash Bandicoot, MediEvil, Spyro e tanti altri; ma è anche vero che molti videogiochi è giusto che rimangano nel passato perché fortemente legati a quell’epoca, sia dal punto di vista temporale che di console: non è forse questo il vero significato di retrogaming?
This post was published on 4 Febbraio 2022 14:00
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